Storicamente. Laboratorio di storia
Henry James, L’americano, pp. 290-291
«Lo so quali sono questi sentimenti: pure superstizioni! E l’idea che, dopo tutto, quantunque io sia un brav’uomo, sono una persona legata al commercio: è l’idea che uno sguardo di vostra madre sia legge per voi, e le parole di vostro fratello vangelo: e che tutti insieme voi facciate una sola combriccola, e che rientri nelle imperiture convenzioni ch’essi abbiano ad avere una mano in tutto quello che voi fate. Mi fa bollire il sangue! Questa sì è freddezza: avete ragione. E quello che sento io qui, ora» e Newman si battè sul cuore e divenne più poetico di quanto egli stesso avrebbe creduto «è un fuoco rovente!».
Uno spettatore meno preoccupato dello sgomento adoratore di Madame de Cintré avrebbe subito capito che la supplichevole calma di lei era il risultato di uno sforzo violento, a dispetto del quale il flutto della sua agitazione rapidamente cresceva. E alle ultime parole di Newman il flutto traboccò, ancorchè dapprima lei parlasse sommessamente, per timore che la sua voce la tradisse. «No, non avevo ragione…non sono fredda! Credo che non sia per pura debolezza e falsità che sto facendo ciò che a voi sembra tanto malvagio. Signor Newman, è come una religione. Non posso dirvi di più…non posso! E’ crudele da parte vostra insistere. Non so perché non dovrei chiedervi di credermi …di aver compassione di me. E’ come una religione. C’è una maledizione che pesa sopra la nostra casa: non so quale…non so perché; ma vi prego di non domandarmelo. Noi tutti ne dobbiamo soffrire. Io sono stata troppo egoista: volevo sfuggire a questo destino. E voi mi offriste una grande occasione….oltre al fatto che vi volevo bene. Era così bello poter cambiare completamente, rompere, andarmene via. E poi io vi ammiravo. Ma non posso, non posso sfuggire al mio destino: mi ha raggiunto, è ritornato a me».