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Fonti e documenti

Analisi del «nemico» tedesco. Contributi e rapporti riservati sulla Germania nazista e post-nazista negli anni dello «sforzo bellico» (1943-1950)

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Traduzione e cura di Raffaele Laudani

Presentazione

1. Nel dicembre del 1942 Marcuse lascia la California e si trasferisce a Washington come senior analyst dell'OWI (Office of War Information) [1]. «La mia funzione – spiegava in una lettera a Max Horkheimer dell'11 Novembre 1942 – dovrebbe essere quella di suggerire “come presentare il nemico al popolo tedesco”, nella stampa, nei film di propaganda, ecc.» [2]. La sua collaborazione con l' intelligence americana era parte del più ampio contributo fornito dall'emigrazione tedesca allo «sforzo bellico» statunitense contro il nemico nazista [3]. Lo stesso Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, ospitato dal 1936 dalla Columbia University di New York, vi contribuiva già dalla fine del 1941 con la consulenza più o meno strutturata di alcuni tra i suoi principali collaboratori, come Franz Neumann, Otto Kirchheimer, Arkadij Gurland, Leo Löwenthal, Frederick Pollock, e con alcuni studi sulla dimensione psicologica del regime nazista, fra i quali anche due studi consegnati all'OSS (Office of Strategic Services) su The Elimination of German Chauvinism e su Private Morale in Germany [4].

Larga parte dell'attività di Marcuse per l'OWI consisteva nel produrre contributi sul rapporto tra morale privato e politica pubblica nella Germania nazista attraverso la consultazione dei media tedeschi e l'analisi dei discorsi pubblici dei principali dirigenti nazisti. Così, ad esempio, all'indomani del discorso di Goebbels su Haltung und Stimmung (Condotta e Morale) in seguito alla battaglia di Stalingrado e all'invasione delle truppe alleate di El Alamein, gli venne chiesto uno studio sul significato nella tradizione culturale tedesca del termine Stimmung . Il contributo prodotto da Marcuse – non esente da sottolineature sarcastiche come la presentazione di un'«analisi di classe» della Stimmung , che si trova tanto nelle birrerie popolari quanto nei locali alla moda di Berlino – era però volto a sottolineare come la centralità assegnata al problema del «morale» o dell'«umore» della popolazione tedesca dai responsabili della propaganda statunitense in Germania fosse sbagliata e non centrasse quella che era invece la novità introdotta dal nazismo, già descritta da Marcuse in un lungo saggio del 1941 sulle Implicazioni sociali della moderna tecnologia e in una conferenza dello stesso anno alla Columbia University su Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo : la trasformazione della società tedesca in un sistema «tecnologico» altamente razionalizzato che rendeva le questioni morali del tutto secondarie, a vantaggio di un'identificazione materiale della popolazione tedesca con i successi e le fortune del regime, anche a costo della rinuncia alle libertà democratiche [5].

A questo periodo appartengono i primi due testi qui pubblicati e presentati per la prima volta in lingua italiana. Si tratta di due brevi rapporti presentati all'OWI che analizzano criticamente le scelte e gli orientamenti dei responsabili della propaganda statunitense verso la popolazione civile tedesca e americana. Entrambi si basano su un lungo studio su La nuova mentalità tedesca che Marcuse consegnò agli inizi del 1942 al COI (Office of the Coordinator of Information), il predecessore dell'OWI, prima ancora di avviare una collaborazione stabile con l' intelligence statunitense. Qui spiegava come il nazismo fosse riuscito a trasformare la cultura tradizionale tedesca – il livello «mitologico» della sua mentalità – nel veicolo di una visione del mondo e di modelli di comportamento altamente «pragmatici». La filosofia irrazionalista nazista, i suoi appelli al Blut und Boden , servivano come serbatoio «sovra-tecnico» di legittimazione di questa politica e mentalità pragmatica. Il nazismo, in altri termini, era riuscito a trasformare la Kultur tedesca in un insieme di idee e sentimenti dal valore puramente «operativo»; era la via «specificamente tedesca» per introdurre e legittimare le esigenze del capitalismo monopolistico e le sue istanze di razionalizzazione totalitaria della società. In un simile contesto le forme tradizionali di propaganda e di contro-informazione risultavano del tutto inadeguate: gli appelli ai valori morali della libertà e della democrazia non avevano alcuna «presa» sul popolo tedesco e dovevano essere sostituiti dal «linguaggio dei fatti» e da «simboli concreti» capaci di rispondere sullo stesso terreno «pragmatico» alla forza coesiva oggettiva del regime nazionalsocialista [6].

La centralità del «linguaggio dei fatti» ritorna anche nel primo dei testi qui pubblicati, dedicato alla corretta propaganda di guerra verso i lavoratori tedeschi. La forza del sistema nazista sta infatti per Marcuse nella sostituzione della «libertà potenziale» della fallimentare esperienza della Repubblica di Weimar nella «sicurezza reale» della società totalitaria. Per questo motivo ogni appello al «morale» o alla speranza futura delle libertà civili e democratiche è inutile: i lavoratori tedeschi si sentono tutti «sulla stessa barca» dei dirigenti nazisti e vedono il loro destino legato a quello del regime. La possibilità di separare attivamente il «corpo» della Germania operaia dal regime nazista si gioca così sullo stesso terreno dell'efficienza e del pragmatismo. Nello studio sulla nuova mentalità tedesca questo programma si concretizzava nella capacità di mostrare le deficienze e i limiti «tecnici» del regime e, al tempo stesso, nel mostrare la superiorità del modello americano nel garantire un più alto tenore di vita [7]. Con il perdurare del conflitto, il crollo del benessere nazista e la convinzione fatalistica dell'inevitabilità della sconfitta tedesca, l'obiettivo di Marcuse si sposta invece sulla necessità di mostrare che il Nuovo Ordine hitleriano deve inevitabilmente proseguire la guerra, che la guerra imperialistica e aggressiva è connaturata al sistema nazista e al suo legame inscindibile con le esigenze e gli interessi del grande capitale tedesco che, mentre vede la popolazione civile soffrire le durezze della guerra, continua ad aumentare i propri profitti attraverso l'economia di occupazione.

Non molto diverso era per Marcuse il metodo da utilizzare per «presentare il nemico» tedesco al popolo americano. In un altro breve rapporto all'OWI coevo a quelli qui pubblicati Marcuse aveva infatti chiarito che, sebbene in forme «specificamente tedesche», la struttura sociale della Germania nazista aveva «implicazioni internazionali e ramificazioni» che superavano i fronti di guerra [8]. La «neutralità psicologica» della popolazione civile tedesca nei confronti della guerra era così presente anche negli States , accentuata forse dalla distanza fisica dai principali teatri di guerra. La tendenza della stampa popolare a «mitizzare» le imprese del regime nazista nella forma del glamour o della satira fine a se stessa risultava perciò pericolosa perché, proprio mentre il regime tedesco faceva appello all'odio e alla determinazione nel condurre la guerra «fino all'impossibile», poteva indirettamente stimolare un atteggiamento compromissorio e conciliante con il nazismo. L'unico modo per spezzare questa «neutralità psicologica» della popolazione civile americana era però anche il più rischioso: la crescente democratizzazione e socializzazione degli Stati Uniti perché «la determinazione appassionata a distruggere il fascismo è la qualità esclusiva di un popolo libero e può essere creata e preservata solo nella lotta determinata contro il fascismo in tutte le sue forme e su tutti i fronti. Ogni passo che assicura libertà, giustizia e l'eguaglianza del sacrificio a casa, rafforzerà automaticamente la volontà di eliminare il fascismo all'esterno». Nel secondo dopoguerra, Marcuse si accorgerà come questo consiglio verrà utilizzato dal sistema americano proprio per favorire quella «ragionevole, levigata, democratica non-libertà» della società a una dimensione e della sua tendenza «totalitaria» a neutralizzare il mutamento radicale [9].

2. L'esperienza di Marcuse all'OWI fu piuttosto breve. La sua scarsa propensione a prendere sul serio la centralità del «morale» nella condotta della propaganda di guerra, lo rendevano agli occhi dei superiori «poco serio» e «improduttivo» [10]. Così, nel marzo del 1943, si trasferì alla Central European Section del Reasearch and Analysis Branch dell'OSS che, rispetto all'OWI, era più orientata verso ricerche ed analisi sulle condizione oggettive in Germania e dove quindi il lavoro sulla propaganda poteva avere una ricaduta pratica più immediata. Come spiegava lo stesso Marcuse in un'altra lettera a Max Horkheimer del 18 aprile 1943: «Ho deciso di andare all'OSS. L'ultima riorganizzazione ha ulteriormente indebolito la posizione dell'OWI, e quest'agenzia sembra sempre più destinata a diventare preda dei giornalisti e degli agenti pubblicitari. A parte questo, ho visto che l'OSS ha materiale infinitamente superiore e potrei svolgervi un lavoro molto più utile» [11]. Il Reasearch and Analysis Branch dell'OSS era composto da una comunità interdisciplinare di studiosi e ricercatori anche di chiare tendenze marxiste o socialiste che, nonostante i continui richiami ad un lavoro asettico e avalutativo, godeva di un'ampia autonomia di lavoro. Fra questi ad esempio Paul Sweezy e Paul Baran che, nel secondo dopoguerra, diedero poi vita all'esperienza della «Monthly Review», la principale rivista di orientamento marxista statunitense [12]. Marcuse vi ritrovava fra gli altri anche Otto Kirchheimer e Franz Neumann, che della sezione era il responsabile, insieme ai quali produsse una lunga serie di rapporti e analisi settimanali sul «nemico» tedesco, oggi conservati nei National Archives di Washington.

L'attività di Marcuse e degli altri ricercatori della Central European Section dell'OSS può essere suddivisa in tre fasi, che corrispondono e seguono l'evolversi della guerra e degli interessi statunitensi nel conflitto. In una prima fase l'attenzione del gruppo si era focalizzata sui meccanismi di funzionamento del Nuovo Ordine nazista in Germania e nei territori conquistati, con l'obiettivo di fornire un quadro dettagliato della struttura sociale, economica, politica e culturale del regime, ma anche dei suoi punti di vulnerabilità e della resistenza interna. A partire dal 1944 e con la convinzione della prossima sconfitta del nazismo, l'attenzione si spostò invece sui problemi dell'occupazione militare della Germania e della de-nazificazione, che portò i «francofortesi» a redigere e coordinare una serie di «guide» sul futuro della Germania, fra le quali anche lo studio, redatto proprio da Marcuse, che servì da base politica e teorica per l'ordine formale di abolizione del partito nazista da parte delle potenze occupanti [13]. Questo lavoro proseguì poi nel 1945 con la preparazione di materiali necessari alla persecuzione dei criminali di guerra nazisti, coordinati dall'estate del 1945 dallo stesso Marcuse, che prese il posto di Neumann alla guida della Sezione dopo che questi era partito per l'Europa nell'ambito delle indagini del processo di Norimberga. Lo spirito che animava questo lavoro e le difficoltà della sua realizzazione sono sintetizzati nella prefazione che Marcuse scrisse alla raccolta del 1954 degli scritti di Neumann, pubblicati dopo la sua prematura scomparsa in un incidente automobilistico: «Neumann dedicò la maggior parte dei suoi sforzi all'elaborazione di un programma per la democratizzazione della Germania, che avrebbe permesso di evitare il ripetersi degli errori della Repubblica di Weimar. Cercava di dimostrare che la denazificazione, per essere efficace, doveva essere qualcosa di più che una purga di personale e un'abolizione della legislazione nazista: che doveva colpire il fascismo tedesco alle radici, eliminando le basi economiche della politica antidemocratica della grande industria tedesca. Neumann vide fallire i suoi sforzi per il raggiungimento di questo obiettivo, ma continuò a lavorare, per quanto ancora consentito, per il rafforzamento delle forze genuinamente democratiche della Germania» [14]. Il fallimento di quell'attività è raccontato retrospettivamente da Marcuse anche in un'intervista del 1978 ad Habermas: «quelli che noi avevamo messo al principio della lista dei “criminali economici di guerra” – spiegava in quella circostanza – si poterono ben presto ritrovare nelle posizioni responsabili decisive dell'economia tedesca. È facile farne i nomi» [15].

Il «fiasco» della denazificazione chiarì a Marcuse il mutamento di prospettiva intercorso nella politica estera degli Stati Uniti che, con l'esaurirsi della minaccia nazista, avevano già spostato l'attenzione verso i nuovi «nemici» comunisti e il loro contenimento [16]. Questi nuovi orientamenti divennero ancora più evidenti quando, dal settembre del 1945, dopo lo scioglimento dell'OSS, Marcuse passò a dirigere la sezione per l'Europa centrale della Divisione Ricerca e Informazioni del Dipartimento di Stato. In una lettera del 6 aprile del 1946 spedita ancora una volta da Marcuse a Max Horkheimer si legge ad esempio: «Avrai sentito che la Divisione Ricerca e Informazioni del Dipartimento di Stato subisce al momento duri attacchi per le sue presunte tendenze comuniste. Con questa giustificazione la richiesta di nuovi fondi è stata rigettata. Le solite corse per la ricerca di un compromesso sono già cominciate, ma è abbastanza plausibile che entro il 30 giugno la Divisione venga chiusa. A dire il vero se ciò dovesse accadere non mi straccerei le vesti» [17]. Le previsioni di Marcuse si rivelarono ben presto accurate: alla fine del mese di aprile il Research and Analysis Branch che il Dipartimento di Stato aveva ereditato dall'OSS venne sciolto. I quadri dirigenti della struttura, su pressioni degli ambienti conservatori in seno all'amministrazione statunitense, si erano infatti convinti che il gruppo di intelligence del Dipartimento di Stato fosse guidato da una serie di persone provenienti dall'OSS con «forti inclinazioni sovietiche», che dal punto di vista ideologico erano «molto più a sinistra della linea tenuta dal Presidente e dal suo Segretario di Stato», e che miravano ad una «America socializzata in un'unione mondiale di Stati comunisti e socialisti dedita alla pace attraverso sicurezza collettiva, riforme economiche, politiche e sociali, e la redistribuzione della ricchezza nazionale su base globale» [18]. Impossibilitato a lasciare Washington per la grave malattia della moglie Sophie, Marcuse fece così parte di quello «sparuto gruppo di accademici» che, confrontandosi con la nuova mentalità da guerra fredda e continuamente sotto il controllo sospettoso della HUAC (House Committee on Un-American Activities), «languirono» per qualche anno al Dipartimento di Stato in un'atmosfera simile a quella del Castello di Kafka, «in cui nessuno sapeva con certezza chi avrebbe risposto al telefono» e tutti erano continuamente frustrati nei loro sforzi di contrastare queste tendenze anticomuniste [19]. Nel caso di Marcuse questo limbo si protrasse fino alla morte della moglie nel 1951, quando ottenne un contratto presso il Russian Institute della Columbia University e poi del Russian Research Center di Harvard per una ricerca culminata nel suo libro del 1958 sul comunismo sovietico [20].

Sebbene non sia in senso stretto parte integrante dell'attività presso il Dipartimento di Stato, a questo nuovo clima di isolamento appartiene il terzo testo di Marcuse qui pubblicato. Preparato in occasione del XXVI Incontro Annuale della Norman Wait Harris Memorial Foundation, tenutosi all'Università di Chicago dal 28 maggio al 1 giugno 1950, in esso Marcuse discute le possibilità di uno sviluppo di movimenti popolari antidemocratici – avversi cioè al sistema liberal-democratico – nella Germania post-nazista sotto occupazione delle potenze alleate. In un clima politico già pienamente immerso nelle divisioni della guerra fredda, l'attenzione di Marcuse si concentra in primo luogo sui movimenti comunisti per smentire ogni rischio in questa direzione. Del resto, già nell'agosto del 1949, Marcuse aveva coordinato per il Dipartimento di Stato un lungo e dettagliato rapporto su The Potentials of World Communism . Nella sua relazione introduttiva spiegava come le condizioni particolari che, in discontinuità con le originali tesi marxiane, avevano visto la vittoria del comunismo in un paese relativamente arretrato come l'Unione Sovietica, e il suo sostanziale isolamento costituivano un ostacolo allo sviluppo mondiale del comunismo e favorivano l'industrializzazione a tappe forzate della società sovietica. Sebbene i partiti comunisti occidentali non fossero ancora del tutto discreditati fra i ceti proletari e mantenessero ancora un certo grado di autonomia dalla leadership sovietica, la loro base sociale e le possibilità di sviluppo erano minate da una serie di circostanze oggettive come il Piano Marshall, la politica americana di contenimento e i primi abbozzi di un sistema di relazioni commerciali tra Est e Ovest che contribuivano a «stabilizzare» il sistema ed avevano partecipato a «dissipare» gli effetti della propaganda comunista e ad indebolire il supporto e la simpatia che nell'immediato dopoguerra i partiti comunisti occidentali avevano trovato fuori dalla cerchia dei loro militanti attivi. Un simile scenario metteva quindi in luce l'esistenza di «limiti oggettivi» all'ascesa dei partiti comunisti europei e lasciavano presagire piuttosto la loro «integrazione» - anticipata nella diffusione della dottrina del «programma minimo» - nel quadro liberal-democratico della politica occidentale europea [21]. Nel caso poi della «zona occidentale» della Germania occupata la forza politica dei comunisti era declinata a tal punto dall'essere «insignificante». Nel caso di una nuova crisi economica era più probabile che i ceti popolari disagiati si affiancassero nuovamente a movimenti neo-nazisti, come dimostravano anche i rigurgiti antisemiti ancora ben presenti nelle zone occupate [22]. Per Marcuse, i veri rischi per uno sviluppo di tendenze antidemocratiche in Germania risiedevano invece proprio nella natura «artificiale», di occupazione, dell'ordine politico della Germania post-nazista, che avrebbe potuto favorire alleanze trasversali fra soggetti e gruppi molto diversi tra di loro attorno al problema della «liberazione nazionale». Tuttavia, proprio la difficoltà di pensare una soluzione diversa per la Germania post-nazista, era la metafora di una trasformazione della società contemporanea più radicale, che già da tempo Marcuse faceva coincidere con la fine dell'economia capitalistica liberale e l'ingresso nell'era monopolitistica «organizzata» [23]. Una trasformazione strutturale cui corrispondeva anche l'esaurimento delle categorie politiche della statualità moderna, l'inefficacia della forma hobbesiana di artificialità, e l'ingresso in una nuova fase storica in cui l'«ordine» politico consiste nel «governo» dei conflitti, come controllo e neutralizzazione sistemica delle spinte eversive [24].

3. Sul finire degli anni Sessanta, la partecipazione di Marcuse ai servizi di intelligence statunitensi fu utilizzata, soprattutto dagli ambienti marxisti filo-sovietici, per screditare la sua aura di «mentore» della nuova sinistra e del movimento studentesco seguita al successo mondiale di L'uomo a una dimensione . In un articolo anonimo del 1969 pubblicato su «Progressive Labor», Marcuse venne infatti accusato di essere stato una spia al servizio della CIA negli anni del conflitto mondiale e nel periodo in cui lavorò al volume su Soviet Marxism [25]. Queste stesse tesi vennero poi riprese in un articolo del 4 giugno 1969 pubblicato sul «Bulletin des Fränkischen Kreises» a firma di L.L. Mathias, ma anche da Daniel Cohn-Bendit, il leader del Sessantotto francese che, il 17 giugno 1969 al Teatro Eliseo di Roma interruppe più volte una conferenza di Marcuse chiedendogli conto di questa scandalosa collaborazione e delle ragioni della sua scelta di parlare in un «teatro della borghesia» [26].

Marcuse ha più volte smentito ogni suo legame, anche indiretto, con la CIA [27]. Sebbene l'OSS sia stata effettivamente l'agenzia da cui nacque nel secondo dopoguerra la CIA, non vi è infatti alcuna relazione con il Reasearch and Analysis Branch, che ha sempre avuto rapporti conflittuali con altre costole dell'agenzia come il SI (Secret Intelligence) e lo X-2 (Controspionaggio) da cui concretamente emerse la CIA e che, infatti, dopo la fine della guerra, venne trasferito in blocco al Dipartimento di Stato. In ogni caso, Marcuse ha sempre difeso anche le ragioni «politiche» del suo lavoro presso i servizi americani negli anni del conflitto mondiale, le stesse già espresse nel 1942 da Neumann nella sua prefazione al Behemoth : «Una sconfitta militare della Germania è necessaria. Non saprei dire se il nazionalsocialismo potrebbe venire schiacciato senza una disfatta militare. Ma di una cosa sono certo: una sconfitta militare lo cancellerebbe. La superiorità militare delle democrazie e della Russia sovietica deve essere dimostrata al popolo tedesco, poiché la filosofia nazionalsocialista sorge e cade con la sua millantata “efficienza”. Bisogna dimostrare che questa presunzione non è vera. Non bisogna permettere alla leggenda della “pugnalata alla schiena” del 1918 di risorgere ancora. Più numerosi e migliori aeroplani, carri armati e fucili, insieme a una completa disfatta militare, sradicheranno il nazionalsocialismo dalla mente del popolo tedesco. Ma questo non basta. La guerra deve essere abbreviata dividendo la Germania e separando le grandi masse popolari dal nazionalsocialismo. Questo è il compito della guerra psicologica, che non può essere dissociata dalla politica interna e estera degli avversari della Germania. La guerra psicologica non è propaganda. È politica» [28]. Similmente, per Marcuse la collaborazione scientifica all' intelligence americana era il contributo che l'emigrazione tedesca poteva fornire alla liberazione della Germania dal regime nazista e non era in contraddizione con i suoi orientamenti politici comunisti perché la sconfitta militare del nazismo era la precondizione per ogni possibile effettiva socializzazione e democratizzazione dell'Europa.

Più delle ragioni politiche della collaborazione, la cui efficacia come si è già visto si è poi rivelata alquanto dubbia, l'importanza del lavoro di intelligence svolto da Marcuse negli anni dello «sforzo bellico» è di tipo teorico. L'analisi del «nemico» tedesco è stata infatti il laboratorio in cui per la prima volta la «teoria critica della società» ha messo in opera le sue categorie politiche e filosofiche e sviluppato i capisaldi della sua critica della «società tecnologica avanzata». Come spiegherà in un breve contributo del 1947 in forma di tesi rimasto a lungo inedito, il nazismo è stato una «forma prematura e isolata di riorganizzazione capitalistica» che si è manifestata poi in tutta la sua evidente novità nell'equilibrio bipolare del secondo dopoguerra e che aveva nella società statunitense la sua forma più sofisticata e avanzata [29]. Più in particolare, l'attività nei servizi americani ha chiarito a Marcuse come in questa nuova società, nello spazio politico «tecnologico» della società tardocapitalistica, la lotta politica si gioca non tanto nella contrapposizione tra gruppi altamente politicizzati, quanto piuttosto nella capacità di stabilire canali di comunicazione reale con la «maggioranza silenziosa» degli uomini e delle donne che con la politica hanno un rapporto «immediato», ma al tempo stesso più ancorata ai bisogni vitali quotidiani. Così, come negli anni del conflitto mondiale «suggeriva» ai responsabili americani della propaganda di guerra di concentrare gli sforzi comunicativi verso gli strati popolari non militanti con simboli e messaggi capaci di rispondere realmente ai loro bisogni e desideri, similmente all'indomani del Sessantotto, nel pieno della lotta dei nuovi movimenti sociali per il «mutamento radicale» e contro la «controrivoluzione preventiva» del capitale, suggerisce ai giovani militanti di considerare le loro «azioni dirette», anche quelle più radicali, come forme popolari di «contro-educazione» che operano per la «trasformazione dei valori» dominanti tra la maggioranza della società opulenta per fare venire meno il diffuso consenso passivo, ma non per questo meno efficace, che sostiene la società tardocapitalistica [30]. Non è quindi un caso che proprio al movimento studentesco tedesco Marcuse attribuisca il merito di «averlo riconciliato con la Germania». Nelle pratiche politiche dei giovani studenti vedeva infatti la stessa energia e desiderio di liberazione che a suo tempo egli aveva riversato nell'analisi del «nemico» nazista.

 


Testi *

* Il primo testo è un dattiloscritto in lingua inglese senza titolo e data ritrovato nel Marcuse Archiv di Francoforte (HMA 119.02) insieme ad altri materiali marcusiani del periodo di collaborazione con l' intelligence americana. Fra questi anche il testo in lingua inglese qui pubblicato Sulla neutralità psicologica (HMA 129.01), anch'esso senza data. Entrambi sono stati pubblicati per la prima volta in H. Marcuse, Technology, War, and Fascism , a c. di D. Kellner, London-New York, Routledge, 1998, risp. pp. 174 -178 e pp. 187-190. Il testo su Movimenti popolari anti-democratici è invece apparso per la prima volta in Germany and the Future of Europe , a c. di H. J. Morgenthau, Chicago, University of Chicago Press, 1951, pp. 108-113. Si ringrazia Peter Marcuse, figlio del filosofo tedesco e executor del lascito intellettuale di Herbert Marcuse, per avere consentito la pubblicazione in lingua italiana di questi materiali.

Note sulla corretta propaganda di guerra verso i lavoratori tedeschi (1943)

Le note che seguono si basano sugli assunti delineati nel mio memorandum su The New German Mentality , nel memorandum su Stimmung e Haltung e nel tuo memorandum su German Popular Psychology And Its Implications for Propaganda Policy [31].

Nonostante le differenze essenziali tra la tua interpretazione e la mia, siamo d'accordo nel riconoscere una specifica mentalità nazista che richiede uno specifico nuovo approccio nella propaganda. Il termine Haltung può essere un'utile abbreviazione per caratterizzare questa mentalità. Ritengo che siamo entrambi d'accordo che l'elemento fondamentale nel nuovo approccio alla propaganda debba essere il “ linguaggio dei fatti ” in contrapposizione agli appelli al “morale”, anticipazioni di gratificazione e punizione, promesse e così via. Siamo forse giunti al punti in cui il linguaggio dei fatti può essere integrato anche da altri appelli, ma deve ancora rimanere la loro base reale. Parlare il linguaggio dei fatti non significa restringere la propaganda alla trasmissione di notiziari, ma che ogni trasmissione deve essere costruita attorno a “simboli concreti”. I campioni del German Labor Show che mi hai reso disponibili contengono numerosi esempi di un perfetto uso del “linguaggio dei fatti” (cito solo il contrasto lampante tra l'orario di lavoro in Germania e in America e l'eccellente trattazione del problema dei lavoratori stranieri). Inoltre, essi evitano l'errore cardinale di prendere sul serio l'ideologia nazista e la confutano su un piano oggettivo. Al tempo stesso, tuttavia, frequentemente contraddicono i propri criteri e non riescono a raggiungere i punti vulnerabili della mentalità nazista.

Le trasmissioni sono piene di frasi come “Der Tag rückt unerbittlich und unaufhaltsam näher…” [La luce del giorno è inesorabilmente e irresistibilmente più vicina, n.d.c. ], “Das muss vereitelt werden! Die Kriegs-verlängerungspläne Hitlers müssen zunichte gemacht werden” [Bisogna fermarli! I piani hitleriani di guerra devono essere annientati, n.d.c. ], “Der Tag der Abrechnung ist nicht meher fern” [Il giorno della resa è ormai prossimo, n.d.c. ]. Questo linguaggio puramente anticipatorio rinuncia ad ogni possibile effetto sui lavoratori tedeschi perché è interamente un linguaggio di rassicurazioni e aspettative che non sono né implementate né mediate da fatti e da simboli concreti. Ai lavoratori tedeschi tutto ciò appare solo come velleitarismo e, ciò che è peggio, come lo stesso tipo di velleitarismo a cui essi stessi indulgevano senza essere capaci di realizzare i loro desideri. Questo potrebbe renderci i loro partner nella debolezza anziché nella forza.

Bisogna tenere presente che la Haltung nazista è stata imposta sui lavoratori tedeschi tanto quanto sui ceti medi tedeschi e la gioventù tedesca. Il corpo dei lavoratori tedeschi ha accettato il sistema nazista; cercano di sopportarlo e di “tenere duro”. Sono ancora convinti che “sono tutti sulla stessa barca” e attendono gli eventi. Questo atteggiamento è probabilmente perpetuato dal terrore violento, ma è ancora prevalente [32], e non può essere distrutto da appelli e esortazioni alla libertà e con la descrizione delle fortune della democrazia, perché i lavoratori tedeschi pensano alla democrazia primariamente nei termini della Repubblica di Weimar, vale a dire in termini di faide parlamentari senza fine, conflitto interno, inflazione, disoccupazione e insicurezza. E la memoria dei loro precedenti diritti e libertà non ha alcun impatto liberatorio su di loro dato che sono noti e compresi con riferimento al passato. Né possono diventare simboli di liberazione se presentati come doni futuri, poiché i fatti del passato oscureranno il futuro fino a quanto queste promesse non diventeranno realtà.

Se parlo di “corpo” dei lavoratori tedeschi, è perché escludo quei gruppi che mantengono viva la tradizione marxiana del lavoro tedesco. Non sappiamo nulla sulla loro forza, ma per quanto grande possa essere, questi gruppi non necessitano di propaganda nel senso in cui può essere diretta verso altri strati. Le uniche trasmissioni che per loro potrebbe valere la pena ascoltare sono quelle che forniscono informazioni concrete su eventi e misure fuori dal campo della loro esperienza e conoscenza (ad esempio, dettagli sulla connessione tra grande impresa e il partito nazista, gli investimenti tedeschi all'estero, le condizioni dei Paesi occupati).

Proverò ora a fornire alcuni suggerimenti relativi all'approccio da tenere nella propaganda ai lavoratori tedeschi estrapolando alcuni passaggi dai campioni a mia disposizione.

Le trasmissioni mettono in contrasto frequentemente il progresso sociale e la legislazione sociale in America e in Germania. Ai lavoratori tedeschi questa appare come cruda e falsa propaganda. I giornali tedeschi sono pieni di descrizioni delle condizioni di vita americane (molte delle quali prese da quotidiani e riviste americani). Conoscono le condizioni degli alloggi nei nuovi centri di guerra, la discriminazione contro i neri, l'assenza di una completa previdenza sociale. Dall'altro lato, la Germania nazista mantiene un sistema generale di previdenza sociale e le condizioni abitative dei lavoratori tedeschi non sono certo deteriorate. Una frase ad effetto come “dass es in Deutschland unter Hitler abwärts ging” [Da quando in Germania c'è Hitler la situazione è peggiorata, n.d.c. ] è forse per molti di loro senza senso. Hanno avuto piena occupazione sin dal 1934. Naturalmente, il cibo è scarso, non possono comprare nulla e lavorano 10, 12 e 14 ore al giorno, ma credono di essere in una guerra per la loro stessa sopravvivenza. In simili circostanze, il contrasto tra il progresso sociale in America e il declino sociale in Germania non può provocare altro che una reazione ostile e cinica.

Le trasmissioni invitano i lavoratori tedeschi ad aiutare le Nazioni Unite a rovesciare il regime di Hitler e a liberare la Germania dal “tiranno”. Parlano di “ Missione ” dei lavoratori tedeschi. Ma questo è proprio quello che ripete loro continuamente anche Hitler! Dovremmo fare attenzione a non esortare i lavoratori tedeschi alla rivolta o anche solo di aiutarci a sconfiggere Hitler, perché questo potrebbe facilmente provocare la risposta che è uno scherzo di cattivo gusto chiamare alla rivolta da un porto sicuro distante tremila miglia. E la richiesta di “aiuto” potrebbe facilmente trovare come risposta che non abbiamo fatto nulla per aiutare i lavoratori tedeschi nel 1933-34 e che non abbiamo quindi alcun diritto di aspettarci il loro aiuto ora.

Dovremmo inoltre evitare di parlare di “Volk, das unter dem eisernen Joch der Hitlerschen Diktatur seufzt” [popolo che soffre sotto il giogo della dittatura hitleriana, n.d.c. ], e di “Mächte der Unwissenheit, der Unduldsamkeit, der Sklaverei und des Krieges” [forze dell'ignoranza, dell'intolleranza, della schiavitù e della guerra,
n.d.c.
], che vogliamo distruggere “ein für allemal” [una volta per tutte, n.d.c. ]. Questo linguaggio evoca i discorsi pomposi dei vecchi bonzi; il suo vocabolario può solo provocare risate o orrore. L'ascoltatore non capisce neanche di che cosa stiamo parlando. Siamo qui di fronte ad uno dei problemi più seri implicati nelle trasmissioni verso la Germania nazista. Non possiamo operare a priori in base all'assunto che al cittadino medio tedesco ariano il regime di Hitler e la Gestapo comunichino lo stesso terrore che comunicano a noi e all'opposizione militante in Germania. Per loro la Gestapo non è più reale o terrificante di quanto non lo sia la F.B.I. per il cittadino medio americano. Sanno che il regime di Hitler è una dittatura, ma non ha per loro maggiori connotazioni di terrore della Repubblica che aveva elezioni e organizzazioni libere, ma anche disoccupazione e inflazione.

Questo conduce immediatamente alla questione degli obiettivi di guerra e di pace , e di come formularli in modo che possano avere presa sui lavoratori tedeschi. Le libertà democratiche non ne avrebbero, né la “Zusammenschluss der Arbeiter in freien Gewerkschaften” [l'unione dei lavoratori in liberi sindacati, n.d.c. ]. A parte il fatto che, nelle menti dei lavoratori tedeschi, i sindacati sono inseparabilmente legati ad un sistema che non è stato capace di prevenire l'ascesa del nazismo e che non è stato capace di garantire loro sicurezza, è dubbio se i sindacati possano essere il simbolo migliore per la futura società democratica in Germania. I lavoratori tedeschi sono stati costantemente nutriti con storie sul “taglieggiamento” e la lottizzazione nei sindacati americani, e la loro credenza a queste storie non può essere scosso semplicemente descrivendo i sindacati americani come un modello di libertà. Ogni obiettivo di pace è necessariamente una vaga anticipazione di un futuro che ha poco peso per il lavoratore tedesco che è interamente preoccupato dall'impatto totalitario dei fatti attuali. Vi è un solo modo per rompere questa preoccupazione, vale a dire attivizzare il loro desiderio di fare finire la guerra il prima possibile. E questo, ancora una volta, non può essere fatto con promesse di invasione e esortazioni all'aiuto, ma solo nel “linguaggio dei fatti”, mostrando loro che il regime di Hitler è costretto a continuare la guerra perché è costretto a difendere e perpetuare lo sfruttamento economico e la spoliazione del continente europeo nell'interesse del grande capitale nazista. Una simile dimostrazione potrebbe distruggere la convinzione che i lavoratori tedeschi lottano per l'indipendenza e la libertà del popolo tedesco e che godranno di sicurezza e di un più alto tenore di vita.

Per raggiungere questo obiettivo, la dimostrazione deve procedere su un terreno strettamente concreto. Il materiale disponibile è abbondante. Tre linee principali potrebbero essere seguite:

ï  mostrare l'effettiva espansione del grande capitale nazista nei paesi occupati e controllati, gli investimenti nell'est, nei Balcani, in Europa Occidentale; fornire un'informazione dettagliata sulla rapida crescita del gruppo Dye, la compagnia petrolifera e l'industria tessile;

ï  mostrare come la politica economica di Hitler e, in larga parte, anche le sue misure politiche e sociali servono sempre più a rafforzare e allargare il dominio del grande capitale nazista;

ï  mostrare il sempre crescente amalgama tra il partito nazista e il grande capitale; mostrare come il “partito” eroico e i leader delle S.S. hanno acquisito interessi economici sostanziali.

In questo modo, l'immagine della guerra come lotta per l'esistenza nazionale della Germania potrebbe lentamente e gradualmente essere trasformata nell'immagine di una guerra per proteggere le ricchezze dei capi del partito nazista e delle grandi imprese, e la credenza nella Volksgemeinschaft (che esiste ancora in ampi strati delle masse tedesche) potrebbe trasformarsi nella realizzazione della crescita inevitabile della disuguaglianza nei sacrifici e nelle ricompense (è un peccato che nel trattare la Mobilitazione Totale [misura nazista adottata da Hitler nel gennaio del 1943, n.d.c. ] le trasmissioni si lascino sfuggire i fatti evidenti che dimostrano questa disuguaglianza).


Sulla neutralità psicologica (1943)

La guerra attuale ha cambiato fondamentalmente l'attitudine tradizionale della popolazione civile verso il nemico. Non si agitano, non sono mossi da entusiasmo appassionato e da determinazione: apprezzano semplicemente, sobriamente, indifferentemente, e in modo realistico. I recenti appelli nazisti per un odio più profondo e un più profondo egoismo che “annulla il desiderio di essere imparziale e giusto” testimonia il prevalere di questo desiderio in Germania [33]. Non è tuttavia confinato alla Germania. Il carattere tecnologico della guerra e il suo inquadramento economico e sociale hanno favorito uno stato di “neutralità psicologica” anche nei paesi democratici. E i nazisti, che lottano violentemente contro questa attitudine tra la loro popolazione, hanno fatto di tutto per usarla per fiaccare il morale dei loro nemici.

Ci sono state prove abbondanti nel caso della Francia, dove la neutralità psicologica tra ampi strati della popolazione è diventata lo strumento per diffondere il disfattismo e la rassegnazione. Tuttavia, le pericolose implicazioni di questa attitudine vanno ben oltre il caso particolare della Francia. Il realismo pragmatico della vita quotidiana che caratterizza il comportamento degli uomini nell'era tecnologica tende ad interpretare le questioni concrete, il destino di ogni singolo individuo che è attualmente in gioco, in termini di forze, macchine, e istituzioni obiettive. L'uomo così si libera psicologicamente della pressione insopportabile che è stata posta sulle sue spalle. Una simile razionalizzazione non solo lo protegge dall'impatto degli eventi che minaccia la sua stessa esistenza, ma anche dalla irrefrenabile determinazione a lottare contro questa minaccia in ogni momento della sua esistenza. La guerra diventa “così ragionevole che è difficile eccitarsi per essa” [34]. Lungi dal consentire agli uomini di vedere i fatti, questa mancanza di eccitamento li acceca contro i fatti. Non credono a storie atroci quando la realtà è diventata più atroce della storia più fantastica. “Il popolo…la cui indignazione era (nella Prima Guerra Mondiale) prostituita agli interessi della vittoria militare, oggi funge nevroticamente da protezione contro questo tipo di sfruttamento perché non produce alcuna reazione di fronte ad autentiche atrocità” [35]. In queste circostanze, tuttavia, l'odio e la credenza nelle storie atroci anche senza documentazione sono più vicini alla realtà della valutazione più ragionevole e spassionata. Il terrore che il Nuovo Ordine di Hitler diffonde nel mondo sfida ogni valutazione ragionevole e fa dell'odio e della fede oltre ogni ragionevolezza l'unica reazione adeguata. Una simile reazione è più umana del “desiderio di essere imparziale e giusto”, perché è simpatetico con le vittime e l'infallibile volontà di liberare loro il supremo motivo del pensiero e dell'azione.

L'appello tedesco all'odio e all'entusiasmo dimostrano che questi fattori psicologici hanno anche una relazione diretta con la condotta tecnica della guerra. Essi rendono l'uomo capace di forzare una situazione in cui la ragionevolezza è destinata presto a cedere il passo, di vedere possibilità che superano i confini della valutazione imparziale, di tenere testa all'inaspettato e all'ignoto, di inventare armi e trovare soluzioni sul momento, di padroneggiare “l'arte dell'improvvisazione”. Il capitano dell'esercito tedesco che ha applaudito a queste qualità del soldato russo [36] ha riconosciuto che mancanza di entusiasmo e abbondanza di ragionevolezza sono un grave punto debole materiale anche nella più tecnologica delle guerre. Secondo questo esperto, sarebbero ampiamente responsabili del fallimento dei nazisti nel conseguire la vittoria decisiva in Russia. Ed infatti, i nazisti si sono rivelati essi stessi veri maestri nell'arte di raggiungere l'impossibile solo dove odiavano, ovvero nello sterminio del nemico interno, nella loro persecuzione dei deboli e degli indifesi, nei loro ghetti e nei campi di concentramento.

Il problema che emerge dalla diffusa neutralità psicologica è duplice:

ï  Rafforzare il realismo imparziale tra la popolazione dei paesi fascisti fino al punto in cui farà i conti con il vero realismo del regime nazionalsocialista e le sue possibilità [rispetto] alle Nazioni Unite. Questo problema è stato discusso altrove (nel memorandum su The New German Mentality ).

ï  Rompere con la neutralità psicologica prevalente tra la popolazione dei paesi democratici finché quest'attitudine minaccia di impedire la guerra illimitata contro l'Asse. Naturalmente, sarebbe fatale adottare i metodi fascisti di propaganda e di educazione all'odio. La determinazione appassionata a distruggere il fascismo è la qualità esclusiva di un popolo libero e può essere creata e preservata solo nella lotta determinata contro il fascismo in tutte le sue forme e su tutti i fronti. Ogni passo che assicura libertà, giustizia e l'eguaglianza del sacrificio a casa rafforzerà automaticamente la volontà di eliminare il fascismo all'esterno.

La politica basilare deve tuttavia essere integrata da una campagna contro alcune forme di influenza sull'opinione pubblica che, per quanto triviali possano apparire, sono strumentali a favorire un attitudine conciliatoria verso il fascismo. Ci limitiamo qui solo ai seguenti esempi:

ï  L'apparentemente imparziale e obiettiva presentazione del nazionalsocialismo nella stampa, nei film, nella letteratura e alla radio. La questione non è se alcuni risultati del regime siano buone, o se alcuni singoli nazisti “non siano così male”. Il sistema è tale da non consentire alcuno sconto: anche i suoi successi si trasformano in distruzione, e chiunque vi partecipi ne condivide anche il suo orrore. La verità è che l'orrore è così grande che i pochi casi che “potrebbero non essere così male” non possono mai bilanciare o alleviare l'attuale bestialità. L'unica vera presentazione oggettiva e imparziale è quella che rivela la bestialità in opera: negli atti dei soldati tedeschi al fronte, nel trattamento che riservano alla popolazione civile nei territori occupati, nello sterminio degli indifesi e dei malati.

ï  La tendenza a riconciliare la guerra con la normalità del benessere standardizzato e dell'intrattenimento tipico dei tempi di pace. Questa tendenza trova la sua peggiore manifestazione nello styling della pubblicità commerciale come proclami nazionali, nella giustapposizione di “bambole” e eroi, nella mobilitazione dei night clubs per lo sforzo bellico. Una simile politica di “rilassamento” può forse avere rafforzato il morale pubblico durante la Prima Guerra Mondiale, ma le concezioni che erano valide a quel tempo non corrispondono più alla situazione attuale. Quando più la guerra va avanti, tanto più la distanza tra la vita a casa e la vita al fronte diventerà nociva.

ï  La svalutazione della posta in gioco con la tendenza a minimizzare il nemico. Cartoni, storie e caricature che “prendono in giro” i nazisti servono solo ad alleviare il terrore del loro regime. Il risultato è che la mente, quando si confronta con la realtà del nazionalsocialismo e del suo mondo, subisce uno shock che potrebbe renderla incapace di reagire adeguatamente. Per essere un'arma di difesa, la presentazione satirica deve rivelare la vera natura del suo oggetto. Nel caso del nazionalsocialismo, questo significa che non deve alleviare l'orrore. Ma questo supera i confini dei fumetti.

ï  La tendenza a glorificare e “abbellire” i successi dell'esercito tedesco, specie dei suoi generali (questa tendenza è particolarmente evidente nei resoconti del Time su Rommel, Bock, Raeder, ecc.). Una simile presentazione è strumentale a sostenere la leggenda della superiorità tedesca. Certi gruppi tra la popolazione dei Paesi democratici sono troppo facilmente inclini a magnificare l'efficienza della macchina nazista nel risolvere i problemi interni (problemi del lavoro, razionalizzazione, controllo assoluto della produzione, distribuzione e consumo, eliminazione dello spreco e delle attività sovversive, ecc.). Potrebbero essere tentati di confrontare questi “successi” tedeschi con le condizioni nel loro Paese ed arrivare alla conclusione che, dopo tutto, il nazismo ha fatto alcune cose utili.


Movimenti popolari antidemocratici (1951)

Non esistono oggi movimenti popolari antidemocratici in Germania. Con l'occupazione, la democrazia è oggi l'unica forma di vita politica consentita e i meccanismi di controllo dell'occupazione sono ancora sufficientemente forti da prevenire l'ascesa di ogni tipo di movimento popolare antidemocratico. Oggigiorno, tutto e tutti sono democratici in Germania; anche i comunisti hanno adottato un programma minimo democratico che può essere raggiunto nel quadro delle istituzioni democratiche.

Naturalmente, esistono sparuti gruppi antidemocratici clandestini. Il più cospicuo è già stato menzionato [37], la cosiddetta Brüderschaft o “Fratellanza”, composta principalmente da ex-alti dirigenti nazisti, ufficiali della Wehrmacht , ecc. Si tratta di un gruppo veramente piccolo, senza alcuna influenza popolare e con prospettive, almeno al momento, estremamente negative. Vi sono altri simili gruppi che, allo stato attuale, non hanno alcuna importanza.

Naturalmente, un quadro così rassicurante non corrisponde alla realtà e, sotto questa superficie democratica, si muove qualcos'altro. Per questo motivo la domanda deve essere riformulata diversamente e la discussione deve partire dalla domanda: quale gruppo in Germania vorrebbe e sarebbe capace di smantellare le forme e le istituzioni democratiche se e quando queste ostacolassero i loro interessi politici ed economici vitali? E per “istituzioni democratiche” intendo le istituzioni democratiche nel nostro senso occidentale, primariamente parlamentarismo, governo rappresentativo, diritti civili e organizzazioni sindacali libere. Così riformulato il tema, quali sono i gruppi potenzialmente antidemocratici?

Prima di tutto, naturalmente, bisogna spendere qualche parola sui comunisti. Il partito comunista nella Germania occidentale è ancora un partito operaio, per quanto profondamente distinto dal partito comunista della Germania orientale, che è un partito pigliatutto che comprende un settore molto ampio di non salariati, di dirigenti, anche di uomini d'affari, servitori delle istituzioni pubbliche, ecc. Ora, il partito comunista occidentale ha subito un forte declino. Non voglio annoiarvi con tabelle e statistiche; lasciatemi solo ricordare che la sua forza elettorale è scesa dal 15.6 per cento del 1932 al 5.7 per cento nelle ultime elezioni, e che i suoi iscritti sono al momento non superiori a 150.000 in tutta la Germania occidentale.

Questa non è una vera e propria statistica; né la forza elettorale né le iscrizioni sono un criterio sufficiente per delineare la forza comunista, perché abbiamo già visto che in situazioni di emergenza la forza comunista è ampiamente condizionata da altri gruppi fuori dai ranghi e dalle fila dei votanti regolari che il partito può attrarre in simili situazioni d'emergenza. Più importante del declino degli iscritti e della forza elettorale è, in primo luogo, il declino nelle posizioni chiave in seno allo stesso movimento operaio. I comunisti sono al momento quasi del tutto esclusi da posizioni chiave in seno alle organizzazioni sindacali ed hanno perso molta della loro influenza nei consigli di fabbrica. Inoltre, esistono profondi dissensi tra i ranghi comunisti, ora sintetizzati sotto la voce “titoismo”, che è ovviamente un mero non senso perché ai lavoratori e ai funzionari comunisti dissidenti non gliene importa un fico secco di Tito. Si può ragionevolmente affermare che il più importante elemento di discordia e dissidio risieda nell'attuale politica di Fronte Nazionale adottata dal partito comunista e dalla sua completa identificazione con l'URSS e la politica sovietica. Nella Germania occidentale il partito si basa ancora, o almeno fino a poco tempo fa si basava, su funzionari del periodo precedente il 1933 che mal sopportavano la crescente subordinazione del tema della lotta di classe al tema della “liberazione nazionale”, e in questo momento il partito sta cercando di cacciare via tutti questi funzionari dissidenti o almeno di relegarli in posizioni innocue. Di conseguenza, alla luce del declino in seno al movimento operaio, del dissenso tra i suoi stessi ranghi e della impopolarità dell'identificazione del partito con la politica sovietica, le prospettive del comunismo in Germania sono negative per un periodo abbastanza lungo.

Il secondo gruppo capace di smantellare le forme e le istituzioni democratiche è già stato menzionato. È il vasto esercito degli espulsi, rifugiati, disoccupati e dei ceti medi impoveriti nella Germania occidentale. È già stato illustrato come questo non sia in alcun modo un gruppo omogeneo. È composto degli elementi più divergenti con interessi altrettanto divergenti e addirittura conflittuali. Ora, il gruppo che tradizionalmente nella recente storia tedesca è stato interessato a supportare direttamente o indirettamente movimenti antidemocratici è la vecchia aristocrazia terriera prussiana; in secondo luogo le alte gerarchie militari e, terzo, certi gruppi tra gli industriali della Germania occidentale. Di questi gruppi, il primo, l'aristocrazia terriera, non esiste più per molte ragioni pratiche. La riforma agraria nella zona orientale ha distrutto le basi economiche di questo gruppo e la sua controparte occidentale non è sufficientemente forte per giocare un simile ruolo. Per quanto concerne il secondo gruppo, le alte gerarchie militari, anch'esse non esistono più, sebbene piccoli nuclei siano ancora presenti, di cui bisognerà discutere in seguito. Il terzo e restante gruppo, certi elementi tra gli industriali tedeschi, è al momento fedele alle forme e alle istituzioni democratiche per la semplice ragione che il governo Adenauer promuove in larga parte i loro interessi; non hanno quindi molte ragioni per contrastare questo governo e la politica che lo guida, specie la sua tendenza spiccatamente antisociale, la sua lotta contro i meccanismi di controllo dell'occupazione, in particolare la Ruhr Authority, e il suo forte sentimento nazionalista. Inoltre, e cosa più importante, questi gruppi industriali sanno molto bene che dipendono dall'aiuto occidentale e si può ragionevolmente affermare che, fintanto che dipenderanno dall'aiuto occidentale, non faranno nulla per rompere con le democrazie occidentali.

Alla luce di questi fatti, dovremmo concludere che le prospettive per i movimenti popolare antidemocratici in Germania sono negative. Ma rimane sempre lo spettro di una congiunzione tra il primo e il secondo gruppo, vale a dire l'unione tra forze comuniste e forze conservatrici e militariste di destra. Questo problema è già stato indicato. Io mi limiterò ad osservarlo nei suoi aspetti principali, vale a dire la riunificazione della Germania e l'alleanza con l'URSS per ottenere questa riunificazione.

Questa famosa alleanza tra destra e sinistra, tra forze comuniste e forze conservatrici e militariste, è esistita nella storia tedesca in due forme differenti. In primo luogo, vi fu la cosiddetta alleanza “nazional-bolscevica” della metà e della fine degli anni Venti. Questo movimento è stato ampiamente sopravvalutato poiché, nella realtà, è stato non più di un vano tentativo da parte dei comunisti di guadagnare supporto tra i circoli di destra. L'alleanza era basata su un compromesso in base al quale la destra si pensava potesse accettare la rivoluzione sociale in cambio dell'aiuto comunista e sovietico nella cosiddetta “lotta per la liberazione nazionale”, vale a dire la completa abrogazione dei risultati del Trattato di Versailles e la restaurazione della Germania come potenza mondiale. Nessun risultato provenne negli anni Venti dal nazional-bolscevismo ed oggi suscita ancora meno ascendente per la semplice ragione che non esiste un partito bolscevico in Germania e che i partiti comunisti in Germania hanno già completamente subordinato il tema della rivoluzione sociale a quello della liberazione nazionale.

Tuttavia, mentre vi sono pochi spazi per un rinnovamento del nazional-bolscevismo, bisogna almeno considerare la possibilità che certi elementi della destra possano concludere quella che potremmo chiamare un'alleanza diplomatica o economica o, in un prossimo futuro, anche militare con l'URSS per ottenere la riunificazione della Germania e restaurare la Germania come potenza dell'Europa centrale o forse anche come potenza europea continentale. Non importa come immaginiamo questa unificazione; è abbastanza chiaro che non è più o non è proprio un problema tedesco e che dipende interamente da un accordo tra Est e Ovest, da un accordo su scala internazionale.

Stanti così le cose, non è sorprendente che forze tedesche possano ipotizzare un'alleanza internazionale per risolvere il problema o almeno per portarlo vicino ad una conclusione. Ancora una volta, le prospettive per una simile alleanza sono negative. I gruppi nella Germania occidentale favorevoli al blocco orientale, come il gruppo Nadolny e il gruppo Hermes, sono stati ampiamente sopravvalutati. La loro influenza è praticamente trascurabile. Molto più importanti sono i tentativi ufficiali e non ufficiali, ancora una volta da parte di certi gruppi industriali, di pervenire ad un accordo economico con l'Est, specialmente, com'è ovvio, in vista dei mercati dell'Est. Ma anche in questo caso, i controlli sono stati sufficientemente reali ed efficienti da prevenire uno sviluppo simile su larga scala.

Siamo arrivati al punto in cui bisogna lasciarsi andare ad alcune piccole speculazioni per il futuro. Naturalmente, non è pensabile che la situazione rimarrà come quella attuale e bisogna dunque chiedersi: se le forze favorevoli all'Est, le forze che in Germania lavorano per un'alleanza con l'URSS, dovessero rafforzarsi, la struttura politica e sociale tedesca sarebbe sufficientemente stabile da resistere e contrastare un simile sviluppo? Per discutere questa eventualità bisogna naturalmente assumere in primo luogo la presenza di un deterioramento della situazione economica. Se le condizioni fossero come quelle attuali o anche migliori non vi sarebbe il minimo spazio per uno sviluppo di questo tipo. Solo di fronte ad serio deterioramento della situazione economica nell'Ovest e ad un contemporaneo progresso dell'integrazione e dell'industrializzazione dei paesi nell'orbita orientale, solo in una simile situazione si può immaginare una crescita dell'orientamento verso Est. Ora, se ciò dovesse accadere, l'attuale struttura della Germania occidentale è sufficientemente stabile e forte da fare fronte ad uno sviluppo di questo tipo, che sarebbe da tutti i punti di vista uno sviluppo antidemocratico, perché dovrebbe smantellare quasi tutte le forme e le istituzioni democratiche occidentali esistenti per fare funzionare quest'alleanza?

L'attuale struttura della Germania occidentale è altamente artificiale. Non vi è alcun dubbio che il quadro attuale assomiglia poco alle attuali forze politiche e sociali. Questa Germania, governata da partiti conservatori e moderati, non è certamente in armonia con le sue condizioni oggettive. Questa Germania è stata creata e mantenuta quasi nella sua interezza dall'occupazione e dal conflitto Est-Ovest. Le condizioni oggettive attuali in Germania non vanno certo nella direzione della completa restaurazione e del funzionamento di un'economia libera, dell'abolizione di tutti i controlli governativi, della quasi del tutto pacifica, e per questo sospetta, cooperazione tra tutte le forze sociali, di un partito comunista che è trascurabile e di partiti militaristi neonazisti altrettanto trascurabili. Se la società tedesca attuale fosse lasciata al suo destino, si può ipotizzare che gli attuali partiti borghesi non sarebbero da soli in grado di resistere ad una crescente radicalizzazione. Si può inoltre ipotizzare che in questo caso il partito socialdemocratico, per le ragioni già esposte, potrebbe perdere buona parte del suo orientamento operaio.

Non voglio rispondere alla domanda se la società che emerge sarebbe capace di contrastare uno sviluppo filo-orientale. Voglio solo dire alcune parole, ancora una volta per amore della discussione, sul carattere artificiale di questa società, che mi sembra un tema piuttosto importante. La stabilizzazione o quasi stabilizzazione della Germania occidentale attuale è dovuta all'occupazione e questa società, è già stato detto, si fonda su un'economia altamente artificiale – un'economia che nei suoi segmenti più vitali si fonda sull'aiuto straniero. Questo, ovviamente, la rende artificiale. Ma mi chiedo se un sistema che è stato creato artificialmente ma che è mantenuto come se fosse un'impresa ben avviata, se un sistema così “artificiale” non sia ora un sistema normale. O, se vogliamo formularla in un altro modo, se il nostro concetto di “artificiale” non è un concetto ottocentesco e presuppone condizioni ottocentesche che non esistono più nell'Europa attuale, e che, se abbandoniamo queste concezioni ottocentesche, non dovremmo forse abbandonare anche l'assunto che questa sia una società artificiale e pervenire ad una valutazione alquanto differente.

Note

[1] Sull'OWI, vedi A. Winkler, The Politics of Propaganda: The Office of War Information, 1942-1945 , New Haven, Yale University Press, 1978.

[2] Cfr. il carteggio tra Marcuse e Horkheimer in M. Horkheimer, Gesammelte Schriften , a c. di G. Schmid Noerr, Frankfurt a.M., Fisher Verlag, 1985 sgg., vol. 16, spec. pp. 387-394.

[3] Sull'emigrazione tedesca negli Stati Uniti, si vedano The Cultural Migration. The European Scholar in America , a c. di R. Crawford, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1953, Deutsche Exil-Literatur 1933-1949 , a c. di W. Sternfeld e E. Tiedemann, Heidelberg, Darmastadt, 1962; H. Stuart Hughes, Da sponda a sponda. L'emigrazione degli intellettuali europei e lo studio della società contemporanea (1975), Bologna, Il Mulino, 1975; America-Europa: la circolazione delle idee , a c. di T. Bonazzi, Bologna, Il Mulino, 1976; A. Söllner, Wissenschaftliche Kompetenz und politische Ohnmacht - Deutsche Emigranten im amerikanische Staatsdienst 1942-1949 (1987), ora in Id., Deutsche Politikwissenschaftler in der Emigration Studien zu ihrer Akkulturation und Wirkungsgeschichte , Opladen, Westdeutscher Verlag, 1996, pp. 118-132; Da Berlino a New York , a c. di M. Salvati, Milano, Bruno Mondadori, 2000 2 . Lo stesso Marcuse ha in seguito discusso il problema in Die Einfluss der deutschen Emigration auf amerikanische Geistleben , in «Jahrbuch für Amerikastudien», vol. 10, 1965, pp. 27-33.

[4] Sull'emigrazione della «Scuola di Francoforte» negli Stati Uniti e la sua attività, cfr. fra gli altri R. Wiggershaus, La Scuola di Francoforte. Storia. Sviluppo teorico. Significato politico (1986), Torino, Bollati Borighieri, 1992 e H. Homann, Die Frankfurter Schule im Exil , in C. Albrecht – G. C. Behrmann – M. Bock – H. Homann – F. H. Tenbruck, Die intellektuelle Gründung der Bundesrepublik. Eine Wirkungsgesschichte der Frankfurter Schule , Frankfurt a. M., Campus Verlag, 2000, pp. 57-77. Sulla partecipazione dei «francofortesi» all'OSS, cfr. invece B.M. Katz, Foreign Intelligence. Research and Analysis in the Office of Strategic Services 1942-1945 , Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1989, spec. pp. 29-61.

[5] H. Marcuse, Alcune implicazioni sociali della moderna tecnologia , in Tecnologia e potere nelle società post-liberali , a c. di G. Marramao, Napoli, Liguori, 1981, pp. 137-170, e Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo , in H. Marcuse, Davanti al nazismo. Scritti di teoria critica (1940-1948) , a c. di C. Galli e R. Laudani, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 13-40. Sulla partecipazione di Marcuse all'OWI, cfr. invece B. M. Katz, Herbert Marcuse and the Art of Liberation. An Intellectual Biography , London, Verso, 1982, spec. pp. 111-114.

[6] H. Marcuse, La nuova mentalità tedesca , in H. Marcuse, Davanti al nazismo , cit., pp. 41-81.

[7] Ivi, pp. 80-81.

[8] H. Marcuse, Presentazione del nemico , in Davanti al nazismo , cit., pp. 83-91.

[9] H. Marcuse, L'uomo ad una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata (1964), Torino, Einaudi, 1967.

[10] B.M. Katz, Herbert Marcuse , cit., p. 114.

[11] Cfr. nota 2.

[12] Sull'OSS, cfr. R.H. Smith, OSS: The Secret History of America's First Intelligence Agency , Berkeley, University of California Press, 1972. Sulla Sezione Europea dell'OSS, Zur Archäologie der Demokratie in Deutschland , a c. di A. Söllner, 2 voll., Frankfurt a. M., Fisher Verlag, 1986. Sulla partecipazione di Baran e Sweezy all'OSS, cfr. invece B.M. Katz, Foreign Intelligence , cit., spec. capp. 4 e 5.

[13] B. M. Katz, Foreign Intelligence , cit., p. 36.

[14] H. Marcuse, Prefazione a F. Neumann, Lo Stato autoritario e lo Stato democratico (1957), Bologna, Il Mulino, 1973, p. 4.

[15]Teoria e politica. Intervista di J. Habermas ad H. Marcuse del 1978 , ora in J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione , a c. di E. Agazzi, Milano, Unicopli, 1983, p. 179.

[16] J. Herz, The Fiasco of Denazification in Germany , in «Political Science Quarterly», 63, 4, 1948, pp. 569-594.

[17] Cfr. nota 2.

[18] R.H. Smith, op. cit. , p. 365.

[19] D. Kellner, Introduction to H. Marcuse, Technology, War, and Fascism , a c. di D. Kellner, London-New York, Routledge, 1998, pp. 25-27.

[20] H. Marcuse, Soviet Marxism , Parma, Guanda, 1968.

[21] Cfr. B.M. Katz, Herbert Marcuse , cit., pp. 132-133.

[22]Anti-Semitism in the American Zone , documento del 3 marzo del 1947 ritrovato nel Marcuse Archiv insieme ad altri materiali degli anni di collaborazione con l'intelligence americana, di cui però non è chiara la paternità o il ruolo avuto da Marcuse nella stesura.

[23] Cfr. ad esempio H. Marcuse, La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato (1934), in H. Marcuse, Cultura e società , Torino, Einaudi, 1969, pp. 3-41.

[24] Queste tesi, qui appena abbozzate, saranno sviluppate da Marcuse in forma compiuta e certamente più politicizzata nel confronto con la guerra nel Vietnam. Su questo si vedano i contributi raccolti in H. Marcuse, Oltre l'uomo a una dimensione. Movimenti e controrivoluzione preventiva. Scritti inediti e postumi di Herbert Marcuse, vol. 1 , a c. di R. Laudani, Roma, Manifestolibri, 2005.

[25]Marcuse: Cop-out or Cop? , in «Progressive Labor», 6, 1969, pp. 61-66.

[26] L.L. Mathias, Schwere Vorwürfe gegen Herbert Marcuse , in «Bulletin des Fränkischen Kreises», 4 giugno 1969. Una ricostruzione della polemica di Cohn-Bendit al Teatro Eliseo si trova in D. Giachetti, Giugno 1969: I “caldi” giorni italiani di Herbert Marcuse , in «Il Protagora», 4, luglio-dicembre 2004.

[27] Cfr. fra gli altri il suo Ein Brief , in «Neues Forum», 196, 1970, p. 353.

[28] F. Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo (1942), Milano, Bruno Mondadori, 2000 2 , pp. 4-5.

[29] H. Marcuse, 33 tesi , in Davanti al nazismo , cit., p. 113.

[30] Cfr. ad esempio il suo Una rivoluzione dei valori (1973), in Oltre l'uomo ad una dimensione , cit., pp. 267-274.

[31] Non è chiaro chi sia l'autore di questo memorandum [ n.d.c. ].

[32] Il fatto che non vi è stato un declino degno di nota nella produzione tedesca è in sé prova sufficiente di quest'assunto, che è anche corroborato da rapporti provenienti dalla Germania e dal terrore della propaganda nazista.

[33] Goebbels, citato nel New York Times del 3 settembre 1942.

[34] E. Taylor, The Strategy of Terror , Pocket Book Edition, p. 234.

[35] Ibid., p. 169.

[36] Cfr. il New York Times del 5 settembre 1942.

[37] Cfr. il capitolo di Gabriel Almond in questo volume, p. 94
[cfr. nota al testo n.d.c. ].