Storicamente. Laboratorio di storia

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Elena Canadelli, Paola Zocchi (eds.), Milano scientifica 1875-1924

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Due densi volumi ripercorrono le vicende che nell’Italia liberale hanno fatto della città di Milano – priva di università - una vera e propria capitale della scienza, con un suo peculiare assetto istituzionale. È attorno alla storia delle istituzioni che ruotano i numerosi saggi, a firma di esperti appartenenti a diverse generazioni.

Il primo volume, a cura di Canadelli (dottoranda in Storia della scienza), è dedicato agli istituti che furono inclusi nel Consorzio ideato da Francesco Brioschi e incentrato sulla priorità della formazione ingegneristica. Una priorità che consentì alla città di raggiungere una posizione di tutto rispetto nel panorama internazionale, ma che pure non mancò di suscitare risentimenti presso alcuni degli enti coinvolti, desiderosi di uscire da quell’ombra ingombrante. Così, mentre i saggi dedicati al Polo della tecnica e delle scienze esatte raccontano una storia di progressivo arricchimento della filiera ingegneristica (contributi di Selvafolta, Morando e Lombardi e Mandrino), quelli dedicati al Polo naturalistico ripercorrono storie in gran parte autonome, alcune delle quali – la Scuola di veterinaria e quella di agricoltura (saggi di Twardzik e Mantegazza) – affondavano le radici in un humus primo-ottocentesco rimasto al passo con gli standard scientifici e professionali in avanzamento. Attorno al “grande Politecnico” ruotava pure il Polo delle scienze umane e sociali, in gran parte identificato con quell’Accademia scientifico-letteraria che legò al nome di Graziadio Isaia Ascoli e a un persistente retaggio cattaneano i suoi massimi splendori.  Coesistenza sui generis e non priva di asperità, quella tra la sezione tecnica e la sezione umanistica, entrambe peraltro coinvolte in un difficile rapporto di complementarietà con le facoltà dell’Ateneo pavese. L’Accademia avrebbe dovuto sostituire la Facoltà letteraria pavese la quale, però, continuò in vario modo ad esistere fino alla riapertura ufficiale del 1879. Né sereni potevano essere i suoi rapporti con la sezione tecnica, ché anzi la preminenza accordata dagli statuti consorziali a Brioschi suscitò numerosi problemi. Ma soprattutto, come rileva il saggio di Lucchini, l’Accademia doveva pagare il prezzo della divaricazione tra le ambizioni scientifiche e l’oggettiva posizione di marginalità di Ascoli, “antimanzoniano nella città di Manzoni; orientato verso la cultura tedesca e, caso rarissimo, perfettamente bilingue, in una nazione dominata dalla cultura francese; infine ebreo e profondamente radicato nella cultura e nella religione dei suoi padri, in una città in cui la comunità ebraica era esigua e di recente formazione” (p. 239). Ciononostante, e ad onta dei pochi finanziamenti e dell’esiguo numero di iscritti, l’Accademia ebbe modo di segnalarsi, prima in ambito filologico e poi, sotto la presidenza di Novati, per la moderna declinazione “scientifica” assunta dal curriculum filosofico.

Il secondo volume, curato da Zocchi (autrice di una monografia sul rapporto amministrazione-sanità nella Milano preunitaria) si addentra nella Rete del perfezionamento medico e nell’attuazione/articolazione del grandioso progetto di Luigi Mangiagalli. L’articolata introduzione di Zocchi ricostruisce le fondamenta teoriche di questo progetto, volto a sottrarre la medicina allo status di “anello mancante” della cultura milanese e a ripristinare il suo ruolo di “ponte” tra saperi filosofici e sociali e specializzazioni tecnico-scientifiche (p. 13). In questo caso l’esistenza dell’Ateneo pavese non comportò il rischio di “doppioni” dato che la rete degli istituti clinici di perfezionamento, inaugurata nel 1906, fu concepita per la specializzazione post-universitaria. L’investimento sulle sinergie non risparmiò però agli istituti problemi diplomatici e organizzativi, destinati a trovare soluzione con la trasformazione, all’indomani della riforma Gentile, in facoltà medica.

Il volume è articolato in tre parti. La prima è dedicata agli istituti clinici di perfezionamento inaugurati nell’ambito del progetto di Mangiagalli (saggi di Zocchi sull’istituto ostetrico-ginecologico; di Deiana sulla clinica dermatologica; di Nenci sulla clinica delle malattie professionali; di Forti Messina sulla clinica pediatrica e di Cosmacini sul centro radiologico). La seconda è invece incentrata sulla Clinicizzazione dell’Ospedale Maggiore, ossia sul processo di specializzazione e implementazione scientifico-didattica che il glorioso centro ospedaliero affrontò in concomitanza con l’evolversi dell’insegnamento medico milanese. I contributi illustrano quindi le vicende del padiglione di traumatologia (Franchini), della clinica dermo-sifilopatica (Bianchi e Todeschini), del padiglione dedicato alla cura delle malattie mentali (Passione) e dell’Istituto anatomo-patologico (Zocchi), riannodando in molti casi i fili di una pluridecennale tradizione milanese e lombarda, maturata in un vivace confronto con l’attività medico-scientifica italiana ed europea, e giunta all’istituzionalizzazione a ridosso della guerra mondiale. Una istituzionalizzazione che, peraltro, si giovò pure dell’alacre attività svolta dagli ambienti cattolici e da isolati precursori: a questi sono dedicati i saggi della terza parte, che illustrano le vicende del Pio Istituto dei rachitici (Polenghi), del Pio Istituto oftalmico (Canella), dell’Istituto sieroterapico (Nenci) e dell’Istituto stomatologico (Zampetti).

Corredati da inserti documentari e da una nutrita bibliografia, i due volumi restituiscono con uno stile assai piacevole una storia di assoluto rilievo nell’ambito del processo di nation-building. Della Milano scientifica formatasi tra Unità e Belle Epoque  dovevano rimanere profonde tracce nel centro lombardo, anche all’indomani del riordino “dall’alto” di epoca fascista. Merito degli aa. è averne raccontato le origini e le evoluzioni al di là degli stereotipi, illuminando l’intricata questione dell’assetto istituzionale e del sostentamento finanziario ma anche le gelosie e le rivalità, personali e disciplinari, che molto spesso anticiparono dibattiti di più ampia portata sulla direzione da imprimere alla cultura “alta” dell’intera nazione.