Storicamente. Laboratorio di storia

Studi e ricerche

Corpi di cittadini armati tra "municipalismo" e liberalismo. Stati tedeschi e Stati italiani (XVIII-metà XIX sec.)

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Il fenomeno dei cittadini in armi [1]

Negli Stati tedeschi e negli Stati italiani preunitari i corpi di cittadini armati si presentarono come un fenomeno tipico del periodo che va dalla fine del XVIII secolo alla prima metà del XIX secolo. Le formazioni civili si formavano soprattutto in momenti di particolare crisi politica, sociale ed economica, ovvero in corrispondenza di eventi bellici e moti insurrezionali, ma di fatto rappresentarono una costante per tutto il periodo preso in considerazione.
Da qualche tempo il problema è analizzato nella sua organicità, ovvero non solo in riferimento alla sua natura meramente militare ma anche e soprattutto in relazione alle sue ripercussioni sociali e politiche, da un filone di studi che in Germania ha profondamente rinnovato la storia militare (la neue Militärgeschichte) [Pröve 2000, 2006]. Le ricerche hanno messo in rilievo quale natura avessero i corpi armati di cittadini negli Stati tedeschi del periodo considerato. Si trattava di formazioni civili, composte da soldati non professionisti, che tendevano ad assumere un ruolo di primo piano all’interno delle istituzioni locali e che proprio per questo si trovavano sovente in antagonismo sia con le autorità statali, sia con le istituzioni militari e gli apparati di polizia che dallo Stato dipendevano.

I casi di formazioni civili studiati per l’area degli Stati tedeschi presentano fortissime analogie con i casi di corpi di cittadini armati che si formarono nello stesso periodo anche fuori dall’area dell’attuale Germania, ovvero nell’Impero austriaco [Lorenz 1926; Reinalter e Pelinka 1999; Zehetbauer 1999] e negli Stati italiani preunitari [Natali 1932; Missiroli 2003; Della Peruta 1987, 1988a, 1988b; Francia 1993, 1999; Hughes 1994; Antonieli e Donati 2004; Evangelisti 2005; De Benedictis 2005; Donati e Kröner 2007]. Tra i diversi tipi di formazioni civili esistettero forti differenze, riconducibili non solo alla diversa situazione politica, economica, sociale e culturale nelle diverse aree prese in considerazione, ma anche alla intrinseca peculiarità di ogni singolo caso. Trattandosi di un fenomeno di carattere prettamente comunale, la differenza tra le formazioni corrispondeva alle specificità delle diverse tradizioni e istituzioni cittadine. Inoltre le formazioni civili potevano essere designate con le più disparate denominazioni. Denominazioni affini non comportavano peraltro necessariamente che la natura dei diversi corpi armati fosse la stessa. Nonostante ciò, la fortissima somiglianza di situazioni e di dibattiti riscontrabili sia nella letteratura storiografica sia nelle fonti permette di rilevare numerose analogie e di attribuire al fenomeno dimensione sovralocale.
La precarietà dell’ordine pubblico era uno dei più gravi problemi del periodo qui preso in considerazione. I governi degli Stati erano incapaci di farvi fronte con gli strumenti a loro disposizione e perciò venivano adottate soluzioni a livello locale, cittadino e comunitario. Ciò avveniva o per iniziativa spontanea delle comunità locali, o per volontà del governo centrale. La ricerca di una soluzione al problema dell’ordine pubblico era strettamente connessa al più generale problema della riforma dell’ordinamento politico e finanziario degli Stati, che, seppur affrontato, non era stato risolto nel corso del Settecento. Le guerre che in quel secolo si erano susseguite avevano avuto effetti diretti non solo sulla politica degli Stati europei ma anche sulla vita quotidiana delle comunità locali. Le riforme attuate nel Settecento e i tentativi di razionalizzare l’intero apparato economico e politico da parte delle istituzioni esistenti non erano state sufficienti a risolvere i problemi. Spesso, poi, erano state aspramente osteggiate dalle popolazioni e dalle comunità locali: tutto il secolo era stato attraversato da frequenti e intense rivolte contro le misure adottate dai governi [Berding 1992, 94-96; Meriggi 2002, 17-21].
Il fallimento dei tentativi di riforma e l’intensificazione delle tensioni sociali avevano messo in luce l’inadeguatezza degli apparati di polizia predisposti dagli Stati. Si trattava di istituzioni che continuavano ad avere un ruolo importante nel tutelare i sovrani da ogni tentativo di sovvertimento dell’ordine esistente, ma si trovavano ormai sulla difensiva. La necessità di istituire un apparato di polizia efficiente non trovava sostegni finanziari adeguati. Il problema, studiato in maniera approfondita in relazione alla situazione degli Stati tedeschi prima della rivoluzione francese [Pröve 2000, 17-18], si presentava allo stesso modo in altre aree dell’Europa continentale, Stati italiani preunitari e Impero austriaco inclusi.

Armare il popolo significa preparare la rivolta?

Una possibile soluzione all’annoso problema era stata individuata grazie a riflessioni formulate in ambienti illuministi. Dal momento che una delle principali cause dell’inefficienza dei corpi armati dell’epoca era ritenuta consistere nella mancanza di attaccamento a qualsivoglia ideale o valore da parte del milite assoldato, la formazione di una milizia costituita da cittadini sembrava ovviare a quella mancanza [Conti 1990, 1149-1195; Del Negro 2001, 123-125]. Il cittadino in armi, educato a servire la propria patria – ovvero le mura della propria città, o i confini di un piccolo Stato - per difendere la propria terra, si sarebbe rivelato molto più efficace di qualsiasi mercenario pur addestrato e professionale.
Il modello della milizia formata da cittadini provocava comunque numerose discussioni. Promosso e sostenuto da filosofi e pensatori, anche di orientamento tra loro diverso [Conti 1990, 1150; Frevert 1997, 7], veniva visto con sospetto dai ceti più conservatori e da chi apparteneva alle istituzioni militari: si temeva che armare il popolo, invece di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico, avrebbe sortito l’effetto contrario, ovvero quello di favorire il formarsi di sommosse e disordini.
A partire dalla levée en masse francese del 1793, furono numerosi i tentativi di realizzazione un armamento popolare su larga scala. Così accadde in Austria nel 1796, quando per far fronte all’imminente avanzata delle truppe francesi venne prima disposta l’istituzione di Freikorps di volontari, organizzati in ogni singola comunità e ideati come truppe ausiliarie rispetto all’esercito stanziale [Lorenz 1926, 73-74]. In seguito, per rimediare alla scarsa efficacia di questa prima sistemazione venne disposto un vero e proprio armamento popolare in tutto l’Impero, che tuttavia non evitò la sconfitta contro i francesi [Lorenz 1926, 97-99]. Negli Stati italiani – prima durante il triennio giacobino, poi con la seconda avanzata napoleonica nel 1800 [Della Peruta 1987, 1988a, 1988b; Hughes 1994, 14-28] - e in molti Stati tedeschi – a seguito della sconfitta prussiana del 1806 [Frevert 1997, 20-21; Pröve 2000, 235-293] -, in corrispondenza dell’arrivo degli eserciti francesi venne disposta la creazione di Guardie Civiche e Nazionali (Bürgerwehr). Nuove esperienze di popolo in armi si ebbero durante la Restaurazione: innanzitutto, a seguito della rivoluzione di luglio del 1830, sia nell’Italia centrale – tanto durante la rivoluzione dei quarantaquattro giorni quanto nei mesi successivi a questa esperienza [Natali 1932; Missiroli 2003; Hughes 1994, 107-135; De Benedictis 2005] - sia in diversi Stati tedeschi, soprattutto in Assia [Pröve 2000, 294-369]; ma ancora di più in corrispondenza degli avvenimenti rivoluzionari del 1848, in cui le Guardie Nazionali ebbero un ruolo centrale [Maierbrugger 1980, 103-110; Francia, 1993, 1999; Hughes 1994, 168-202; Hörmann e Zaisberger 1996, 446; Reinalter e Pelinka 1999, 317-464; Pröve 2000, 370-437].
Questi sono solo alcuni dei casi in cui emerse in tutta la sua drammaticità il problema della riforma dello statuto delle forze armate e delle forze dell’ordine; ma il tema era oggetto di discussioni e di proposte per tutto il periodo considerato. Il problema della contrapposizione tra le autorità civili e militari era presente tanto in occasione degli eventi appena menzionati, quanto in periodi non specificamente “rivoluzionari”, come soprattutto negli anni precedenti al 1848, in cui il problema dell’ordine pubblico era costantemente all’ordine del giorno [[Hughes 1994, 140-163; Pröve 2000, 370-376; Reinalter e Pelinka 1999, 179-315]. La principale critica che proveniva da parte delle comunità locali verteva sulla natura delle istituzioni militari, viste non come forze indirizzate alla difesa dei confini nazionali e dell’ordine interno, ma come strumento repressivo in mano ai governi. D’altro canto, chi apparteneva al ceto militare non accettava che si attribuissero a formazioni civili ruoli e riconoscimenti di carattere militare. Questo era visto come un’ingiuria nei confronti delle istituzioni militari e dei soldati professionisti. Una delle principali e più ricorrenti critiche rivolte alle formazioni civili riguardava la loro scarsa o nulla efficacia, impedita dalla loro intrinseca natura. Si riteneva che chi era inserito nei ranghi di una formazione civile non era un militare di mestiere, e per quanto devoto alla causa della propria patria, non avrebbe mai potuto competere con il soldato di professione.
La contrapposizione tra autorità civili e militari corrispondeva da una parte alla tensione esistente tra lo Stato e le comunità, dall’altra parte al dualismo presente tra la nascente idea di nazione e la tradizionale concezione di patria, concepita come la comunità locale di appartenenza che nella maggior parte dei casi corrispondeva alla città. Da un punto di vista prettamente amministrativo, l’opposizione tra le autorità civili e quelle militari, e di conseguenza tra quelle locali e quelle statali, è riconducibile al problema della riforma dell’ordinamento giuridico. Com’è noto, a partire dai tentativi riformatori del settecento, i governi avevano cercato di limitare sempre di più i privilegi e i tradizionali spazi di autonomia delle comunità locali, per omogeneizzare e razionalizzare l’intero apparato istituzionale [Böning 2002, 113-114; M. Meriggi 2002, 17-21]. In epoca napoleonica si affermò un nuovo tipo di civiltà giuridica, fondato sui codici. Nell’Europa della Restaurazione i governi rifiutarono molte delle nuove idee della Rivoluzione e le repressero. Malgrado ciò, essi fecero proprie le innovazioni istituzionali apportate dai francesi: l’apparato amministrativo e giuridico napoleonico sembrava davvero la concretizzazione dei progetti riformatori del settecento. Tuttavia, continuava a persistere il ricordo della precedente prassi “costituzionale”: la diffusa richiesta di un ristabilimento delle tradizionali autonomie e consuetudini delle comunità locali alimentava un’ideologia che è stata definita come “municipalismo” [Meriggi 2002, 151-176].
Stante la situazione generale, ne conseguiva che le tensioni tra formazioni civili e autorità militari si risolvevano spesso in dispute sull’attribuzione della sfera di competenza relativamente agli affari connessi alla tutela dell’ordine pubblico, alla difesa dei confini territoriali, e più in generale alla produzione, al commercio e al possesso delle armi. Fu il caso degli Stati tedeschi e degli Stati italiani dell’Italia centrale (Ducati emiliani e Stato della Chiesa) nel 1831 e ancora di più, durante i moti insurrezionali del 1848, sia negli Stati italiani e tedeschi sia in Austria. In questi casi le Guardie Civiche e Nazionali che si formarono – o per iniziativa spontanea dal basso, o su richiesta del governo centrale – erano direttamente sottoposte alle autorità municipali: sebbene la fedeltà al sovrano venisse sempre manifestata, era inevitabile che le formazioni civili e le autorità locali facessero fronte comune di fronte alle istituzioni militari e a quelle statali. Tuttavia il problema si presentava allo stesso modo anche quando i corpi armati di cittadini erano direttamente sottoposti alle autorità militari: sono esemplari in questo senso le esperienze delle Landwehr austriaca, protagonista nello scontro contro la Francia del 1809 [Zehetbauer 1999], e quello della Landwehr prussiana del 1813, formata a seguito della disfatta di Napoleone in Russia, del ritorno a Berlino del re Federico Guglielmo III e dello scioglimento delle Bürgerwehr [Pröve 2000, 238-247]. Sebbene entrambe queste Landwehr prevedessero l’arruolamento di ampi strati della popolazione sotto l’egida del comando militare, dal momento che i singoli ranghi di queste formazioni venivano arruolati e organizzati in ogni singola comunità, le autorità municipali pretendevano di avere parola in merito, e spesso ignoravano le direttive delle autorità militari, richiamandosi alla tradizionale sfera di autonomia locale. Tutto ciò non contribuiva certo a rendere l’armamento del popolo meno sospetto agli occhi dei ceti più conservatori.
La tensione tra le autorità locali (e le formazioni civili) e quelle statali (e militari) era anche un chiaro segno di come la nascente idea di nazione entrasse in tensione con la tradizionale concezione di patria. In Italia come in Germania le istituzioni militari diedero un contributo decisivo alla formazione dello Stato nazionale [Frevert 1997, 17-18]. In Austria, già a partire dai progetti riformatori del Settecento i tentativi di riorganizzazione dell’esercito dovevano, nelle intenzioni del governo, far radicare nei Länder di lingua tedesca dell’Impero il senso di appartenenza ad un’unica nazione [Frevert 1997, 17-47; Lorenz 1926, 21-25]. La diffusione della nuova idea di nazione era strettamente connessa al tentativo di creare un nuovo tipo di cittadinanza e di cittadino: il cittadino dello Stato (Staatsbürger) avrebbe dovuto sostituirsi al cittadino della comunità locale e della città (Stadtbürger). Sebbene la nuova idea di nazione facesse sempre più proseliti in Austria come negli Stati italiani preunitari e in quelli tedeschi (e le istituzioni militari influirono in maniera fondamentale in questo senso) [Lorenz 1926, 159-160], e nonostante le formazioni civili fossero spesso istituzioni formate per disposizione del governo, tuttavia di fatto questi corpi di cittadini armati conservavano caratteri marcatamente “municipali”.

Le nuove Guardie Civiche dopo la Rivoluzione francese

Molti dei problemi illustrati finora non sono solo esclusivi del periodo che va dalla fine del XVIII secolo alla metà del XIX secolo: in particolare il problema della cittadinanza comunitaria [Costa 1999], dell’attaccamento alla patria-città, alle istituzioni e alla sfera di autonomia ereditata dalla tradizione, e conseguentemente, il problema della tensione tra i ceti e un’entità gerarchicamente superiore, lo Stato moderno [Fioravanti 2004, 39-48]. Si tratta di questioni molto dibattute storiograficamente, soprattutto a proposito dei rapporti tra ceti e sovrani in età moderna [Schilling 1988, 101-143; De Benedictis 2001, 382-391], e dell’eredità del “repubblicanesimo cittadino” nella formazione di un amor patrio comunitario in età moderna [Nippel 1988, 1-18].
Il “repubblicanesimo” dell’età moderna faceva ancora sentire la sua influenza nei primi decenni del XIX secolo, soprattutto a livello comunitario, per quanto concerneva la definizione dello status di un cittadino, sia di fatto sia a livello ideale. Da questo punto di vista il cittadino virtuoso e politicamente attivo era tale in quanto dimostrava con i fatti le proprie capacità, che ne determinavano posizione all’interno della comunità [Pröve 2000, 84-85]. Una delle principali occasioni in cui era possibile mettere in mostra la propria virtù e l’attaccamento alla propria patria era quella della partecipazione alla milizia.
L’armamento di una milizia di cittadini è considerato un’importante eredità del “repubblicanesimo cittadino” [Pröve 2000, 86]. Le milizie e i corpi di tiratori, esistenti in tutta Europa da secoli, giocavano un ruolo fondamentale non solo per quanto concerne la tutela dell’ordine pubblico e la difesa delle mura della città – o dei confini territoriali della comunità – ma anche per quanto riguarda il sentimento di attaccamento alla patria. La partecipazione della milizia a importanti funzioni e riti sia civili che religiosi della comunità ne era la più evidente dimostrazione.
Tutti questi fattori evidenziano la continuità che intercorre tra le milizie e i corpi di tiratori di età medievale e moderna con le formazioni civili di epoca posteriore. Tuttavia i corpi di cittadini armati che si formarono tra la fine del XVIII secolo e la metà del XIX secolo furono caratterizzati da alcune delle principali novità apportate al panorama politico e culturale europeo dalla Rivoluzione francese, e che poi confluirono, durante la Restaurazione, nell’ideologia liberale. Si tratta della richiesta da parte delle comunità di una partecipazione diretta ed attiva alla vita politica, allargata anche a strati della popolazione precedentemente esclusi dalla partecipazione agli affari pubblici. Ciò significava una sostanziale esigenza di ampliamento della cittadinanza, per quanto di fatto - sia per composizione sociale sia per ideologia - le formazioni civili conservarono tutte un carattere spiccatamente borghese. La loro possibilità di esistenza doveva essere suggellata da una legge fondamentale: la costituzione. Solo grazie ad essa sarebbe stato possibile dare carattere stabile alle istituzioni, garantendo i nuovi diritti acquisiti dalle comunità e dai cittadini di fronte all’eventuale minaccia di una deriva dispotica del sovrano, e al contempo mantenendo salva la posizione del sovrano.
In termini generali la partecipazione alla vita politica da parte dei cittadini, in quanto tale, giocava già da secoli un ruolo fondamentale all’interno della vita comunitaria, dunque non costituiva una novità. Ma la spinta alla politicizzazione e la pretesa dell’allargamento della cittadinanza anche agli strati inferiori della popolazione provocata dalla Rivoluzione francese e poi portata avanti nei primi decenni del XIX secolo dai movimenti liberal-democratici rappresentava una novità assoluta, e il peso di questa novità si faceva sentire direttamente anche quando si formavano corpi di cittadini armati, in fattispecie Guardie Civiche e Nazionali. Se nei secoli precedenti la Rivoluzione francese le milizie e i corpi di tiratori avevano avuto un ruolo fondamentale nella formazione di un senso civico comunitario e nella tutela dell’ordine pubblico locale, a partire dalla fine del XVIII secolo essi tesero sempre di più ad assumere natura chiaramente politica, a farsi carico direttamente delle richieste politiche delle comunità locali.
Le rivendicazioni variavano naturalmente da caso a caso. Nello Stato della Chiesa, ad esempio, veniva richiesta prima di tutto un’amministrazione laica ed una riforma dell’ordinamento giudiziario; le rivendicazioni erano portate avanti sia da nobili che da borghesi di simpatie liberali sostenuti da ampli strati della popolazione, e dirette contro gli ecclesiastici. Nei Länder tedeschi dell’Impero e in Prussia era più accentuata la richiesta di una revoca della censura e di una generale riforma dell’ordinamento politico, che limitasse la posizione dominante della nobiltà; in questi casi era evidente l’opposizione tra una nobiltà ideologicamente di stampo conservatrice ed una borghesia ideologicamente liberale. In tutti i casi tuttavia le rivendicazioni erano portate avanti in una cornice di relativa legalità; per i ceti conservatori ogni riferimento a idee di stampo liberale conteneva il germe della rivoluzione e del sovvertimento dell’ordine esistente, ma se si escludono le frange più radicali del liberalismo, l’obiettivo delle vere e proprie campagne ideologiche condotte dalle formazioni civili non era la rivoluzione, bensì la costituzione. Nell’ideologia di questo liberalismo di stampo “municipale”, la costituzione non doveva essere né una concessione del sovrano né l’espressione della volontà generale: essa doveva essere un patto tra sovrano e sudditi e garantire le prerogative di entrambi i contraenti. In questo ideale di processo costituente, le municipalità e le rispettive formazioni civili armate dovevano avere un ruolo centrale.
Il legame tra le idee della Rivoluzione francese e questa tendenza alla politicizzazione delle formazioni civili è evidente. Negli Stati italiani e negli Stati tedeschi occupati dai francesi, ma anche in quei Länder tedeschi dell’Impero dove nel corso dell’ultimo decennio del XVIII secolo si svilupparono movimenti di natura democratica e giacobina, la verve partecipativa provocata dall’influsso delle nuove idee, la formazione di corpi armati di cittadini dai marcati connotati “municipali” e la loro tendenza alla politicizzazione andavano di pari passo ed erano inscindibili [Lorenz 1926, 100-102; Pröve2000, 139; Reinalter e Pelinka 1999, 15-178 ]. La repressione delle nuove idee da parte dei governi della Restaurazione non riuscì a limitare il fenomeno, che si manifestò nuovamente e con caratteri sempre più spiccati e virulenti in occasione delle intemperie rivoluzionarie dell’inizio degli anni trenta del XIX secolo e ancor di più in occasione dei moti del 1848.
Molto spesso le autorità di governo, per placare la tendenza alla politicizzazione dei corpi armati, cercavano di mettere in risalto il fatto che essi altro non erano che gli eredi delle tradizionali milizie ed dei corpi di tiratori [Pröve 2000, 238-242], che mai avevano avuto pretese politiche e la cui identità era da sempre connessa alla fedeltà al sovrano e alla tutela dell’ordine pubblico: nonostante la connessione con la tradizione fosse evidente, era impossibile negare la novità delle nuove formazioni, figlie dell’esperienza rivoluzionaria. Ciò rendeva questi corpi armati sospetti ai governi, che li vedevano come una sorta di fucina rivoluzionaria, nonché come un elemento di instabilità. A scapito di questa fama, i corpi armati di cittadini rifiutavano di essere visti come un focolaio insurrezionale, rivendicavano il loro ruolo positivo all’interno delle comunità locali, in quanto elemento di stabilità sia istituzionale che civile.
Il preteso ruolo benefico delle formazioni civili si può riassumere individuando nel loro ruolo una triplice funzione. Della prima, quella di baluardo costituzionale, si è già accennato. La seconda e la terza funzione sono strettamente connesse tra loro: si tratta del ruolo di forza dell’ordine e di quello di forza armata della comunità. La formazione dei corpi armati di cittadini era strettamente connesso al problema della tutela dell’ordine pubblico. Ciò è evidente non solo nei casi in cui le formazioni civili furono in qualche modo accettate dal sovrano quando esse erano ormai già state formate, come per esempio nei casi dello Stato della Chiesa e della Toscana nel 1847 e di quelli dell’Impero austriaco e della Prussia a seguito dei moti rivoluzionari del 1848 [Maierbrugger 1980, 104; Francia 1993; Hughes 1994, 168-202; Hörmann e Zaisberger 1996, 446; Francia 1999; Reinalter e Pelinka 1999, 317-464; Pröve 2000, 370-437]. Ciò è ancora più chiaro per i casi in cui le formazioni civili erano state esplicitamente richieste dal sovrano, anche se poi in seguito erano state osteggiate. Questo fu il caso della Landwehr prussiana del 1813, formata su disposizione del governo, ma anche malvista da molti esponenti del medesimo, come esercito a larga partecipazione popolare e anche come forza di polizia: essa doveva adoperarsi sia nel mantenimento dell’ordine pubblico che nella difesa contro i nemici esterni alle mura della città [Pröve 2000, 260-263]. Ancora più emblematico fu il caso della Guardia Civica di Bologna nel 1831: essa fu istituita per volontà diretta del segretario di Stato di papa Gregorio XVI, il cardinale Bernetti, come unica soluzione possibile per tutelare la quiete pubblica in vista della partenza delle truppe austriache, che stazionavano nelle Legazioni apostoliche dalla fine della rivoluzione dei quarantaquattro giorni [Natali 1932; Giampietri 2006, 57-61]. Protagonista, assieme alle Guardie Civiche di Ravenna e Forlì, di una disputa con il governo di Roma, venne sciolta a seguito di uno scontro armato con lo stesso esercito papalino e dopo il ritorno nelle Legazioni delle truppe imperiali [Natali 1932; Giampietri 2006; De Benedictis 2005].
Potrebbe sembrare paradossale il fatto che alcuni governi, come negli ultimi casi descritti, istituissero formazioni civili di cui sospettavano. Ma data la crisi dell’ordine pubblico e la drammatica crisi finanziaria, la formazione di corpi di cittadini armati si rivelava in alcuni casi come l’unica soluzione possibile anche per i ceti più conservatori.

Il processo di democratizzazione

La formazione di corpi armati di cittadini nel periodo a cavallo tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo, la loro intrinseca tendenza alla politicizzazione e la richiesta di partecipazione politica rivendicata dalle comunità determinò un parziale ma innegabile processo di democratizzazione in una società ancora strutturata in senso fortemente gerarchico. Per gli strati inferiori della popolazione l’ingresso in una formazione civile o in una riserva costituiva una vera e propria iniziazione politica. Era la prima occasione per ricevere non solo una educazione di tipo militare, ma soprattutto una educazione civile [Zehetbauer 1999, 99-136; Pröve 2000, 260-263; Giampietri 2006, 64].
Per quanto le modalità di accesso alle formazioni civili fossero diverse a seconda dei casi, in ogni comuniltà locale la possibilità di detenere armi era comunque connessa allo status di cittadino goduto solo da una parte della popolazione. Fin dal medioevo si riteneva che solo chi fosse cittadino potesse accedere alla milizia e detenere le armi.
L'accesso alla milizia veniva stabilito dai regolamenti delle formazioni civili, che prevedevano sistemi di reclutamento basati su una forte discriminazione. Innanzitutto, alcune categorie di persone erano escluse a priori in quanto non considerate appropriate alla milizia: per esempio non solo le donne, ma anche gli individui considerati socialmente pericolosi, coloro i quali avevano subito condanne gravi o che avevano perso il diritto alla cittadinanza. Altre categorie invece, come per esempio gli ecclesiastici o i politici, erano esentate dal servizio nella guardia. Per quanto ogni formazione civile avesse un proprio regolamento con proprie disposizioni, in linea generale valeva il principio secondo il quale non si poteva accedere alla milizia se non si era cittadini e se non si dimostrava di essere persone rette. Normalmente esentate erano persone particolarmente in vista o che ricoprivano cariche particolarmente importanti[Zehetbauer 1999, 36-38; Pröve2000; Giampietri 2006, 61-66].
Ciò non ostante, la formazione dei corpi civili permise di includere nella cittadinanza nuovi soggetti, provenienti dagli strati inferiori della popolazione. Per quanto la paura del popolo in armi spingesse non solo le frange più conservatrici e reazionarie dei governi ma anche le borghesie locali a osteggiare le formazioni civili, pur tuttavia non poterono sempre impedirle. I corpi civili non avrebbero potuto adempiere al proprio ruolo se avessero incluso al loro interno solo ed esclusivamente soggetti che già detenevano una piena cittadinanza. La formazione di corpi come la Bürgerwehr in Prussia nel 1806 o la Landstrum austriaca nel 1808 poté perciò essere un’occasione per includere nella cittadinanza nuovi soggetti [Zehetbauer 1999, 25-32; Pröve 2000, 248-260].
La partecipazione alla milizia permetteva agli appartenenti ai ceti inferiori di cimentarsi per la prima volta con la pratica del voto [Lorenz 1926, 152; Zehetbauer, 1999, 36-38; Pröve2000; Giampietri 2006, 61-66]. Infatti, all’interno delle formazioni civili era diffusa la pratica delle elezioni degli ufficiali. Si trattava da una parte di una conseguenza dell’adozione del principio di partecipazione diretta agli affari comuni; dall'altra del rifiuto del sistema tipico delle istituzioni militari, in base al quale la scelta dei posti vacanti tra gli ufficiali dell’esercito spettava unicamente ai vertici della gerarchia militare.
Il principio delle elezioni dal basso di tutte le principali cariche è uno dei tratti che più accomunava tutte le pur diverse formazioni civili, e che più allarmava i rappresentanti delle istituzioni militari. Questo non comportava però che tutti fossero egualmente eleggibili. Se anche appartenenti agli strati meno abbienti della popolazione riuscivano talvolta a trovare posto nelle formazioni civili (o, al massimo, nelle formazioni di riserva), rimaneva comunque loro preclusa la possibilità di ottenere una carica da ufficiale, per quanto potessero disporre del diritto di voto passivo oltre che attivo. Questo, ad esempio, è quanto avvenne in Prussia con le Bürgerwehr del 1806. Lo Stato aveva infatti una forte influenza sulla scelta di chi avrebbe dovuto ricoprire le cariche principali della milizia: per la Bürgerwehr i candidati venivano spesso proposti dall’alto. Nel caso invece della Landwehr austriaca istituita dopo il 1805, i candidati venivano sì eletti dalle comunità, ma il governo di Vienna aveva il diritto di accettare o respingere i rappresentanti scelti dalle comunità. Ne conseguiva che a ricoprire gli incarichi principali non furono mai esponenti degli strati sociali più bassi [Pröve 2000, 278-286]. Malgrado la tanto decantata pretesa di partecipazione politica e l’ideale di uguaglianza, sussisteva dunque una forte discriminazione tra soggetti di estrazione sociale diversa.

Il fallimento delle formazioni civili e il tramonto dell’idea

Se a partire dalla fine del XVIII secolo e per qualche decennio la richiesta di partecipazione politica connessa al possesso delle armi e di partecipazione alla milizia divenne un carattere ricorrente nei principali momenti di crisi e tensione, il fenomeno delle formazioni civili ebbe certamente il momento di maggiore diffusione e intensità in occasione dei moti del 1848 [Maierbrugger 1980, 103-110; Francia, 1993, 1999; Hughes 1994, 168-202; Hörmann e Zaisberger 1996, 446; Reinalter e Pelinka 1999, 317-464; Pröve 2000, 370-437]. In tutti gli Stati di lingua tedesca, tanto nell’area dell’attuale Germania e della Prussia, quanto nei territori dell’Impero austriaco, quanto anche nella penisola italiana, si assistette ad una diffusione del fenomeno senza precedenti. Dopo le diverse esperienze di corpi di cittadini armati sperimentate fin dalla fine del XVIII secolo, con i moti del 1848 l’ideologia della Volksbewaffnung sembrò giungere alla sua completa maturazione: mai come in quel momento le formazioni civili presentarono caratteri comuni su così vasta scala.
Comuni erano le denominazioni delle formazioni civili (Guardia Nazionale o Civica nella penisola italiana; Nationalgard o Bürgerwehr nell’intera area di lingua tedesca). Comune era la modalità in cui queste formazioni si erano organizzate. Inizialmente esse erano state volute fortemente dalle comunità locali e dalle città; solo successivamente alla loro formazione erano state approvate dal sovrano. Comune fu pure la loro natura: municipale e borghese-liberale. Le Guardie Nazionali del 1848 furono diretta espressione delle borghesie locali che le avevano promosse e istituite. Non solo le pressanti richieste di riforma dell’ordinamento politico, di concessione di una costituzione e di revoca della censura, ma anche le prese di distanza dagli eccessi della plebe - il tutto sotto l’egida della fedeltà al sovrano - erano tipiche della mentalità borghese moderata e dell’ideologia liberale dell’epoca.
Malgrado la capillare diffusione e la comunanza di intenti delle formazioni civili, il 1848 segnò non solo il momento di massima diffusione del fenomeno, ma anche la sua fine. Per quanto anche nei decenni successivi si avessero altri casi di formazioni civili a carattere municipale, il fenomeno andò via via perdendo forza e venne persino dimenticato. Molteplici furono i motivi del declino: alcuni dipesero dalla intrinseca natura delle formazioni civili; altri dagli esiti dei moti del 1848, dalla politica adottata dai governi in tema di tutela dell’ordine pubblico e di organizzazione delle forze armate.
Innanzitutto le formazioni civili, istituite spesso come soluzione d’emergenza per far fronte alla grave situazione dell’ordine pubblico, non si rivelarono una soluzione stabile e definitiva. Ciò dipese probabilmente dalla politicizzazione delle formazioni, che le rendeva intrinsecamente instabili, nonché sospette agli occhi dei governi. Ma soprattutto dipese dalla difficoltà, se non dalla impossibilità, di fare diventare quei corpi armati forze armate adeguatamente efficienti. Il problema dell’equipaggiamento e soprattutto dell’armamento fu un problema che emerse costantemente in tutti i diversi casi di cui si è parlato. È pur vero che spesso furono gli stessi governi a tentare di limitare l’armamento di quelle formazioni di cui non si poteva fare a meno ma di cui allo stesso tempo si diffidava. Esemplare può essere in questo senso il caso della Guardia Civica di Bologna nel 1831, il cui armamento divenne fin da subito uno dei principali temi oggetto di contesa tra la comunità bolognese e il governo di Roma [Natali 1932, pp. 6-12; Giampietri 2006, 66-72]. Ma data la cronica crisi delle finanze, era comunque impossibile armare adeguatamente tutte le persone arruolate nei ranghi delle formazioni civili. Mancavano i fondi necessari sia nelle casse dei governi che in quelle delle comunità [Zehetbauer, 1999, pp. 34-35; Pröve 2000].
Ovviamente una milizia male armata non poteva che avere una limitata efficacia. Al problema dell’armamento si aggiungeva quello, non meno grave, della scarsa preparazione militare [Zehetbauer, 1999, 43; Pröve 2000, 260-263; Giampietri 2006, 64]. I vertici delle istituzioni militari avevano da sempre diffidato delle formazioni civili non solo per antagonismo e per diffidenza di fronte a formazioni che apparivano essere più una fucina rivoluzionaria che un elemento di stabilità, ma soprattutto per scetticismo verso l’effettiva capacità di azione di corpi armati formati da militi non professionisti. Bisogna ammettere chiaramente che, nonostante le formazioni civili si rivelassero utili in taluni frangenti, in generale non erano però in grado di garantire l’ordine pubblico e tanto meno – qualora se ne fosse presentata la necessità - di reggere uno scontro contro un esercito. Insomma, la critica proveniente dai rappresentanti delle istituzioni militari sembrava trovare conferma nei fatti. Non si conoscono casi di significativi successi riportati da tali formazioni né sul fronte della tutela dell’ordine pubblico, né (e tanto meno) su quello militare. Lo si può constatare anche nei casi che hanno avuto maggiore risonanza nella storiografia per l’accentuazione delle gesta dei cittadini in armi in chiave patriottica, come quello della sollevazione austriaca contro i francesi nel 1809.
Malgrado la scarsa efficacia delle formazioni civili, gli avvenimenti del 1848 avevano però avuto una portata tale da far convincere tutti i governi che l’armamento del popolo fosse una misura da evitare a tutti i costi. Una volta concluso il periodo rivoluzionario, la soppressione delle formazioni civili fu comune a tutti i territori di cui si è parlato. Anche se formazioni civili furono talvolta istituite dopo il 1848, il fenomeno non ebbe più gli stessi caratteri e la stessa forza che lo avevano contraddistinto fino al 1848: così fu non solo negli Stati tedeschi, ma anche nel neonato Regno d’Italia con la formazione di una Guardia Nazionale centralizzata. Nel caso di quest’ultima istituzione, per quanto i singoli distaccamenti formati a livello locale tendessero ad assumere una connotazione liberale e municipale, non vi era tuttavia ormai più alcuna traccia di politicizzazione. Il regolamento della Guardia Nazionale era infatti lo stesso della Guardia istituita in Piemonte nel 1848, per la quale era stato espressamente vietato che i militi prendessero parte a sedute politiche, pena l’esclusione dalla milizia stessa [Francia 1999, 47-56]. Una misura del genere era stata voluta appositamente da Cavour per evitare che istituzioni di carattere comunale ostacolassero l’opera del governo [Francia 1999, 53]. Così fu anche altrove. Addirittura in Prussia e in altre aree di lingua tedesca termini quali Bürgerwehr e Volksbewaffnung vennero sistematicamente eliminati da dizionari ed enciclopedie [Pröve2000, 179-182]: un chiaro segno della esplicita volontà non solo di reprimere il fenomeno, ma anche di oscurarne la memoria.
Dopo il 1848 l’ideologia liberale mutava infatti in modo consistente. Com’è noto, se “liberalismo” è uno dei concetti più polivalenti tra quelli utilizzati nella teoria politica, vi è tuttavia generale unanimità tra storici, studiosi di filosofia politica e giuristi nell’individuare caratteri comuni nel liberalismo della prima metà del XIX secolo. Liberale è «un discorso della cittadinanza che si organizza intorno al primato del soggetto e al valore assoluto della libertà e della proprietà, diffida del dispotismo della maggioranza e del suffragio universale, oppone il rispetto delle regole all’arbitrio del potere, rifiuta l’interventismo dello Stato […], elogia la rappresentanza» [Costa 2000, 626].
Se durante la prima metà del XIX secolo chi era portatore di tale ideologia tendeva talvolta ad allearsi anche con chi sosteneva tesi più radicali e democratiche, riconoscendo in tal modo alcune delle novità ideologiche apportate dalla rivoluzione francese ma rifiutandone gli eccessi, dopo il 1848 si verificò invece una netta presa di distanza nei confronti dei movimenti e delle ideologie più radicali. L’eredità della rivoluzione francese venne fatta propria dall’ideologia socialista, che da una parte stava diventando il terrore delle classi dirigenti di mezza Europa, e che dall’altra avrebbe fatto sempre più proseliti anche là dove, come nella penisola italiana, l’industrializzazione avrebbe preso piede più tardi rispetto a quanto avvenuto in altre aree del continente. Se fino alla metà del XIX secolo le borghesie, pur diffidando degli eccessi del popolo minuto, talvolta ne avevano cercato il sostegno (come era spesso accaduto anche nei casi qui considerati), dopo il 1848 la continua diffusione delle idee marxiste e la paura di una deriva rivoluzionaria resero problematici sia la partecipazione degli strati inferiori della popolazione alla cosa pubblica sia l’allargamento della cittadinanza. Anche dopo il 1848 la borghesia continuava certo a identificarsi generalmente con l’ideale di eguaglianza e il principio di partecipazione politica; ma voleva al contempo scongiurare ad ogni costo qualsiasi deriva rivoluzionaria.
Come è stato bene messo in luce da Ralf Pröve, le formazioni civili erano state anche un frutto del liberalismo della prima metà del XIX. Mutata l’ideologia nella seconda metà del secolo, il fenomeno non poteva certo più avere gli stessi caratteri che lo avevano contraddistinto in precedenza. Inoltre la diffusione del marxismo e di altre ideologie radicali fu tale da sostituire completamente, nell’Europa industrializzata della seconda metà del XIX secolo, rivendicazioni di tipo municipale come quelle che erano state proprie dei corpi di cittadini in armi.
Di certo il problema del “municipalismo” non si sarebbe più presentato in connessione al problema della riforma dello statuto delle forze dell’ordine e di quello delle forze armate. Per quanto riguarda le forze dell’ordine, siccome l’Inghilterra, e in particolare Londra, era stata risparmiata dai tumulti rivoluzionari del 1848, il modello britannico di polizia, soprattutto quello della London Metropolitan Police, venne visto come un modello ideale di stabilità ed efficienza cui molti iniziarono a fare riferimento nella ristrutturazione delle forze dell’ordine [Hughes 1994, 260]. Invece, per quanto concerne le forze armate, furono la guerra austro-prussiana e soprattutto quella franco-prussiana a favorire la diffusione di un modello poi imitato in tutto il continente: quello prussiano [Chabod 1990, 3-177; Francia 1999, 242].

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Note

[1] Il saggio approfondisce parte della ricerca condotta per la tesi di laurea specialistica: M. GIAMPIETRI, La guardia civica di Bologna tra ordine pubblico e rivoluzione (1831-1832), Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Alma Mater Studiorum - Università degli Studi di Bologna (Corso di Laurea Specialistica in Storia d’Europa – indirizzo storia moderna), a.a. 2005-2006, relatore prof. Angela De Benedictis, correlatore prof. Angelo Varni. La ricerca successiva alla tesi si è svolta prevalentemente presso la Universitätsbibliothek di Innsbruck, grazie ad un contributo erogato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia. Ringrazio la professoressa Brigitte Mazohl (Institut für Geschichte und Ethnologie della Lepold Franzen Universität di Innsbruck) per l’appoggio e i consigli offertimi durante il soggiorno a Innsbruck.