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Dizionario storico dell’Inquisizione: un'esperienza di lavoro

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Il Dizionario storico dell’Inquisizione: un’esperienza di lavoro [1]

Eresie. Sono necessarie alla Chiesa per esercitare i talenti e togliere la ruggine agli spadoni dei nostri sacri gladiatori. Ogni opinione, contraria a quella dei teologi di cui ci fidiamo, o dei teologi che hanno sufficiente credito per far prevalere la loro, è visibilmente un’eresia. Dal che si vede che gli eretici sono sempre coloro tra i teologi che non dispongono di battaglioni sufficienti per rendersi ortodossi. [...]
Inquisizione. Tribunale sacro, vale a dire composto di preti e di monaci indipendenti dal potere civile che hanno, com’è ragionevole, ricevuto il diritto di giudicare inappellabilmente [...] e di far bruciare coloro che si dichiarano contro di loro. Con l’aiuto di questo tribunale i principi che l’autorizzano hanno il vantaggio di avere dei sudditi molto ortodossi, ben devoti, ben miserabili e sempre disposti a prendere le parti del clero contro il potere temporale. È un vero peccato che sino ad ora in Francia non si sia avvertita l’utilità di questo tribunale [d’Holbach 1999, 88 e 108].

La citazione, da un’opera breve, forse è un po’ lunga, ma spero non troppo noiosa. Si tratta delle parole taglienti cavate da un lessico semiserio, opera di un protagonista tra i più radicali dell’epoca dei Lumi. Il suo nome corrisponde a quello del barone d’Holbach e i suoi scritti meritarono, nel XVIII secolo, la damnatio amplissima da parte del Sant’Uffizio. La forma scelta dal nostro miscredente filosofo era quella di un dizionario tascabile, ma d’Holbach deve la sua fama anche al fatto di avere collaborato alla stesura della ben più celebre e ponderosa Encyclopédie, in cui non mancano voci critiche dedicate appunto all’eresia e all’Inquisizione. Del resto, la polemica contro il tribunale [Valente 2009] ebbe, sin dai tempi di Pierre Bayle, una sede quasi privilegiata in opere che appartenevano al genere dei lessici ragionati, e reagivano alla censura in nome della tolleranza con le armi dell’ironia e della dissacrazione.

Il dizionario, dunque, è una forma di libro connessa intimamente alla storia del foro inquisitoriale; e lo è non solo dal versante della battaglia polemica, ma anche da quello degli strumenti adoperati dagli stessi giudici dell’officium fidei (senza contare che due Dictionnaires des hérésies furono compilati nel Settecento e poi a metà Ottocento per le cure degli abati francesi Pluquet e Claris: se li si sfoglia, si darà ragione a d’Holbach, che ricordava come l’accusa di eresia da sempre è stata formulata anzitutto da teologi contro altri teologi). Come scrive Adriano Prosperi nelle pagine che aprono l’opera [Prosperi 2010b: V], un Repertorium inquisitorum apparve a Valencia già nel 1494, e fu un’opera a suo modo collettiva (non è noto il nome dell’autore, ma solo quello del revisore). Non conosco una storia dei dizionari come lessici ragionati (ne esistono molte dei vocabolari, ma a quanto ne so nessuna che sia dedicata a un tema tanto stimolante) [ma vedi Tonelli 2006]; tuttavia repertori e manuali per confessori, teologi morali e canonisti (si pensi alla Summa Angelica di Angelo da Chivasso, alla Tabiena di Giovanni Cagnazzo – inquisitore di Bologna – o alla Aurea Armilla di Bartolomeo Fumi – giudice della fede di Piacenza) ebbero spesso, a partire dai secoli XV e XVI, un ordinamento alfabetico come strumenti di lavoro utili a un clero, più o meno colto, che si dedicava alla funzione di giudicare in confessione e nel foro esterno. Forse quei libri inventarono un genere, o forse lo adattarono; dal poco che so, sarebbe un azzardo spingersi a dirlo. Un fatto comunque è certo: la scelta della forma del dizionario, quando si tratti di Inquisizione, non ha niente di peregrino.

Prosperi mi parlò per la prima volta del suo progetto nell’autunno del 2004, nel corso di una passeggiata per le vie di Pisa. Mi disse che voleva riprendere un’idea di Armando Saitta e chiedere alla casa editrice Einaudi se fosse disponibile ad accogliere un’opera dedicata alfabeticamente alla storia di quel tribunale. Avrei dovuto aiutarlo per coordinare il lavoro, che si sarebbe avvalso anche dei consigli di John Tedeschi, maestro di studi inquisitoriali. Fu questo l’invito, e mi onorò subito. L’insegna dello Struzzo non ne fece nulla; e lo stesso accadde con Laterza, dopo un iniziale interesse. Ma il piano di stilare un dizionario dell’Inquisizione andò avanti comunque, modificandosi sin dall’inizio. Prosperi aveva in mente un Onomasticon che Saitta, in diversi momenti prima della morte, aveva proposto di stilare a un gruppo di storici italiani e iberici; ma era sorto poi subito il problema della fattibilità e leggibilità di un testo del genere, in un clima culturale profondamente cambiato e dopo che un pontefice aveva ordinato l’apertura al pubblico dell’Archivio centrale dell’ex Sant’Uffizio romano, sollecitata da più parti (1998). Si potevano rubricare tutti gli inquisiti? E in che spazio geografico? L’impresa, come è ovvio, risultò subito impossibile e un pochino pretenziosa, anche se si fosse scelto di dedicare un semplice cenno a ogni vittima del tribunale; anche perché le fonti a nostra disposizione non saranno mai complete, e il rischio di discriminazioni arbitrarie è dietro l’angolo. Per non dire che comporre un dizionario degli inquisiti significa fare propria la categoria inventata da un apparato disciplinare: la nozione religiosa di eresia. Ora, la tradizione dei martirologi ha anch’essa una storia illustre; ma stilare un’opera di quel genere avrebbe voluto dire tornare indietro di secoli (a Crespin, ai saggi polemici del liberalismo laico ottocentesco). Né tra le vittime è giusto esaltare solo i colti “martiri del libero pensiero”: lo erano forse le presunte streghe, lo erano i bigami, le beatas e le migliaia di fedeli ridotti all’obbedienza dagli apparati di un foro pervasivo? La storiografia degli ultimi cinquant’anni ha allargato l’orizzonte della ricerca, includendovi figure (i Menocchio, le Gostanze dei tanti borghi d’Europa) che, un tempo, non avrebbero suscitato alcun interesse.

La scelta, insomma, scartando generi invecchiati e controversistici, si è imposta naturalmente: il lemmario che si cominciò a immaginare includeva le vittime ma anche altre voci, altri temi, altri orizzonti fatti propri da una storiografia rinnovata a partire dagli anni Settanta del Novecento (prima nella Spagna postfranchista e poi altrove). Tedeschi, coinvolto da Prosperi sin dal primo abbozzo, ha preso a lavorare oltre Oceano limando, aggiungendo, levando, con una sapienza di cui ho fatto tesoro come ho potuto, e che gli deriva dalle sue ricerche, ma anche dalla stesura dell’imponente bibliografia sulla Riforma in Italia [Tedeschi 2000]. I modelli, anche recenti, non mancavano: i companions anglosassoni, i lessici eruditi tedeschi, i dictionnaires ecclesiastici francesi; un’enciclopedia della stregoneria che era stata appena ultimata [Golden 2006]. Tuttavia è stato prezioso sin dall’inizio il contributo di una sorta di collettivo che si è potuto formare intorno a un’istituzione, ai suoi strumenti, alle sue consuetudini di studio. La Scuola Normale ha permesso all’opera di nascere e poi di vedere la luce per i tipi della casa editrice diretta da Michele Ciliberto e da Maria Vittoria Benelli. L’artigianale fabbricazione del cofanetto deve così molto non solo alla redattrice delle Edizioni, Bruna Parra, ma allo sforzo generosissimo di una collaboratrice che ci è stata affiancata nel corso del lavoro: si tratta della dottoressa Francesca Di Dio, a cui devo molti ringraziamenti personali per avermi permesso di evitare errori e di resistere sino alla confezione finale dei volumi.

Così, come allievi di Prosperi, o come giovani studiosi della Scuola, alcuni amici si sono ritrovati attorno a un tavolo (quello dell’aula Pasquali, di solito) per ragionare insieme di come fabbricare il lemmario, il banco di prova dell’impresa. Un primo schema si prestò all’immediata revisione grazie agli interessi di ricerca e alle competenze di Adelisa Malena, di Giuseppe Marcocci, di Francesco Mores e di Stefania Pastore (più tardi si sarebbe aggiunto Matteo Al Kalak). A Chiara Franceschini si chiese aiuto per la ricerca iconografica. E ci parve chiaro sin dai primi incontri che non si poteva concepire un’opera dedicata alla sola Inquisizione romana moderna, perché per comprendere il significato storico di quel foro che giudicava in materia di fede occorreva risalire indietro, andare avanti, e guardare a tutta la realtà cattolica, specialmente dopo il 1492, quando i confini della Chiesa si estesero, nel mondo missionario e coloniale, ben al di là della stessa Europa. La Normale è stata la Scuola del grande Delio Cantimori, ma seguire solo il filone degli eretici d’Italia, colpiti dal tribunale o emigrati dalla Penisola, non è sembrato l’obiettivo esclusivo da perseguire. L’asse fondamentale per stilare il lemmario è stato, sin dall’inizio, un doppio nodo: quello di una procedura (l’inquisitio de fide, elaborata a partire dal XIII secolo), e quello di un potere che adopera scomuniche e pene temporali per colpire un reato, l’eresia, fondandosi, in ultima istanza, sulla delega papale; in Italia, ma anche nei due tribunali che nel 1542 fecero da modello al Sant’Uffizio di Carafa, o ne limitarono il raggio di competenza: l’Inquisizione spagnola (istituita già da sei decenni) e quella portoghese (che nacque nel 1547).

Non tutti gli eretici e in tutti i tempi, dunque; ma solo quelli giudicati ex officio da magistrati delegati che adottarono una specifica procedura. Non solo il Vecchio Mondo, ma anche il Nuovo: perché, al di là di ciò che oggi è giusto concedere alla World History, gli Imperi cattolici iberici radicarono il tribunale a Goa, in Brasile, a Lima, a México, a Cartagena de Indias, in Africa (insomma, globalizzarono una istituzione eminentemente europea e latina). E non il 1542 come data di inizio, ma l’epoca innocenziana, e più tardi il nuovo inizio a metà Quattrocento, quando in Castiglia e in Aragona il foro si verticalizzò e si organizzò per distretti non per colpire i ribelli germanici di là da venire, ma i conversos, ebrei e arabi. E non solo la materia dell’eresia propriamente teologica: un senso troppo limitato che non è possibile rintracciare neppure negli scritti di Agostino (che definì i delitti contro la fede non soltanto sul piano delle credenze, ma anche su quello dei “costumi”). E nessuna data per la cessazione del servizio: perché la Congregazione per la Dottrina della Fede fulmina scomuniche anche ai nostri giorni, anche se negli ultimi due secoli e mezzo come Santo Ufficio ha rinunciato ad avvalersi (con la rilevante eccezione dello Stato dei papi nell’Ottocento) di un “braccio secolare” e di castighi di tipo pecuniario e fisico. In questa cornice molto larga risiede, forse, il limite profondo dell’opera, come ha sottolineato giustamente Massimo Firpo in una recensione apparsa sul «Sole24ore Domenicale» (5 giugno 2011): non si rischia di far coincidere la storia dell’Inquisizione con la storia stessa della Chiesa romana degli ultimi otto secoli? L’obiezione non può essere sottovalutata: come stabilire i confini di una materia tanto grande, in cui si sono intrecciati l’errore religioso e il suo giudice ecclesiastico? Se il Dizionario storico dell’Inquisizione lascia nel lettore una certa sensazione di insufficienza, è perché si è scelto di azzardare un allargamento, piuttosto che un confinamento. E la critica, ovviamente, è legittima. Ma forse il difetto servirà a ricordarci quanto la storia dell’Inquisizione e quella generale della Chiesa latina si siano intrecciate. L’opera, pertanto, è nata in un’officina italiana ma avvalendosi dei consigli di un gruppo di studiosi e di maestri non solo italiani (José Pedro Paiva, Jean-Pierre Dedieu, Roberto López-Vela, lo stesso Tedeschi; ma anche Grado Merlo, Michele Battini e Prosperi). E la risposta dei collaboratori coinvolti non si è fatta attendere: da tredici paesi sono piovuti consigli che hanno fatto lievitare le voci da 740 circa (tante ne erano previste, all’inizio), fino a 1309, rimandi esclusi. Può apparire ed è apparsa suicida la scelta della lingua italiana (oggi rozzi criteri di valutazione e di rating impongono a chi fa ricerca un provinciale appiattimento che rischia, credo, di cancellare una tradizione culturale, oltre che un modo di comunicare). E certo l’italiano non aiuterà a diffondere l’opera oltre i confini degli specialismi e della Penisola: tanto più che i nostri governi non investono da tempo nella promozione della lingua e la casa editrice della Normale è troppo piccola per intraprendere una campagna pubblicitaria che in qualche modo possa ovviare al problema. Ma tale scelta linguistica (che è costata ai traduttori delle voci uno sforzo non da poco, che si sarebbe verificato anche se avessimo deciso di riportare tutto in inglese) è stata una scelta culturale. Non possiamo immaginare un’internazionalizzazione a senso unico. Non possiamo accettare una decadenza (evidente) senza tentare una reazione (ma scrivere in inglese, vorrei sottolinearlo, è spesso necessario). Non so se Prosperi e Tedeschi condividano queste mie considerazioni, che sono davvero molto personali; ma l’irritazione che provo per il modo disciplinare e angusto di imporre la panacea nuovista della valutazione mi spinge a dire che, per il poco che mi compete, rifarei questa scelta. Una scelta pensata anche per il lettore colto italiano, a cui l’opera ha inteso rivolgersi. Si dirà che i volumi sono troppo eruditi (per i comuni acquirenti), o che lo sono ancora troppo poco (per chi fa ricerca specialistica). Non saprei: chi lavora a un’impresa non è il suo giudice più adatto. Spero soltanto che la forma di compromesso stilistica che abbiamo adottato per la stesura e revisione dei lemmi sia compresa; e che servano, non solo agli studiosi, gli indici che faticosamente abbiamo affiancato alla bibliografia del IV volume.

Quel che posso dire è che Prosperi e tutti quelli che ci hanno lavorato hanno voluto un Dizionario leggibile ma ricco (per i motivi che ho tentato di spiegare), sull’Inquisizione (nel senso detto) e che fosse di carattere storico: né fatto solo da studiosi laici (hanno partecipato molti cattolici), né pensato in un’ottica interna alla Chiesa romana (come spesso accade in opere di questa natura); né polemico (perché non è così che si può comprendere un passato di violenza), né apologetico (adottare la chiave istituzionale non ha significato affatto sostituire la vittima con il carnefice). Abbiamo limato le voci solo quando era necessario farlo, ma non per aggiustarne il tiro nelle scelte di principio. E abbiamo aggiunto molti rimandi che facilitassero ai lettori l’incrocio delle informazioni, ma anche dei giudizi (non sempre coincidenti). I tre volumi delle voci si occupano dunque della definizione dei crimini di eresia (intesa, come già fecero i giudici, in senso sempre più esteso: magia, apostasia, negazione dei dogmi, sessualità indisciplinata, pretesa santità, reati contro i sacramenti, etc.), della procedura (sul piano formale del diritto e su quello concreto dei processi), dei luoghi (distretti, vicariati, ambienti in cui sono avvenute repressioni significative), degli uomini che a vario titolo hanno giudicato (pontefici, cardinali, padri conciliari, vescovi, frati, giuristi, teologi, consultori, medici), degli imputati (non solo quelli illustri come Dolcino, Carranza, Bruno, Galileo, Vieira, Buonaiuti) e dei loro scritti ora vietati ora emendati. Altre voci si occupano poi degli strumenti di lavoro (i manuali per inquisitori, per esempio) e della riflessione sulle vicende del tribunale, in chiave di immediata esaltazione (Luis de Páramo e la sua prima storia dell’Inquisizione) o di polemica (la leyenda negra, Erasmo, le opere di Dellon, di Voltaire, di Llorente). Inoltre non mancano contributi sulla rappresentazione iconografica o sull’Inquisizione e il suo rapporto con le arti, ora come istanza censoria (la musica), ora invece come soggetto (nella letteratura, ma anche nel cinema). Infine, le voci di taglio più storiografico, che sono più corpose delle altre proprio per il rilievo che si è voluto dare a quanto è cambiato nella ricostruzione di questa poco esaltante pagina della storia umana. Una pagina che mette in fila la condanna dei riti cinesi e malabarici (sec. XVIII) e la recente censura contro le tesi di Jacques Dupuy, missionario in India (2001).

Infine, poche considerazioni personali. Grazie al dizionario ho contratto debiti umani che per me valgono i momenti difficili che pure ci sono stati. Ho imparato molto dai colleghi e amici che mi hanno affiancato nella redazione dell’opera e in un lavoro, spesso faticoso, con grande generosità e pazienza. Ho avuto l’occasione di conoscere l’umanità e il metodo di lavoro di uno studioso come Tedeschi, di cui non finisco di ammirare la tenacia e la serietà profuse nel controllo certosino dei testi che affluivano per comporre il dizionario. Nutro per lui una sincera e speciale gratitudine. Quanto a Prosperi, che ha concepito e voluto il progetto, dovrei dire molte cose: di quanto mi ha insegnato, dell’amicizia che ha saputo esprimere per un allievo. Due parole basteranno: affiancarlo in quest’impresa – che si è conclusa dopo sei anni – è stato un autentico piacere e, forse, il momento in cui ho potuto conoscerlo meglio dopo gli anni di apprendistato alla sua scuola.

Bibliografia

d’Holbach P.-H.-Th. 1999, Teologia portatile o Dizionario abbreviato della Religione Cristiana, T. Cavallo (ed.), Pisa: Lapsus; (ed. orig. 1768, Théologie portative ou Dictionnaire abrégé de la Religion Chrétienne).

Golden R. (ed.) 2006, The Encyclopedia of Witchcraft: The Western Tradition, 4 voll., Santa Barbara (Ca.): ABC-CLIO.

Prosperi A. 2010a (dir. con Lavenia V., Tedeschi J.), Dizionario storico dell’Inquisizione, 4 voll. più un inserto iconografico, Pisa: Edizioni della Normale.

- 2010b, Presentazione, in Prosperi 2010a, I: III-VII.

Tonelli G. 2006, A Short-title List of Subject Dictionaries of the Sixteenth, Seventeenth and Eighteenth Centuries as Aids to the History of Ideas, ed. rivista, ampliata e annotata da Canone E., Palumbo M. (eds.), Firenze: Olschki, (ed. orig. 1971, London: The Warburg Institute).

Tedeschi J. A. 2000, The Italian Reformation of the Sixteenth Century and the Diffusion of Renaissance Culture: A Bibliography of the Secondary Literature (ca. 1750-1997), Lattis J.M. (ed.), introd. Firpo M., Modena: Franco Cosimo Panini.

Valente M. 2009, Contro l’Inquisizione. Il dibattito europeo, secc. XVI-XVIII, Torino: Claudiana.

Note

[1] Il testo ricalca, con le necessarie modifiche, l’intervento da me recitato a Firenze in occasione della prima presentazione pubblica dopo la stampa del Dizionario organizzata da Anna Benedetti per il ciclo Leggere per non dimenticare (Biblioteca Comunale delle Oblate, 6 ottobre 2010).