Storicamente. Laboratorio di storia

Comunicare storia

La mediazione concettuale fra storiografie “nazionali” distanti: “Die Ottonen” di Hagen Keller

PDF

Le riflessioni che seguono derivano dalla mia esperienza di traduzione – e più in generale di cura scientifica – del libro che Hagen Keller ha dedicato alla dinastia degli Ottoni nel 2001. Questa esperienza è stata per me molto impegnativa e allo stesso tempo stimolante visto che all'epoca – il libro è stato pubblicato in italiano nel 2012 – avevo tradotto dal tedesco solo qualche breve saggio in un paio di volumi miscellanei contenenti atti di convegni o cataloghi di mostre storiche. La mia formazione, infatti, non è quella del traduttore professionista ma piuttosto quella del medievista che per ragioni di ricerca frequenta intensamente, e da diversi anni, sia la storiografia in lingua germanica, sia il mondo universitario tedesco. Le mie riflessioni, quindi, non verteranno tanto sui problemi linguistici della traduzione scientifica, anche se più avanti tenterò qualche accenno in questa direzione, ma toccheranno soprattutto alcune questioni di “mediazione culturale” fra la storiografia tedesca e quella italiana implicati dalla complessa operazione culturale di tradurre un libro scientifico.

La trasformazione del pubblico dei lettori

Un primo elemento da mettere in evidenza di questa complessa operazione è la possibile trasformazione del pubblico di lettori cui è destinato il libro come conseguenza della traduzione. Die Ottonen – questo l'icastico titolo tedesco del libro di Keller – è stato concepito come un'opera di alta divulgazione: il testo infatti è caratterizzato da una struttura sostanzialmente tradizionale, basata sullo sviluppo cronologico delle vicende di cui sono protagonisti gli Ottoni, non è corredato da note, né a piè di pagina né in fondo ai capitoli, e presenta solo alla fine del volume una bibliografia di orientamento davvero breve, soprattutto se si considera l'amplissima fortuna di cui il tema ottoniano ha goduto nella storiografia tedesca passata e presente.

In Germania il libro è uscito presso l'editore C.H. Beck, una delle maggiori case editrici tedesche nel campo della saggistica storica e più in generale delle scienze umane, che lo ha inserito nella collana “Wissen”, caratterizzata da brevi volumi su temi considerati parte dei “saperi” generali e rivolti prevalentemente a un pubblico colto e non specialistico. Anche Die Ottonen non fa eccezione: all'uscita in tedesco il suo pubblico d'elezione – almeno secondo l'editore – era costituito dagli amanti della sintesi storiche, dagli appassionati del medioevo, oltre che dagli studenti di vario grado, dalle scuole superiori ai primi anni dei corsi universitari. In Italia, invece, il libro non ha trovato spazio né nel catalogo del Mulino né in quello di Laterza, due case editrici che per dimensione, progetti culturali e pubblico di lettori sono molto simili all'editore Beck, ma è stato pubblicato da Carocci, una casa editrice di medie dimensioni per il panorama italiano, specializzata in saggistica e prevalentemente orientata verso il mondo universitario, perché si è pensato che il pubblico italiano sarebbe stato composto soprattutto da professori e studenti universitari, ovvero da specialisti della materia.

Questo cambiamento nel pubblico atteso è dovuto al tema del libro: in Germania gli Ottoni sono figure largamente conosciute fin dai banchi della scuola elementare perché sono entrate da molto tempo a far parte del pantheon dei padri fondatori dell'identità tedesca – e lo testimonia senza ombra di dubbio la notevole affluenza che hanno registrato in Germania le numerose mostre storiche dedicate negli ultimi anni a Ottone I e ad altri personaggi o temi del mondo ottoniano. In Italia, invece, quando si parla di Ottoni si pensa comunemente alla famiglia di strumenti a fiato o tutt'al più al metallo con cui sono fatti i pomi che, insieme con i manici di scopa, campeggiano nel titolo di un famoso film prodotto da Walt Disney nel 1971: due battute che mi è capitato più volte di sentire di persona. Ma al di là degli scherzi, è innegabile che in Italia la dinastia ottoniana susciti l'interesse solo di una ristretta cerchia di specialisti: medievisti – soprattutto chi si occupa dei secoli centrali del medioevo –, storici dell'arte e studiosi di letteratura mediolatina. È proprio per questa profonda differenza nella conoscenza del tema che l'edizione originale ha potuto essere intitolata semplicemente Die Ottonen, senza alcun pericolo di fraintendimenti da parte dei lettori, mentre l'editore italiano ha preferito, giustamente, far seguire al titolo Gli Ottoni anche un sottotitolo di tipo esplicativo: Una dinastia imperiale fra Europa e Italia (secc. X-XI).

Per colmare una lacuna storiografica

L'idea di tradurre Die Ottonen è nata dalla constatazione che nel panorama editoriale italiano mancava un libro che ricostruisse nel suo insieme la storia di questa dinastia. Una dinastia che ha avuto un ruolo di primo piano non solo in Germania, ma anche in Italia e più in generale nello scacchiere europeo nel momento in cui, proprio con la conquista del regno italico, ha dato all'impero in Occidente un assetto politico-istituzionale che è sopravvissuto per tutti i secoli centrali del medioevo.

La scelta per colmare questa lacuna è caduta sul libro di Keller per svariate ragioni: la chiarezza dell'esposizione, l'equilibrio fra temi classici e ultime tendenze della storiografia, le dimensioni ridotte che lo rendono facilmente adottabile negli odierni corsi universitari italiani, ma soprattutto la particolare attenzione che l'autore pone sia all'azione che gli Ottoni dispiegarono in Germania, sia al loro operato nella penisola italiana. Una duplice attenzione che si traduce nel tentativo di descrivere l'insieme dei processi storici di cui gli Ottoni furono protagonisiti o conpartecipi nei territori al di qua e al di là delle Alpi. Questa attenzione duplice è assai rara nella storiografia che negli ultimi anni si è occupata di queste tematiche perché sia in Germania, sia in Italia ci si è concentrati maggiormente sui fenomeni dei rispettivi ambiti territoriali. Probabilmente la peculiarità dell'approccio usato da Keller deriva dalla sua formazione che è sì pienamente tedesca, come molti dei temi di ricerca a cui si è dedicato, ma che ha visto anche un lungo periodo di apprendistato scientifico durante gli anni '60 del secolo scorso presso il Deutsches Historisches Institut di Roma guidato da Gerd Tellenbach, dove Keller ha incominciato a occuparsi del regno italico nell'alto e pieno medioevo e ha instaurato un dialogo con la storiografia italiana che dura tutt'oggi.

L'importanza del saggio introduttivo

L'idea di anteporre un breve saggio introduttivo – la Premessa – all'edizione italiana è scaturita da una doppia necessità. Innanzitutto, per spiegare l'importanza della dinastia ottoniana per la storia della penisola ai lettori italiani che, come ho già ricordato, hanno poche conoscenze sugli Ottoni, anche nel caso siano studenti universitari di materie umanistiche, in modo da integrare le informazioni fornite nel primo capitolo che è incentrato sulla rappresentazione degli Ottoni nell'immaginario comune dei lettori tedeschi. E poi per indicare i punti di contatto e le differenze fra la lunga tradizione storiografica tedesca, che ha fatto degli Ottoni uno dei suoi temi privilegiati fin dall'Ottocento, e la storiografia italiana, che ha affrontato la dinastia ottoniana in maniera più rapsodica e prevalentemente in rapporto all'azione che ha dispiegato nel regno italico. Queste due tradizioni storiografiche hanno avuto un momento di scambio molto fecondo fra gli anni '60 e '70 del secolo scorso quando Gerd Tellenbach, Cinzio Violante, Giovanni Tabacco e alcuni loro allievi hanno instaurato un dialogo intenso sulle realtà politico-istituzionali e sociali del regno italico nei secoli centrali del medioevo. La visione di insieme del mondo ottoniano offerta da Keller è figlia di quella fortunata stagione storiografica e quindi acquista maggiore profondità, soprattutto agli occhi di lettori universitari, se viene delineato il lungo e complesso percorso di studi che l'ha generata.

È evidente che quest'ultima riflessione può valere per qualsiasi volume scientifico, ma nel caso di un libro in traduzione la presenza di un saggio introduttivo acquista, a mio avviso, un valore essenziale. Una traduzione, infatti, non costituisce solo la trasposizione linguistica dei contenuti presenti nel testo originale, ma anche – o forse soprattutto – una mediazione concettuale fra diverse categorie storiografiche, quelle in uso nella storiografia della lingua di partenza e quelle tipiche della storiografia della lingua d'arrivo. Queste categorie hanno una loro specifica storia all'interno delle singole storiografie nazionali e, inoltre, possono essere usate in maniera più o meno consapevole dall'autore. Proprio per tali ragioni si impone la necessità di esplicitare il processo di mediazione concettuale messo in atto dalla traduzione, o meglio dal traduttore, che quindi per svolgere nella maniera più efficace il suo lavoro dovrà avere competenze specifiche non solo linguistiche ma anche – e soprattutto – scientifiche rispetto alla tematica oggetto del testo, oppure dovrà essere coadiuvato nella resa finale da un esperto della disciplina.

Per cercare di essere più chiaro voglio fare un breve accenno all'edizione italiana del Kaiser Friedrich der Zweite di Ernst Hartwig Kantorowicz. Senza entrare nel complesso significato dell'operazione storiografica e, allo stesso tempo, culturale e ideologica compiuta dal giovane Kantorowicz nel 1927, voglio solo sottolineare che un libro già di per sé molto discusso all'uscita, perché profondamente immerso nel clima intellettuale conflittuale della Repubblica di Weimar, è stato tradotto in italiano ben due volte, la prima nel 1939 e la seconda nel 1976 sempre per conto dell'editore Garzanti, e, in entrambe le occasioni, senza che vi fosse premesso alcun saggio introduttivo che ne constestualizzasse le radicali posizioni storiografiche e la complessa vicenda di composizione, né tantomeno che aiutasse ad affrontare l'articolazione del pensiero del suo autore. Questa assenza, a mio avviso, ha nuociuto parecchio alla comprensione del libro e ha prodotto non pochi fraintendimenti sulle posizioni storiografiche e personali di Kantorowicz. Mi rendo conto che il Federico II di Kantorowicz rappresenta un caso limite per il carattere particolarmente controverso delle sue tesi, ma proprio per questo mi sembra particolarmente emblematico dell'importanza – in generale – della presenza di un saggio introduttivo che contestualizzi un'opera prodotta in un altro ambiente storiografico.

Linguaggio accademico e lingua quotidiana

Hagen Keller è uno storico di professione; non solo, è uno storico di lungo corso visto che ha iniziato la sua carriera accademica negli anni '60 e che ora è professore emerito dell'Università di Münster. Nel momento in cui ha deciso di scrivere un libro di alta divulgazione come Die Ottonen si è impegnato a usare un linguaggio piano e semplice proprio in considerazione del pubblico ampio cui si rivolgeva. Ma, senza voler dare alcun giudizio stilistico, – cosa che non spetta certo a me – ho l'impressione che gli stilemi del linguaggio accademico affiorino a più riprese nel testo tedesco. Mi sento però di dover spezzare una lancia a favore di Keller perché credo che, riguardo all’uso di un linguaggio divulgativo, gli storici tedeschi incontrino maggiore difficoltà rispetto ai loro colleghi italiani. Sulla base di una frequentazione empirica ormai ventennale della storiografia e del mondo accademico tedesco, mi sono fatto l'idea che la distanza fra il linguaggio accademico e la lingua quotidiana sia decisamente maggiore in Germania rispetto a quanto non lo sia in Italia. La mia impressione è che il registro scientifico tedesco sia molto orientato verso l'astrazione mentre il registro quotidiano, per esempio quello giornalistico, è molto più concreto e discorsivo, piano e diretto, ovviamente nei limiti della complessità della grammatica e della sintassi tedesca. In italiano, invece, mi sembra che sia la lingua accademica sia quella scritta quotidianamente siano accomunate maggiormente dall'uso del registro narrativo.

Il tedesco accademico, in particolare quello umanistico, è caratterizzato infatti da costruzioni sintattiche molto complesse in cui grappoli di subordinate si intersecano alla frase principale, in alcuni casi per esprimere davvero la complessità del pensiero dell'autore, in altri invece solo per dare una patina di profondità teorica. La terminologia è di regola molto concettuale e astratta e impiega a piene mani verbi, avverbi e aggettivi sostantivati. Ma la maggiore peculiarità che contraddistingue il linguaggio accademico tedesco rispetto a quello italiano è costituita dall'uso ampio e sempre rinnovato di neologismi. Mettendo a frutto l'estrema duttilità del tedesco nel costruire termini composti, gli storici e in più generale gli studiosi di scienze umane hanno coniato – e continuano a coniare – sempre nuove Leitidee che possono cambiare del tutto al mutare dei paradigmi culturali dominanti o anche solo variare in uno dei termini che le compongono.

Termini “tecnici” e contesti storiografici

Sebbene in Italia sia conosciuto, in ambito specialistico, soprattutto per i suoi fondamentali lavori sui Comuni cittadini dell'Italia settentrionale, Keller è anche uno dei massimi esperti del mondo ottoniano, tema cui ha dedicato nell'arco di cinquant'anni numerosissimi saggi scientifici e diversi volumi di sintesi. Proprio perché è uno specialista della materia, Keller non rinuncia anche in un libro rivolto al grande pubblico come Die Ottonen a utilizzare alcuni termini “tecnici” coniati dalla storiografia tedesca per esprimere concetti specifici del contesto politico e sociale altomedievale. Questi termini, che spesso sono neologismi costruiti nella forma di parole composte, le Leitidee cui ho accennato sopra, possono creare non poche difficoltà nella traduzione in italiano perché sono il prodotto di dibattiti storiografici che sono stati sviluppati da una specifica comunità scientifica caratterizzata non solo dall'uso della propria lingua nazionale, nel caso specifico quella tedesca, ma anche da elaborazioni concettuali differenti da quelle sviluppate in altre storiografie sulle medesime problematiche. Per riuscire a rendere correttamente in un'altra lingua la complessità dei concetti condensati in tali termini, non solo bisogna conoscere il contesto storiografico nazionale in cui queste parole sono state create ma è anche necessario ricostruire la genealogia concettuale che le ha prodotte.
Cercherò di rendere più chiare queste affermazioni facendo riferimento a tre casi in cui la ricostruzione del contesto storiografico mi ha permesso di comprendere appieno il significato di un termine specifico usato da Keller e quindi mi ha reso possibile una traduzione più fedele al significato originario.

Herrschaftsverband

Il primo caso è certamente quello più complesso, perché il dibattito storiografico che ha portato alla definizione del termine affonda le sue radici fin nel XIX secolo. Il termine in questione è Herrschaftsverband: una parola dal significato davvero articolato che può essere reso con la perifrasi “l'unione politica formata del re e dagli altri partecipanti al potere nel regno” e in determinati contesti può anche essere tradotto più semplicemente come “la comunità politica del regno”.

Herrschaftsverband è un termine chiave della interpretazione che, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, Keller ha sviluppato a proposito delle istituzioni del regno teutonico nel X e XI secolo. Secondo tale concezione, la struttura istituzionale era costituita dai legami personali instaurati fra il re e i vari gruppi parentali in cui si articolava l'aristocrazia del regno. In quest'ottica, l'importanza dei legami personali come elemento costitutivo delle istituzioni ottoniane si può evincere da tre specifiche pratiche di governo messe in atto dalla nuova dinastia. Innanzitutto, a partire da Enrico I e da suo figlio Ottone I, gli Ottoni assegnarono ai membri dell'alta aristocrazia, cioè ai duchi e agli arcivescovi, il ruolo di principali collaboratori del re. Di conseguenza, la vicinanza fisica al re, la possibilità di accedere al sovrano e la presenza a corte diventarono elementi pregnanti dell'autorità dei grandi aristocratici. Inoltre, i sovrani sassoni rinunciarono immediatamente al sistema di governo carolingio basato sull'amministrazione centralizzata del territorio e riconobbero l'ereditarietà degli uffici pubblici ai conti, consentendo di fatto, se non favorendo, l'instaurazione di quello che Keller definisce regno policentrico, perché punteggiato di numerosi nuclei di potere. Infine, gli Ottoni favorirono l'instaurarsi di rapporti diretti fra il re e i vescovi attraverso la progressiva concessione di diritti regi alle chiese del regno e in questo modo utilizzarono i legami personali per poter gestire in maniera più efficiente – nella loro ottica – le risorse regie.

In estrema sintesi, si può dire che, nella visione di Keller, l'elemento fondamentale per il funzionamento del regno ottoniano è la ricerca del consenso reciproco fra re e aristocrazia, che insieme costituiscono l'Herrschaftsverband. Il re governava come coordinatore delle forze del regno e le aristocrazie laiche ed ecclesiastiche riconoscevano la sua autorità se il re riusciva a mantenere gli equilibri interni di potere. Allo stesso tempo, le aristocrazie ricevevano potere effettivo e legittimità a esercitarlo dai legami con il potere regio tramite la vicinanza al re e la partecipazione al governo del regno.

Per comprendere appieno come Keller sia giunto a questa visione del potere regio e delle istituzioni altomedievali, in molti aspetti differente da quella elaborata dalla storiografia italiana incentrata sui concetti di delega funzionariale da parte del re e di esercizio del potere su base territoriale, è necessario ricostruire la lunga riflessione sullo Stato alto e pieno medievale compiuta dalla storiografia tedesca negli ultimi centocinquant'anni.

Nel corso della seconda metà dell'Ottocento, ampia parte della storiografia tedesca fu impegnata nell’elaborazione di un’immagine dello Stato ottoniano-salico caratterizzato dalla presenza di istituzioni costruite su base giuridica, un’immagine influenzata in maniera profonda dalla struttura burocratica dello Stato bismarckiano incarnato dal 1871 nel Reich guglielmino. Nei primi decenni del XX secolo si sviluppò un ampio dibattito sullo “Stato tedesco del medioevo” in cui alcuni storici, da Hans Hirsch a Otto Brunner, misero profondamente in crisi questa idea di Stato medievale costruita su base giuridica grazie a studi sulle forme di esercizio del potere, in particolare l’amministrazione dell’alta giurisdizione, le prerogative funzionariali, i meccanismi della faida. Nell’ambito di questo dibattito, durante gli anni '30 e '40, Theodor Mayer e Heinrich Mitteis elaborarono il concetto di Personenverbandstaat, ovvero di un organismo statale costituito dai rapporti, più o meno istituzionali, fra gruppi di persone detentori di poteri: l’impero degli Ottoni in tal senso sarebbe consistito solo nei legami personali instaurati fra i sovrani sassoni e i grandi aristocratici dei regni da loro governati. Con il concetto di Personenverbandstaat, che era legato all'idea dell'aristocrazia germanica come portatrice in sé di potere, si voleva ribadire l’idea che l’impero tedesco del medioevo doveva essere considerato uno Stato, anche se era caratterizzato da strutture diverse da quelle dello Stato moderno. Questa visione storiografica fu concepita nello stesso contesto politico e culturale, la Germania sotto il regime nazista, in cui insigni costituzionalisti tedeschi elaboravano la teoria che affermava la superiorità dei legami personali fra un singolo cittadino e il Führer rispetto alle leggi dello Stato liberale ancora formalmente valide nella Germania nazista.

A partire dagli anni '50 del XX secolo, Gerd Tellenbach e il suo gruppo di allievi affrontarono lo studio delle strutture del potere nei secoli pienomedievali prendendo le distanze sia dalle costruzioni storico-giuridiche di Mitteis, sia dalla concezione statale di Mayer, proprio per la vicinanza di quest'ultima all’elaborazione teorica dello Stato condotta durante il nazionalsocialismo, movimento politico a cui Mayer, del resto, aveva preso parte attiva. Tellenbach e i suoi allievi indagarono le strutture e le pratiche di governo del regno ottoniano attraverso il metodo della Personenforschung (ricerca prosopografica) applicata ai singoli potenti e alle loro famiglie, analizzando i gruppi parentali nella rete di relazioni personali instaurate con la corte regia, le chiese, i centri monastici e le altre famiglie potenti in un contesto cronologico ampio che prendeva le mosse dalla piena età carolingia. Tellenbach si dedicò in prima persona soprattutto allo studio della Reichsadel, cioè di quella aristocrazia da lui stesso definita imperiale perché estendeva i suoi legami di potere a tutto l'impero carolingio. Queste ricerche partecipavano del clima euforico legato all'idea di Europa unita e pacifica che si diffuse nel continente durante gli anni '50 grazie alla nascita Comunità Europea, di cui non a caso Carlo Magno era allora considerato il primo antesignano.

Solo nel corso degli anni '60 e '70, grazie a tali ricerche, la raffigurazione degli Ottoni nella storiografia tedesca perse i suoi connotati nazionalistici e, progressivamente, passò in secondo piano anche la definizione “statuale” del regno da loro governato. In quegli anni, infatti, si affermò l’idea che il regno ottoniano sia stato un’entità politica costituita dall’insieme dei legami personali intrecciati fra i detentori dei poteri e il cui funzionamento era basato sulla collaborazione fra gli esponenti dell’aristocrazia del regno, in particolare delle famiglie ducali, e i sovrani sassoni, che nel corso del tempo esercitarono un ruolo sempre più forte di coordinamento delle forze politiche in gioco.

Keller, come già detto, allievo e collaboratore di Tellenbach, ha proseguito questa innovativa tradizione di studi portando a piena maturità l’indagine sul funzionamento delle strutture del potere nell'impero ottoniano e sugli strumenti utilizzati dai sovrani sassoni per imporre e rafforzare il loro governo sia in Germania, sia in Italia. Keller, infatti, ha posto in evidenza l’elemento decisivo per il funzionamento del potere nel mondo ottoniano: la capacità di creare consenso, che valeva sia per il re, poiché egli aveva bisogno del sostegno e della collaborazione dei grandi per esercitare la sua autorità, sia per l’aristocrazia del regno che basava la sua potenza sul consenso regio, rappresentata dalla vicinanza al sovrano.

Großreich e Teilreich

Il secondo caso riguarda una coppia di termini, Großreich e Teilreich, strettamente connessi fra loro. La prima parola (Großreich) viene utilizzata da Keller per definire sia il regno dei Franchi sotto i Merovingi e i Carolingi, sia l'impero a egemonia franca creato da Carlo Magno e quindi si può tradurre come “regno/impero composto da più popoli”. La seconda parola (Teilreich) è usata per indicare sia il regno di Neustria nel VII secolo, sia il regno d'Aquitania durante il IX secolo, sia il regno dei Franchi occidentali nel X secolo e quindi si può tradurre a seconda dei casi come “sotto-regno inquadrato all'interno del regno franco o dell'impero carolingio” oppure come “regno post-carolingio derivato dalla divisione dell'impero”.

Non si tratta di semplice puntigliosità lessicale da parte di Keller, bensì di una terminologia che acquista tutta la sua pregnanza di significato se considerata alla luce del lungo dibattito storiografico sul problema della Unteilbarkeit (indivisibilità) dei regni post-carolingi. Se nella storiografia italiana tale dibattito non ha riscontrato grande fortuna – e qui sta la maggiore difficoltà nel trovare termini corrispondenti in italiano – questo problema ha interessato gran parte della medievistica tedesca nell'arco del XX secolo perché è direttamente connesso all'individuazione del periodo in cui durante il medieovo è emersa la nazione tedesca – si sarebbe detto una volta – oppure – come si preferisce dire oggi – è stata creata l'identità comune dei tedeschi. Il dibattito sulle origini medievali della identità tedesca, infatti, non è mai tramontato nella medievistica germanica e si è anche riacceso in concomitanza della riunificazione fra la Repubblica Federale di Germania e la Repubblica Democratica Tedesca, come testimoniano le accese discussioni sul libro Deutschland – Frankreich. Die Geburt zweier Völker pubblicato da Carlrichard Brühl proprio nel 1990.
Secondo Keller, il momento della creazione dell'identità tedesca è rappresentato proprio dal X secolo in conseguenza delle scelte politiche operate dagli Ottoni. Nella prima metà del secolo, grazie alla designazione a unico successore al trono di Ottone I da parte di Enrico I nel 929, si formalizza il passaggio dalla concezione patrimoniale all'idea della indivisibilità del regno. La concezione patrimoniale era tipica dei sovrani franchi, in periodo merovingio come in epoca carolingia, e prevedeva la creazione di sotto-regni, ritagliati all'interno del regno franco, da affidare a ciascuno dei figli del re o dell'imperatore. L'idea della indivisibilità del regno fu affermata da Enrico I nel 929 e poi fu difesa da Ottone I contro le pretese di suo fratello Enrico durante la rivolta scoppiata nel 941. Da quel momento in avanti nessuno mise più in dubbio il passaggio dell'intero regno a uno solo dei figli del re, designato dal padre come successore al trono. Infatti, constata Keller, dopo la conquista del regno di Lotaringia da parte di Enrico I, i confini del regno teutonico non sono più mutati in maniera significativa fino all'età moderna. Come conseguenza di questi processi, sotto il governo di Ottone III è possibile rintracciare per la prima volta nelle fonti l’idea di un’identità comune espressa dai membri dell’aristocrazia del regno teutonico in contrapposizione, soprattutto, all’aristocrazia del regno italico, che a sua volta, secondo Keller, iniziava ad articolare un’identità italica proprio sotto gli imperatori sassoni.

Leitname e Spitzenahn

Il terzo e ultimo caso riguarda due termini, Leitname e Spitzenahn, che fanno parte della terminologia “tecnica” degli studi sull'aristocrazia medievale. Keller, infatti, li utilizza quando racconta delle origini degli Ottoni come famiglia e spiega che i gruppi parentali dell'altomedioevo sono identificati dagli studiosi in due modi: con un Leitname, che si può tradurre “nome guida” o “nome caratterizzante” l'intero gruppo parentale, oppure con uno Spitzenahn, cioè un “capostipite” che fornisce il nome all'insieme del gruppo familiare. Per essere più chiari facciamo due esempi tratti dal libro di Keller. Gli Ottoni fanno parte del gruppo parentale dei Liudolfingi, cioè quell'insieme di individui che sono identificati come discendenti del capostipite Liudolfo, il primo membro del gruppo a essere attestato nelle fonti. I Corradini, invece, sono quel potente gruppo aristocratico con base in Franconia identificato dal nome ricorrente di Corrado perché usato in più generazioni e in più rami di quel gruppo. Ma né Liudolfingi né Corradini erano i nomi che gli aristocratici identificati come tali dagli studiosi utilizzavano per autorappresentarsi nelle fonti altomedievali.

Dal punto di vista lessicale in questo caso, a differenza dei primi due, non si incontrano grandi difficoltà nella traduzione puntuale dei termini, che infatti hanno un corrispettivo preciso in italiano, quanto nella resa delle fondamentali differenze fra il quadro interpretativo tedesco e quello italiano relativo alle strutture della parentela in cui sono usati questi due termini.
Keller, infatti, impiega le parole Leitname e Spitzenahn secondo l'accezione messa a punto dalla scuola di Friburgo in base alle ricerche condotte con la metodologia della Personenforschung prima sotto la guida di Gerd Tellenbach, come ho già ricordato, e poi soprattutto grazie all'apporto di elaborazione teorica e di ricerca pratica di Karl Schmid.

Secondo questa visione storiografica, i due termini servono a identificare denominazioni “di comodo”, cioè puramente strumentali alla ricerca, create dagli storici per definire i gruppi parentali allargati, considerati tipici della società altomedievale. Fino al X secolo, infatti, questi gruppi sono caratterizzati da una struttura cognatizia, in cui i legami orizzontali, cioè quelli di sangue con fratelli e sorelle oppure quelli acquisiti tramite i matrimoni, sono l'elemento portante dell'identità del gruppo. Ma proprio nel corso del X secolo avviene una profonda trasformazione nella società con la progressiva affermazione della struttura agnatizia della parentela, basata sui legami di sangue verticali e quindi di tipo pienamente patrilineare. Tale trasformazione ebbe come conseguenza la creazione della coscienza dinastica dapprima nelle discendenze regie, come avviene con gli Ottoni, e poi nelle famiglie aristocratiche, una coscienza che, a partire dall'XI secolo, caratterizzerà progressivamente tutta la nobiltà europea dei secoli bassomedievali.

Anche gli studiosi italiani che si sono occupati di aristocrazia altomedievale hanno utilizzato i termini “nome caratterizzante” e “capostipite”, ma in senso più generico rispetto a quello attribuitogli dalla scuola di Friburgo e quindi, anche al modo in cui li impiega Keller. Un esempio lampante è dato della definizione “nome caratterizzante di una dinastia” usato in molti casi per indicare gruppi parentali insediati anche nel regno italico durante il IX secolo come gli Ucpoldingi, gli Unrochingi o i Supponidi. Ma questo uso non deriva certo da una mancanza di precisione terminologica, quanto da una diversa concezione delle strutture parentali medievali. Nella storiografia italiana, in cui la visione del problema elaborata da Cinzio Violante è stata a lungo egemone ed è tuttora molto diffusa, si ritiene comunemente che la struttura agnatizia e patrilineare caratterizzi l'aristocrazia durante tutto l'arco del medioevo e quindi non sia avvenuta alcuna trasformazione strutturale nel corso del X secolo. Quando i medievisti italiani usano i termini “nome guida” e – a maggior ragione – “capostipite” anche per i secoli altomedievali lo fanno sottintendendo che la struttura agnatizia caratterizzava i gruppi familiari anche a in quel periodo. Il problema maggiore nella traduzione di questi due termini, quindi, è rendere esplicita la differente visione concettuale fra la storiografia tedesca e quella italiana che può rimanere nascosta dietro l'uso della stessa terminologia.

Un auspicio

Vorrei concludere queste riflessioni piuttosto erratiche fra difficoltà di traduzione e confronto storiografico con una constatazione e un auspicio. La constatazione è che, rispetto a quanto avveniva con le generazioni precedenti la nostra, lo scambio scientifico fra gli storici tedeschi e quelli italiani è molto meno intenso: non solo per la divaricazione di interessi fra le due storiografie, ma, a mio avviso, soprattutto a causa della sempre minore conoscenza delle rispettive lingue. L'auspicio, allora, è che si possa tornare a una piena collaborazione, con la speranza che possa essere feconda come in passato. Ma questo rinnovato scambio non deve essere raggiunto accogliendo la richiesta che viene da più parti di assumere l'inglese come lingua scientifica comune anche per il mondo della ricerca storica. A mio avviso una scelta di questo tipo impoverirebbe entrambe le storiografie relegando sempre più in secondo piano la vitale eredità delle rispettive storiografie nazionali. La soluzione per rinsaldare una collaborazione che sia feconda può esser data dalla moltiplicazione delle traduzioni che, se condotte con rigore linguistico e consapevolezza storiografica, rimangono il mezzo migliore di scambio fra i diversi mondi scientifici in mancanza delle conoscenze linguistiche da parte dei singoli.

Bibliografia orientativa

  • Albertoni G. 2010, Il regno italico e l'età ottoniana nella recente storiografia tedesca, in Andreolli B., Galetti P., Lazzari T., Montanari M. (eds.), Il Medioevo di Vito Fumagalli, Spoleto: Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 239-264.
  • Brühl C. 1990, Deutschland - Frankreich: die Geburt zweier Völker, Köln-Wien: Böhlau.
  • Guglielmotti P. 1987, Esperienze di ricerca e problemi di metodo negli studi di Karl Schmid sulla nobilità medievale, «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento», 13: 209-269.
  • Isabella G. (ed.) 2008, La dinastia ottoniana, i regni e l’impero, «Reti Medievali – Repertorio»: http://www.rm.unina.it/repertorio/rm_giovanni_isabella_ottoni.html
  • Kantorowicz, E. H. 1927-1931, Kaiser Friedrich der Zweite. Hauptband. Ergänzungsband. Quellennachweise und Exkurse, Berlin: Bondi [ed. italiana: Federico II imperatore, traduzione di Gianni Pilone Colombo, Milano: Garzanti, 1976].
  • Keller H. 1985, Grundlagen ottonischer Königsherrschaft, in Schmid K. (ed.) 1985, Reich und Kirche vor dem Investiturstreit. Vorträge beim wissenschaftlichen Kolloquium aus Anlaß des 80. Geburtstags von Gerd Tellenbach, Sigmaringen: Thorbecke, 17-34.
  • – 1994, Das Werk Gerd Tellenbachs in der Geschichtswissenschaft unseres Jahrhunderts, «Frühmittelalterliche Studien», 28: 374-397.
  • – 2001, Die Ottonen, München: C.H. Beck [edizione italiana: Gli Ottoni. Una dinastia imperiale fra Europa e Italia (secc. X e XI), Isabella G. (ed.), Roma: Carocci, 2012].
  • Keller H., Althoff G. 2008, Die Zeit der späten Karolinger und der Ottonen. Krisen und Konsolidierungen 888-1024, Stuttgart: Klett-Cotta.
  • Mayer Th. 1939, Die Ausbildung der Grundlagen des modernen Staates im hohen Mittelalter, «Historische Zeitschrift», 159 (3): 457-487.
  • Mitteis H. 1940, Der Staat des hohen Mittelalters. Grundlinien einer vergleichenden Verfassungsgeschichte des Lehnszeitalters, Weimar: Böhlau.
  • Schmid K. 1983, Gebetsgedenken und adliges Selbstverständnis im Mittelalter. Ausgewählte Beiträge. Festgabe zu seinem sechzigsten Geburtstag, Sigmaringen: Thorbecke.
  • – 1985, Das Problem der "Unteilbarkeit des Reiches", in Schmid K. (ed.) 1985, Reich und Kirche vor dem Investiturstreit. Vorträge beim wissenschaftlichen Kolloquium aus Anlaß des 80. Geburtstags von Gerd Tellenbach, Sigmaringen: Thorbecke, 1-16.
  • – 1998, Geblüt, Herrschaft, Geschlechterbewußtsein. Grundfragen zum Verständnis des mittelalterlichen Adels. Aus dem Nachlaß, Mertens D., Zotz T. (eds.) Sigmaringen Thorbecke.
  • Tellenbach G. 1988 (ma ed. or. 1941), Die Unteilbarkeit des Reiches. Ein Beitrag zur Entstehungsgeschichte Deutschlands und Frankreichs, in Tellenbach G. (ed.) 1988, Ausgewählte Abhandlungen, Stuttgart: Anton Hiersemann, vol. 2: 663-687.
  • – 1988 (1943), Vom karolingischen Reichsadel zum deutschen Reichsfürstenstand, in Tellenbach G. (ed.) 1988, Ausgewählte Abhandlungen, Stuttgart: Anton Hiersemann, vol 3: 889-940.
  • – 1988 (1957), Zur Bedeutung der Personenforschung für die Erkenntnis des früheren Mittelalters, in Tellenbach G. (ed.) 1988, Ausgewählte Abhandlungen, Stuttgart: Anton Hiersemann, vol 3: 943-962 [versione italiana: Tellenbach G. 1965, L'importanza dell'indagine biografica nella storia dell'alto Medioevo, «Studi salentini», 19: 5-27].
  • Violante C. 1981, Alcune caratteristiche delle strutture familiari in Lombardia, Emilia e Toscana durante i secoli IX-XII, in Duby G., Le Goff J. (eds.) 1981, Famiglia e parentela nell'Italia medievale, Bologna: Il Mulino, 19-82.
  • Wickham C. 2003, Alto medioevo e identità nazionale, «Storica», IX (27): 7-26.