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Claudio Mancuso, "La patria in festa. Ritualità pubblica e religioni civili in Sicilia (1860-1911)"

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Claudio Mancuso, "La patria in festa. Ritualità pubblica e religioni civili in Sicilia (1860-1911)", Palermo, La Edizioni La Zisa, 460 pp.

 

È uno studio completo della religione civile in Sicilia, condotto attraverso un continuo e serrato confronto con le fonti e con una sterminata letteratura italiana e internazionale. Mancuso ricostruisce le testimonianze del culto della patria attraverso i monumenti, attraverso la toponomastica e soprattutto attraverso le feste. Come scrive Massimo Baioni nella prefazione, questo libro è utilissimo per comprendere i meccanismi del nation-building in periferia, e soprattutto disvela un panorama meridionale che la storiografia italiana non ha ancora indagato.

Mancuso è arrivato al volume attraverso la laurea magistrale e la tesi di dottorato. Il suo studio si articola in diversi capitoli. Il primo è opportunamente dedicato alla vicenda politica dell’isola, dal monopolio moderato fino all’affermazione del popolarismo. Si entra poi nel vivo dell’argomento. Si comincia con le grandi commemorazioni. Quelle dantesche ebbero nell’isola dei risultati ambigui. Diverso il discorso per il centenario dei Vespri siciliani, che sotto l’abile regia di Francesco Crispi veicolò dei solidi messaggi antifrancesi e anticlericali.

Mancuso passa poi a analizzare le nuove celebrazioni, quelle legate alla nascita dello Stato unitario prima e quelle relative ai partiti anti-sistema poi. La Festa dello Statuto, indagata sia nelle maggiori realtà cittadine che nella provincia, ebbe un aspetto sfarzoso per tutti gli anni ’60. In seguito la sua aura si appannò, fino a meritare uno spazio risicato sui giornali. La partecipazione popolare, difficile da ricostruire come spiega Mancuso nelle conclusioni, passava in questa festa in secondo piano rispetto ai momenti dominanti voluti dalle istituzioni moderate: la parata militare e la festa scolastica. Rilevante il fatto che nella prima metà degli anni ’60 il clero cittadino collaborò alla festa, mentre dopo la soppressione degli enti ecclesiastici si dovette ricorrere ai cappellani militari. L’a. passa in rassegna anche le feste e le commemorazioni legate alle ricorrenze dei membri della dinastia regnante e la festa del 20 settembre, fortemente voluta da Francesco Crispi.

Differente l’iter delle feste garibaldine. Queste nascevano con un forte concorso della società civile e si articolavano in modo differente nelle diverse località. Il culto garibaldino, anzi, si accompagnò in Sicilia alla creazione di pantheon e liturgie locali. La battaglia di Calatafimi, la presa di Palermo, la battaglia di Milazzo diedero occasione ad altrettante feste, con corredo di monumenti e lapidi. Francesco Crispi, eroe politico del Palermitano, diventò a sua volta oggetto di celebrazione come componente della spedizione garibaldina e come protagonista assoluto del momento elettorale in Sicilia.

Il culto garibaldino comprendeva pagine scomode come la commemorazione di Aspromonte, quella di Mentana e quella della Campagna del Vosgi. Affiorava l’idea di un Risorgimento incompiuto se non tradito dalle élites moderate. Questo messaggio diventava addirittura clamoroso nelle celebrazioni dedicate a Mazzini. Mancuso rileva come il culto mazziniano nell’isola fosse sorprendentemente forte, sostenuto non da ultimo dalla gioventù universitaria. Ecco allora manifestazioni interamente organizzate dalla società civile: pellegrinaggi, erezione di lapidi, discorsi pubblici. Le vestigia del culto mazziniano si trovavano in Sicilia in numero maggiore che nelle città del Centro-Nord, molte delle quali avrebbero inaugurato monumenti al quarto padre della patria solo tra XIX e XX secolo.

L’inaugurazione del busto romano di Giordano Bruno ebbe delle ripercussioni anche nell’isola, dove il culto bruniano rispecchiò diffusi sentimenti anticlericali e antimoderati. Ma le feste anti-sistema più sentite, a partire dagli anni ’80 dell’800, furono quelle socialiste. Mancuso afferma che per ricostruirle si deve ricorrere in primo luogo alle carte ufficiali, soprattutto a quelle di polizia, dato che quelle feste suscitavano le preoccupazioni delle autorità. Lo studioso si avvale però anche della stampa e di pubblicazioni occasionali. Ecco che nasce e si diffonde il culto del 1 maggio. In principio era una festa severa, scandito da conferenze e pellegrinaggi silenziosi. In seguito si unì un momento ludico che faceva di queste feste un valido contraltare delle feste moderate.

Nelle conclusioni, che tirano le fila del volume ma aprono anche a ricerche nuove, Mancuso si sofferma sull’utilità e le asperità di indagini sulla religione civile nel Mezzogiorno, auspicando che si aprano nuovi cantieri e si possa presto giungere a un atlante delle celebrazioni nel Sud. Di sicuro il suo lavoro, offrendo una ricostruzione esaustiva della religione civile nell’isola, costituisce un ottimo punto di partenza.