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Dibattiti

Le deputazioni di storia patria e i 150 anni dell'unità italiana. Intervista a cura di Maria Pia Casalena

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La riflessione, sui rapporti tra storia locale e storia nazionale ricorre frequentemente nell’agenda della storiografia italiana. Meno frequente è stata, negli ultimi anni, l’intervento delle deputazioni di storia patria, enti votati da molti decenni proprio alla ricerca sulle fonti locali e regionali, che sembrano aver perduto occasioni e momenti di visibilità nel panorama scientifico. Presentiamo qui le riflessioni dei rappresentanti delle due deputazioni di storia patria che hanno accettato di rispondere al nostro questionario. Si tratta di due casi estremamente diversi, rappresentativi della varietà di origini, vocazioni e situazione istituzionale delle deputazioni fiorite sul territorio italiano dal 1860 ad oggi. La Deputazione napoletana vanta una attività più che secolare e forti legami con la storiografia accademica. La Deputazione per la Dalmazia è invece nata nel 1920, ha cambiato nel tempo sede e statuto e anche il suo oggetto di studio si è ripetutamente adeguato al quadro politico-istituzionale della regione di riferimento. Emergono comunque tratti condivisi, che danno conto della difficile situazione in cui versano questi istituti nel nuovo secolo, per il quale hanno comunque sviluppato una interessante progettualità. Di particolare interesse le riflessioni sviluppate dai due intervistati in merito alle celebrazioni del centocinquantenario dell’unità nazionale.

Cominciano con dei cenni storici. Vorremmo sapere quando sono nate le Deputazioni e Società di storia patria, lo sfondo storico e istituzionale nel quale sono state create, le finalità che si sono date, e le iniziative principali che le hanno viste coinvolte fino a oggi.

De Lorenzo: La Società napoletana di storia patria fu creata nel 1875 e fu riconosciuta ente morale con R.D. 29 giugno 1882. Tuttavia a Napoli già nel 1844 lo storico ed erudito Carlo Troya aveva preso l’iniziativa di una Società storica napoletana, per pubblicare documenti inediti sulla storia del Regno di Napoli. Essa durò solo tre anni, spegnendosi in seguito agli eventi del 1848.

La Società, riunitasi per la prima volta il 5 gennaio 1876, ebbe sede nel convento di S. Maria di Caravaggio a piazza Dante, ospite della sezione napoletana del Club Alpino Italiano Qui rimase fino al 1936 allorché, per interessamento del presidente Ernesto Pontieri, fu spostata in Castel Nuovo, ove ancora si trova. Nel 1943 la Torre S. Giorgio fu colpita da una bomba, che procurò danni al prezioso materiale ivi custodito.

La Società, fondata da privati, ebbe molti sostenitori. Fu ed è ancora una delle più importanti in Italia. I maggiori intellettuali napoletani vi sono stati iscritti. I nominativi degli illustri componenti sia del Consiglio direttivo (di 10 membri, eletto ogni tre anni, di 9 membri, più il Presidente) che dei soci, sono rintracciabili nell’Archivio della Società.

La Società sorse nel clima che aveva già portato alla nascita della Società storica lombarda, e, nel 1876, alla nascita della Società romana di storia Patria. Essa si fece tuttavia interprete anche sia di una tradizione napoletana di studi già fertile prima dell’Unità sia dell’influenza in Italia della storiografia tedesca, impegnata nel promuovere la storia regionale sulla base di documenti corretti e sicuri. La storia e l’erudizione storica si imposero come esigenza non solo di pochi studiosi e storici di professione, ma di un più vasto pubblico colto (autodidatti, cultori del documento, archivisti, bibliotecari, ecc.), nel clima del positivismo. La conoscenza del luogo nativo, della “patria” locale, non era vissuta in contrasto, ma in simbiosi col rafforzamento della “patria” nazionale.

Nei primi decenni di vita la Società fu il punto di riferimento di tutta l’attività storica ed erudita del Mezzogiorno continentale, promuovendo studi di storia e storiografia del Mezzogiorno e creando edizioni di fonti e studi specializzati.

Scopo dell’istituzione fu quindi la costruzione dell’identità nazionale tramite la conoscenza della storia locale. L’impegno nella raccolta di documenti e materiali differenzia la Società dalla altre accademie, proiettate alla pubblicazione di scritti e lavori privati, e si giustifica grazie ad una concezione alta dell’erudizione.

Le iniziative principali: la pubblicazione dell‘«Archivio storico per le province napoletane» (dal 1876) e la pubblicazione di documenti «Monumenti storici» (serie Cronache e serie Documenti, entrambe relative a fonti medievali inedite o di antica e deficiente edizione). Inoltre la Società è stata promotrice del I Congresso delle Società e Deputazioni di storia patria nel 1879.

Si aggiunga che la Società ha nel suo patrimonio anche pergamene e cinquecentine, custodisce un importante fondo librario di proprietà del Comune di Napoli, il fondo Cuomo, il fondo sismico, un rilevante fondo di stampe e disegni. La complementarietà tra fonti arcaistiche e bibliotecarie arricchisce molto la natura dell’istituzione.

Cipriani: La Società dalmata di storia patria fu fondata in Zara il 26 marzo 1926. A quell'epoca Zara, in seguito al Trattato di Rapallo, era stata ricongiunta al Regno d'Italia. Non era la Dalmazia che l'Italia avrebbe dovuto ottenere con le promesse del Patto di Londra del 1915; ma Zara, quale sua vecchia capitale, poteva ambire a considerarsi la rappresentante spirituale di tutta la Dalmazia, o almeno custode della sua memoria storica. Non aveva quindi molta importanza l'esiguità del territorio dalmata assegnato con Zara all'Italia: l'oggetto specifico di interesse della Società dalmata di storia patria era la Dalmazia storica, dal Golfo del Carnàro alle Bocche di Cattaro. E fu proprio per la singolare posizione geo-politica occupata da Zara rispetto all'Italia peninsulare, che la Società dalmata presentò fin dalla sua nascita caratteri di comunanza ma anche di anomalia rispetto alle consorelle Società e Deputazioni di storia patria delle altre regioni del Regno. Il territorio di riferimento era infatti nella quasi totalità non più giuridicamente italiano e gli italiani di Dalmazia erano un gruppo destinato a ridursi (ma non a scomparire). Da ciò il duplice compito che impegnò i primi soci della Società dalmata: quello scientifico di studiare la "storia patria" e quello patriottico di perpetuare la memoria del contributo dato dai dalmati alla civiltà italiana, dall'epoca romana ad oggi. Di questo duplice compito fu interprete, fra i più autorevoli, il primo presidente, Giuseppe Praga, storico insigne, autore tra l'altro di un'epocale Storia della Dalmazia edita più volte e tradotta anche in inglese, nella quale l'attenzione preferenziale data al fattore storico italiano in Dalmazia non impedì di cogliere l'intreccio con altri fattori, fra cui quello slavo. La vita della Società Dalmata non fu mai facile. Appena fondata iniziò la pubblicazione di “Atti e Memorie” e “Studi e Testi”, ma il ristretto ambiente cittadino provocò tensione fra i soci per cui dopo un po' lo slancio iniziale si allentò. La mazzata ci fu nel 1935, a seguito della riorganizzazione centralizzata degli studi storici in Italia, con la Società dalmata formalmente sciolta e unita alla Regia Deputazione di Storia Patria per le Venezie quale "Sezione Dalmata" (questo provvedimento può chiarire i termini della pretesa protezione verso i dalmati del fascismo, che preferì chiudere l’istituzione dalmata invece di accordarle un sussidio). Ci fu poi la guerra e con l'esodo il blocco delle attività. Per iniziativa di alcuni dalmati esuli in Italia, nel 1961, la Società dalmata rinacque a Roma. Il merito va ad alcuni intraprendenti uomini di azione e studiosi, come i fratelli Ildebrando e Antonio Tacconi, Manlio Cace, Angelo de Benvenuti, Vincenzo Fasolo, Niccolò Luxardo, Attilio Budrovich, più tardi il lessicografo Aldo Duro, i due Ziliotto e molti altri, affiancati in numero sempre maggiore da italiani e stranieri, che non avevano alcun legame specifico con la Dalmazia. In seguito si operò un ricambio generazionale, evidente anche nella struttura organizzativa della Società, che dal 1987 vide al suo vertice, con l'avvento di Massimiliano Pavan, dei presidenti non dalmati, da Vincenzo Fasolo a Manlio Cace, Antonio Just Verdus, Furio Fasolo. In quel periodo fu fondamentale l'opera della segretaria Gica Bobich, zaratina che, fino alla morte nel 1986, garantì il passaggio dalla vecchio gruppo dirigente ai nuovi soci ed ai nuovi consigli di presidenza nei quali per lunghi anni (1984-1999) sarebbe stato vice-presidente il giurista della “Sapienza” Claudio Schwarzenberg, di Fiume. Frutto dell'attività della Società sono le varie decine di volumi degli Atti e memorie e dei collaterali Studi e testi (con gli altrettanti volumi pubblicati da altra Società dalmata che era stata costituita a fine anni '70 in Venezia, meritevole anche per la riedizione di alcuni "classici" della storiografia dalmata). Significativi i convegni che - anche in collaborazione con le Università di Roma, Venezia, Trieste, Macerata, Vienna, Zagabria, Zara, Spalato, con la Società Dante Alighieri, con l'Istituto della Enciclopedia Italiana, la Fondazione Giorgio Cini, l'Accademia marchigiana di scienze lettere e arti - sono stati da essa organizzati in Italia e all'estero. Vanno poi aggiunti la partecipazione dei suoi membri a innumerevoli iniziative scientifico-culturali in Italia e all'estero sui problemi della Dalmazia ed il supporto dato a studiosi di storia dalmata. Il compito di conservare la memoria della cultura italo-dalmata è stato attuato soprattutto con il lavoro storiografico: la pubblicazione di saggi, di fonti, di studi, da parte di studiosi italiani e stranieri, spesso di altissimo valore scientifico. Basti ricordare, tra gli italiani, Massimiliano Pavan, Ugo Tucci, Sante Graciotti, Paolo Preto, Lorenzo Braccesi, Giuliano Bonfante, Girolamo Arnaldi, Sergio Anselmi, Ulderico Bernardi, Domenico Caccamo, Rita Tolomeo, Bruno Crevato-Selvaggi, Marino Zorzi, Carlo C. Cipriani, insieme con un fedele gruppo di studiosi viennesi e ungari, ai quali si aggiungono collaboratori serbi e croati. Attraverso la scelta dei soci e dei collaboratori la Società vuole contribuire a creare nuove generazioni di ricercatori, forniti di obiettivi di ricerca e strumenti di lavoro adeguati ai tempi. È a loro - in particolare agli Istituti universitari italiani interessati alla storia dell'Est Europa (spesso immemori della Dalmazia) e a quelli slavi dedicati all'Italia e alla cultura italiana - che la Società Dalmata intende affidare il compito di concentrare l'attenzione sul bacino adriatico, anche come luogo deputato di integrazione tra Ovest ed Est europeo, ruolo svolto per secoli dalle terre e dalle genti dalmate, come spesso della pubblicistica incolta, partigiana e faziosa dimentica. Alcune fortunate coincidenze hanno consentito di iniziare progetti culturali di notevole spessore: l'inventariazione dei fondi di tutte le magistrature culturalmente italiane prodottesi nei secoli in Istria, Fiume, Dalmazia, conservati negli archivi ora di là dal confine in Slovenia, Croazia, Montenegro; lo studio della presenza degli ebrei in Dalmazia nelle due comunità principali di Spalato e Ragusa e non solo; l'indagine sullo svolgersi della vita intellettuale, sociale ed economica, nella Dalmazia fra ‘700 ed ‘800, periodo di passaggio e di crescita ma anche dell'affacciarsi delle identità nazionali che saranno la causa di tante disgrazie della regione. I riconoscimenti nell'anno dell'80° dalla costituzione - la medaglia dei benemeriti della cultura ed un francobollo celebrativo - possono esser considerati più che omaggi alla Società dalmata, uno sprone per l'opera di difesa e diffusione dei valori della cultura di una regione spesso negletta in Italia e dagli italiani.

Com’è cambiato, nel corso del tempo, il ruolo delle deputazioni e società di storia patria? Quali i loro rapporti con le università, ieri e oggi?

De Lorenzo: A differenza delle Deputazioni, di nomina statale, le Società erano fondate da privati. Nel 1935 il ministro De Vecchi trasformò la Società napoletana, riconosciuta ente morale con R.D. 29 giugno 1882, in R. Deputazione di Storia Patria, colpendo in tal modo la sua autonomia. Con decreto 24 gennaio 1947, n.245, le Deputazioni di storia patria e Società storiche, iscritte e riconosciute dallo Stato prima del 28 ottobre 1922, riacquistarono la loro autonomia.

La natura privatistica dell’istituzione (formata da soci che vi accedono per cooptazione) ha influito e influisce sulle sue scelte scientifiche e sulla natura del suo patrimonio. Se i soci sono molto attivi nel rispondere all’intento iniziale erudito, attraverso saggi pubblicati sulla rivista e pubblicazioni di documenti, il patrimonio complessivo si arricchisce con le donazioni di biblioteche, archivi privati, oggetti.

Un cambiamento si ebbe durante il fascismo per il disinteresse reciproco fra Società storiche e regime.

Nell’ambito di una più generale ristrutturazione degli studi storici il R.D. 20 luglio 1934 stabilì che l’Istituto Storico italiano era ufficialmente circoscritto al Medioevo; nell’Istituto fu creata la Giunta Centrale per gli Studi Storici, per coordinare l’attività delle Deputazioni di storia patria; fu creato un Istituto per l’età moderna e contemporanea e un altro per la storia del Risorgimento).

Con decreto 20 giugno 1935 venne regolata l’attività delle Deputazioni di storia patria. Ne vennero riconosciute o istituite ex novo 17, una per ogni regione storica. In tale occasione la Società napoletana di Storia Patria fu trasformata, con R.D. 6 agosto 1935-XIII, in Regia Deputazione di storia patria per la Campania e il Molise, retta in base al Regolamento per le Regie Deputazioni di Storia Patria, approvato con R. Decreto 20 giugno 1935, comune a tutte le Deputazioni. Quelle che erano rimaste Società storiche divennero sezioni delle Deputazioni. Ogni Società cercò di sopravvivere come poté.

Dopo la fine del fascismo, il d.l. del 24 gennaio 1947 restituì autonomia alle Deputazioni di storia patria e alle Società storiche. È rimasta intatta nel tempo la natura mista dei soci, docenti universitari soprattutto di storia medievale e moderna, ma anche di discipline artistiche, di Napoli e del Mezzogiorno, e generico pubblico colto (bibliotecari, archivisti, etc.). Nel Direttivo hanno avuto grande spazio docenti dell’Università.

Il penultimo Direttivo ha visto come residente per 30 anni Giuseppe Galasso, componenti del direttivo Craveri, Del Treppo, Ajello, Vitolo, Cernigliaro, De Lorenzo, Musi, Stazio (numismatica), più Spinosa (sovrintendente). L’attuale direttivo (De Lorenzo presidente + Musi, Mascilli Migliorini, Cernigliaro, Vitolo, Abbamonte, Aceto, De Blasi, Marta Herling (segretaria Istituto Croce) Taliercio (numismatica) riconferma la prevalenza di esponenti delle università.

Cipriani: Alla nascita la Società dalmata era l’unione degli studiosi di storia dalmata, abitanti per lo più a Zara. Dopo l’esodo forzato nel 1943-47 degli italiani dalla Dalmazia si trattò di avere una voce che facesse esser presente la storia e la cultura dei dalmati italiani nella cultura italiana. All’inizio il contatto col mondo accademico era limitato, per motivi differenti; negli ultimi decenni la compagine sociale della Società dalmata annovera numerosi professori universitari. Con alcune Università sono state organizzate varie attività scientifiche.

Cosa si intende più precisamente per “storia patria”? Quali sono le definizioni, le periodizzazioni e le metodologie che si sono privilegiati nello studio della storia locale? Quali i rapporti con la contemporanea storiografia sulla storia nazionale?

De Lorenzo: A differenza di altre Società che ebbero in programma di applicarsi solo al Medioevo, o come la Romana, di partire dall’Impero romano fino al presente, quella napoletana nel 1876 dichiarò di volersi occupare della storia del Regno fino al 1815. Grande spazio fu dato al Medioevo, momento del sorgere della nazione ed anche delle sue divisioni, fase in cui si conciliava l’unità morale degli italiani e la varietà e ricchezza delle tradizioni.

Data la prevalenza di docenti universitari fra i soci furono rispecchiati in genere nella Società gli interessi della storiografia ufficiale di stampo liberale, ma nella sua rivista hanno pubblicato moltissimi studiosi di varia impostazione, con saggi che coprono un arco cronologico che va dall’antichità fino al ’900 (soprattutto negli ultimi anni).

Cipriani: Storia Patria come storia locale, storia della piccola ‘terra dei padri’ all’interno della più grande patria nazionale. Per i dalmati italiani anche la rivendicazione di una identità culturale nazionale che le altre etnie del territorio hanno osteggiato e conculcato.

Quale spazio ha avuto l’età risorgimentale nello studio della storia patria, nel passato e attualmente?

De Lorenzo: Lo Stato unitario favorì l’indagine sul proprio passato, con attenzione in particolare al Medioevo, visto come momento di origine della nazione e delle sue divisioni. Il positivismo, esaltando la scienza, diede luogo ad un nuovo metodo storiografico. Fino alla prima guerra mondiale l’attività di Deputazioni e Società si concentrò quindi soprattutto sul Medioevo. Dopo la guerra l’interesse si spostò sui secoli XVIII e XIX.

Data la sensibilità storiografica attuale verso il privato, dalla microstoria all’attenzione per le identità locali, il materiale librario e archivistico posseduto dalla Società napoletana, ancora in corso di inventariazione, è destinato ad una notevole valorizzazione per una riflessione sulla storia del Risorgimento. I fondi archivistici della Società, come il napoleonico o il fondo Fortunato, hanno una spiccata caratterizzazione ottocentesca e altri fondi consentono uno studio molto articolato del Risorgimento italiano e napoletano. Anche la rivista della Società, nel cercare di rispecchiare in ogni numero tutto l’arco cronologico della storia del Regno, contiene sempre saggi e documenti relativi al secolo XIX.

Cipriani: Per la Dalmazia e la Società dalmata lo studio dell’epoca risorgimentale è stato di notevole rilievo. Affermare la conoscenza della partecipazione di dalmati al Risorgimento voleva dire, per i fondatori della Società, riaffermare il legame della regione all’Italia, in opposizione alla tesi dei politici croati che negavano ogni carattere d’italianità alla Dalmazia ed ai suoi abitanti.

Le deputazioni e società di storia patria furono coinvolte nelle celebrazioni del 1961 per il centenario dell’Unità d’Italia? Si sono avute manifestazioni di rilievo in quel contesto?

De Lorenzo: Società e Deputazioni discussero di se stesse in un convegno che diede luogo alla seguente pubblicazione: Il Movimento Unitario nelle regioni d'Italia. Atti del Convegno delle Deputazioni e Società di Storia Patria svoltosi in Roma dal 10 al 12 dicembre 1961 (Bari, Gius. Laterza e figli, 1963), in cui si segnala il discorso inaugurale di Raffaello Morghen L’opera delle Deputazioni e Società di Storia Patria per la formazione della coscienza unitaria. La Società pubblicò nell’«Archivio storico per le province napoletane» del 1960 (n. LXXIX) quasi esclusivamente saggi su eventi del 1859-60.

Cipriani: Per le particolari vicende della Società dalmata, che veniva rifondata proprio nel 1961, non furono condotte attività. Altri studiosi di cose dalmatiche parteciparono a varie manifestazioni.

Come definirebbe per l’epoca attuale il ruolo e la funzione delle società e deputazioni di storia patria?

De Lorenzo: La Società napoletana rappresenta oggi uno dei grandi enti culturali riconosciuti come tali dal Comune di Napoli e dalla Regione Campania. Essa rimane un punto di riferimento importante per gli studiosi e per i cultori di storia grazie alla sua preziosa biblioteca, aperta al pubblico cinque giorni la settimana, e grazie alla pubblicazione della rivista, con cadenza annuale. Ha inoltre una collana di proprie pubblicazioni. Ha quindi un ruolo e funzione di servizio bibliotecario e di ricerca scientifica, che continua a privilegiare gli aspetti di erudizione e pubblica sia fonti che ricerche di carattere scientifico o la ristampa di classici della storia napoletana. Tali aspetti ritengo debbano essere salvaguardati anche nel futuro.

Cipriani: Di rilievo in quanto nel panorama politico-culturale che tende ad esaltare le realtà locali sono la base scientifica sulla quale ricostruire le vicende passate in maniera seria senza cadere in strumentalizzazioni politiche. Le Deputazioni/Società hanno infatti condotto normalmente attività rigorose di pubblicazioni di fonti che pochi altri istituti han condotto, in maniera ampia per esser diffuse su tutto il territorio nazionale, seppur non uguale a causa della differente capacità d’ogni Società/Deputazione. Continuare in questa opera scientifica di base è rilevante per permettere alla politica e alla società italiana tutta di capire come si sia arrivati all’attuale situazione socio-economica, purché lo si faccia in maniera scientifica, con mente aperta e non per compiacere potentati.

Quali sono attualmente gli impegni e le iniziative prese per la celebrazione del cento cinquantenario dell’Unità d’Italia?

De Lorenzo: La Società ospita nella sua sede numerose manifestazioni sul tema dell’Unità e sarà partner nell’organizzazione di vari eventi sul tema. Rispondendo anche alla sua natura statutaria, organizzerà lezioni nelle scuole cittadine oppure ospiterà scolaresche nella propria sede. Considerata tra i grandi enti culturali della città di Napoli, è stata coinvolta dalla Prefettura nelle manifestazioni per il cento cinquantenario ed ha presentato le seguenti proposte, da realizzare nel 2011: a) Scannerizzazione e messa in rete di testi classici sulla storia del Risorgimento nel Regno delle Due Sicilie e sul Mezzogiorno nell’800 post unitario; b) Organizzazione di due convegni: nel marzo 2011, Monumenti per costruire il Paese: documenti, monumenti, istituzioni; nell’ottobre o novembre 2011, Il crollo e il racconto del Regno delle Due Sicilie nella stampa e nella letteratura nazionale e internazionale.

Cipriani: La Società dalmata sta organizzando un convegno che si terrà a Roma all’inizio del giugno 2011, dal titolo: L’unità nazionale e lo sguardo degli altri (convegno internazionale e mostra documentaria in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia). Si cercherà di capire qual era la situazione nei territori italofoni rimasti fuori dai confini del Regno.

Qual è il suo parere sulle iniziative prese per festeggiare la ricorrenza dell’unificazione nazionale? Quali le manifestazioni di maggior rilievo tra quelle intraprese dagli istituti deputati allo studio della storia d’Italia?

De Lorenzo: L’attuale clima politico non facilita le celebrazioni. Lo stesso Comitato Nazionale è sorto con difficoltà e contestazioni interne. Non mancano le iniziative e in qualche modo, tranne che in alcune zone del paese, ci si ritiene in dovere di organizzare un programma di attività.

Gli interventi non sono sempre celebrativi, anzi nel Mezzogiorno in genere spesso danno luogo a tendenze revisioniste e neoborboniche. Basta prendere in considerazioni i siti internet che in questo periodo si moltiplicano per denigrare la storiografia accademica impegnata comunque nella difesa del Risorgimento.

Non sono al corrente di iniziative di particolare rilievo intraprese dalle Società e Deputazioni che lamentano tutte una grave carenza di risorse finanziarie.

Cipriani: Poche, scollegate, di scarso impatto sul pubblico, condizionate da movimenti politico-culturali più o meno apertamente anti-unitari.

Per concludere, come pensa evolveranno l’attività e il ruolo delle deputazioni e società di storia patria? Quali saranno i loro spazi nella cultura italiana del XXI secolo?

De Lorenzo: L’attività e il ruolo delle Deputazioni e società di storia patria sembrano non rispondere al cima culturale e politico, coinvolte nella generale ostilità verso il Risorgimento. La possibilità di sopravvivenza è nel recuperare la propria identità originaria, valorizzando il compito di centro di “erudizione” come aspetto estremamente qualificato del sapere storico in generale e cercando di cooptare un pubblico ampio. Grande importanza per la Società napoletana, che gestisce una biblioteca aperta al pubblico, è fornire servizi di qualità e aggiornati ai soci ma anche agli studiosi in genere. Un’occasione di rilievo può essere mostrarsi all’avanguardia nelle tecnologie informatiche e/o trasformarsi in centri di ricerca, sfruttando i finanziamenti europei.

Cipriani: Difficile dire, ma il ruolo delle Deputazioni/Società potrebbe da un lato potenziarsi, con l’aumentare delle spinte localistiche-federalistiche, dall’altro degenerare proprio se tali spinte saranno incontrollate. Le spinte localistiche potrebbero far nascere sia organismi locali ancor più frammentati che pensano di poter fare meglio e più delle Deputazioni/Società, sia istituzioni emanazioni dirette di istituzioni politiche locali. Inoltre sarà importante la capacità di legare la cultura storica locale a manifestazioni multimediali che richiamano grandi quantità di pubblico. Con il ridursi dei finanziamenti pubblici infatti le Deputazioni/Società avranno necessità di trovare altrove i finanziamenti: gli sponsor spesso li legano proprio ad una maggiore visibilità pubblica.