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Marc Fumaroli, Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni. Traduzione italiana a cura di Graziella Cillario e Massimo Scotti

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«Gli uni vogliono allacciare l'Europa moderna al genio antico. Gli altri vogliono emanciparsene. Sarebbe un errore credere che questa incerta battaglia sia stata un epifenomeno trascurabile, giacché ha costretto gli Antichi e i Moderni ad andare sino in fondo nelle loro posizioni, a inventare argomentazioni inedite e sconcertanti, a creare opere atte a intimidire l'avversario: insomma, è stata il principio occulto della vitalità inventiva della Repubblica europea delle Lettere, un principio motore che, così come la Repubblica delle Lettere stessa, è impossibile spiegare in termini meramente economici e sociologici». Così Marc Fumaroli, professore emerito al Collège de France e membro dell'Académie française, nel presentare questo suo nuovo libro. Uscito originariamente nel 2001, da tempo atteso in italiano (e rivisto per l'occasione dall'autore stesso), Le api e i ragni è il saggio di storia intellettuale che molti, anche nel nostro paese, avrebbero voluto scrivere - vuoi per il fascino dell'argomento, vuoi per le implicazioni metodologiche sottese alla sua stesura, complessa come la storia raccontata.

Fumaroli riesce nell'opera affiancando il gusto per la cronaca al rigore della Kulturgeschichte. La sua non è astratta storia delle idee, ma ricostruzione mai arida di vive e articolate immagini del sapere. L'autore dà conto non solo del dibattito che divise, intorno alla lingua e alla poesia, al teatro e alla scienza, all'arte e alla musica gli "Antichi" e i "Moderni". Rilegge in maniera approfondita gli sfuggenti rapporti che videro legati i letterati delle fazioni in polemica tra loro, tra questi e la società colta dell'epoca, tra questi e il potere politico (primariamente il sovrano, di cui si ambiva a conquistare i favori con qualsiasi mezzo).

Lo scopo di questo libro non è, solo, registrare il successo clamoroso - ma non così "effimero" - del fronte moderno. Sulla scia di Arnaldo Momigliano e Leo Strauss, Fumaroli ci fa capire come, al di là dei limiti cronologici abitualmente in uso, la questione del vario rapporto intessuto dal "moderno" con il (suo) passato continui ad essere, a tutt'oggi, pregnante e reale. Ecco perché questo libro non si limita a coprire la fascia temporale del Sei-Settecento, ma inizia con il Rinascimento (le pagine, forse, più belle in assoluto) e si conclude con la Rivoluzione francese.

Peraltro, come riconosce lo stesso Fumaroli, è stato Jonathan Swift ad elaborare il modello «più completo e più inesauribile» di quella che è poi passata alla storia come la disputa tra "Antichi" e "Moderni". I primi, come afferma Esopo nella Battle of the Books swiftiana, sono come l'ape, la quale trae dalla natura il miele che fabbrica, mentre i secondi, così come il ragno, attingono ai loro stessi escrementi di che filare la propria conoscenza. Ecco, dunque, la modernità ritratta da Fumaroli svelarsi come «atrofia della memoria, negazione di ogni retaggio». Tuttavia, dietro quella «funesta e narcisistica sterilità», più presunta che reale, lo storico sa celarsi il coraggio di credere nella crescita di un sapere libero da vincoli.

La polemica tra i due "partiti", si osserva, era iniziata in realtà ben prima di Swift, nell'Italia d'inizio Seicento e in Francia, dove aveva improntato di sé l'intera vita culturale dell'ultimo ventennio del secolo. Anni turbolenti e fecondi, illuminati dagli scritti di Boileau e Racine, Perrault e Fontanelle. I loro antenati, secondo Fumaroli, sono da ricercare in Montaigne e Cartesio, nei Ragguagli di Parnaso di Boccalini e nella Secchia rapita di Tassoni, senza dimenticare un altro grande sempre poco citato dell'enciclopedismo di età barocca: il nostro Secondo Lancellotti.

Della disputa tra gli "Antichi" e i "Moderni" l'autore segue le tracce nelle accademie, ritrovandone l'eco a Londra e a Napoli. In Inghilterra, grazie alla trattistica di Temple e Wotton - l'Essay del primo e le Reflections del secondo vennero pubblicate nel 1692 e nel 1694 rispettivamente, e ancora attendono ricerche dettagliate - la polemica, da retorico-letteraria, si fece scientifica, finendo così per innestarsi nel tronco "illuministico" della tradizione baconiana. Un aspetto rimasto ai margini del discorso svolto, in merito al quale il lettore avrebbe apprezzato ulteriori precisazioni. In effetti, la frontiera di certezze su cui poggiava la sicurezza moderna, tra XVII e XVIII secolo, fu proprio la galleria di scoperte e conquiste acquisite dalla "nuova scienza". (Si tratta, ad ogni modo, di piccole lacune in un libro quasi perfetto).

Dopo Londra, Napoli: il gran Vico, col suo tacitismo, e quindi Paolo Mattia Doria, il filosofo platonico che preferiva Euclide a Newton (prima di loro, impossibile non citare Sebastiano Bartoli e l'esperienza investigante). E, dopo Napoli, il Settecento europeo: quello inglese (Gibbon) e quello francese, fino al Terrore. Interessantissime le pagine dedicate a Caylus, protagonista della definitiva maturazione delle conoscenze tecnico-estetiche e della stessa antiquaria. Al tempo di Napoleone e dell'Impero, lasciatasi alle spalle Omero, la discussione verteva ormai sul significato di decadenza e progresso. Con il pre-romanticismo la drammatizzazione della disputa tra "Antichi" e "Moderni" vide sfumare i propri contorni ed arricchirsi di nuovi colori. Fumaroli, da ape operosa, ne indaga pazientemente le sorti in questa sintesi imperdibile.