Storicamente. Laboratorio di storia
Frances H. Burnett, Un matrimonio inglese, pp. 223-224
Quando passeggio per le vie del paese vedo gente alle finestre e figure impassibili che si affacciano all’uscio. Da quello che capisco, seppur in maniera vaga e remota, per quanto io sia americana, il fatto che sia dello “stesso sangue di sua signoria” e che sua signoria (per quanto anche lei americana) possa rivendicare dinanzi a loro di essere la madre del figlio del padrone della loro terra suscita in questa gente la sensazione che io abbia una qualche oscura sorta di relazione con il tutto, nonché una specie di responsabilità per quanto riguarda il cattivo stato dei loro tetti e dei loro comignoli, le loro staccionate cadenti, i pavimenti umidi, tutti i loro agi e disagi. Ecco, ti ho descritto tutto, e tu, papà, comprenderai se dico che in effetti questa cosa mi piace. Non mi piacerebbe se fossi nei panni di Rosy, ma a me, essendo me stessa, piace moltissimo.
Ci vedo un che di patriarcale che mi commuove.
Ciò che mi attrae di questa cosa è il forte e tracotante compiacimento che dà il potere, oppure qualcosa di più lodevole? Avvertire che in questa terra ogni uomo, ogni donna, ogni bambino ha conosciuto una persona, contato sull’onore e l’amicizia di quella persona e a lei si è rivolto fiducioso nei momenti di difficoltà, sapere che esiste una persona che può essere d’aiuto e dimostrarsi di un’affidabilità meravigliosa….basterebbe la sola consapevolezza di ciò a darle vigore e a riscaldarle il cuore. Come mi piacerebbe essere nata in questa posizione, oh, se i primi suoni uditi dalle mie orecchie di neonata fossero stati i rintocchi del campanile di una vecchia chiesa normanna che mi dava il suo benvenuto: “Ben arrivata nella nostra casa, che tu possa vivere a lungo in mezzo a noi! Ben arrivata!”. Eppure, anche se i primi suoni che mi hanno accolta saranno stati probabilmente lo sferragliare di una diligenza lungo la Quinta Avenue, a questa gente io ho portato qualcosa, e chissà se avrei potuto portarlo senza la varietà di quei suoni metallici, tanto banali, sì, ma anche gioiosi.