Storicamente. Laboratorio di storia
Il Placito al Risano

Si tratta della trascrizione di una sorta di processo verbale, che si tenne nell’anno 804, e che venne intentato dal patriziato istriano al duca Giovanni, rappresentante della corte carolingia in Istria, ed al clero locale per il modo in cui essi avevano inteso applicare il feudalesimo nella regione a danno delle proprietà, delle autonomie e delle prerogative della nobiltà e dei municipi. Fu una sorta di assemblea degli “stati generali” dell’Istria, a cui si pervenne grazie alla mediazione del patriarca di Grado, Fortunato, e che si tenne sui campi del Risano, un altipiano situato nei pressi di Capodistria. A tale assemblea parteciparono i magistrati delle città della regione ed una delegazione di cittadini rappresentativi della classe dei maiores, eletti dalle assemblee del popolo. Al duca ed ai vescovi istriani, tra l’altro, venivano rimproverate l’usurpazione delle terre della nobiltà e delle municipalità locali e l’utilizzo di personale slavo nella coltura delle terre.
La questione, merita qualche approfondimento e qualche precisazione.

Il documento riporta alcune delle recriminazioni degli Istriani contro il nobile carolingio, legate al tema dell’immigrazione: «Ha insediato sulle nostre terre», si lamentavano del duca gli Istriani, «degli Slavi pagani, che se le arano, le sarchiano, vi tagliano il foraggio, vi pascolano il bestiame pagando l’affitto a lui». E ancora, più avanti: «per tre anni abbiamo dovuto dare le decime che prima davamo alla Chiesa, a quei dannati Schiavi pagani, che per colpa di Giovanni e per nostra dannazione, si sono insediati sulle terre della Chiesa, e del popolo».

In questi passi risulta evidente l’ostilità nei confronti dei nuovi arrivati, stigmatizzati come pagani. Ma ancora di più si può cogliere l’irritazione nei confronti del duca, colpevole di avere affidato ad altri le terre degli Istriani, in modo da potere realizzare i suoi profitti. Per comprendere l’ostilità degli Istriani, bisognerebbe forse tenere conto anche del fattore bellico e del recente ricordo delle aggressioni e invasioni al seguito di Avari e Longobardi.
Il duca non cercava di sfuggire alle accuse e la sua risposta ai nobili istriani suona come una proposta di cui nessuno conosce quale fosse l’esito:

gli Slavi di cui mi parlate – ribatteva – andiamo un po’ a vedere dove risiedono. E se non vi fanno danni, siano liberi di restare o di andarsene dove vogliono; se, invece, vi fanno danni ai boschi, ai campi, ai vigneti, o dovunque sia, mandiamoli via; oppure, se lo preferite, mandiamoli a lavorare le terre incolte, dove possano stare senza fare danni e possano rendersi utili come tutti gli altri [1].

Sia Benussi che De Franceschi ritenevano certo, in quanto logico, che gli Istriani, liberi di decidere, avessero scelto di allontanare ospiti tanto malevisti e pericolosi. In tale modo, sostenevano, si sarebbe provato che non ci sarebbero stati Slavi in Istria, se non per brevissimi periodi di tempo, prima dell’anno mille. L’ostilità degli abitanti, interpretata come un indice di scarsa familiarità, avrebbe anche provato che gli Slavi importati dal duca Giovanni sarebbero stati tra i primi a stanziarsi nella regione.

In realtà, si tratta di una conclusione rispetto alla quale non esistono evidenze storiche.
Da un punto di vista prettamente logico è altrettanto possibile che, in qualità di possidenti, o di rappresentanti di municipi dotati di terre da coltivare, i patrizi convenuti potessero ritenere conveniente la possibilità di mandare gli Slavi del duca Giovanni a «coltivare le terre incolte».

Da altri passi del documento, risulta che i nobili istriani usassero tenere presso di sé schiavi e liberti, per coltivare le terre, servire in casa e comporre milizie di tipo privato. È plausibile, date la contiguità tra le comunità etniche, il ruolo di Pola nel commercio degli schiavi e le vicende belliche, che di questi schiavi alcuni fossero Slavi, o comunque pagani, e che l’ostilità manifestata nel documento fosse espressione di interessi economico-sociali, oltre che religiosi.

Si rimane comunque nel campo delle congetture. Il documento apre una serie di possibilità e di filoni di ricerca, ma non offre alcuna risposta definitiva al problema.

[1] A. Petranovic, A. Margetic, Il Placito del Risano, «Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno», 8 (1983-84), 56, 77.