Storicamente. Laboratorio di storia
Ruolo dei suoceri
Qui comando io. Quando mio marito era vivo comandavamo insieme. Adesso comando io. […]

I miei due figli hanno tardato a sposarsi perché  non trovavano quella che faceva per loro, volevano una del loro pari, che avesse avuto un po’ di titolo anche. Una ricca o che avesse titolo, che fosse di una famiglia un po’ su, non di una famiglia di un mezzo contadino. Poi gli anni sono passati, la campagna è  venuta schinfià, adesso è uno scandalo che le ragazze vadano tutte a lavorare in fabbrica invece di starsene a casa […].

 

Quando è morto il mio uomo i miei figli avevano uno quarantaquattro anni e l’altro trentanove, ed hanno detto: “Nostra madre ci va dietro al padre. Cosa facciamo noi due soli? Ci sposiamo, basta che troviamo una donna”. E così si sono sposati.

Un nostro parente, che per motivi di lavoro si trovava in Calabria, ha portato laggiù le fotografie dei miei due figli. Ha trovato le due spose, una del 1939, e l’altra ancora più  giovane. I miei figli sono andati giù, in treno fino a Roma, poi con l’aeroplano fino in Calabria. Hanno visto le donne, e dopo due mesi le hanno già sposate. […]

Qui si trovano bene le due nuore. Io non ho mai parlato in italiano con le nuore, perché ho voluto e voglio che imparino a parlare come noi. Sì, sì, qui comando io. Il primo caffè è  sempre il mio, c’è rispetto per il mio comando e per la mia età.

 

Vittoria, in N. Revelli, L’anello forte, Einaudi, Torino, 19<