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Il naso di Alfred Flechtheim. Antisemitismo e immagini nella propaganda nazista

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Nel novembre del 2006 il Metropolitan Museum di New York inaugurò una mostra dal titolo Glitter and Gloom: German Portraits from the 1920s. Una magistrale selezione dei lavori di Max Beckmann, Otto Dix, George Grosz, Christian Schad e altri grandi artisti dell’espressionismo tedesco, provenienti da musei e collezioni private tedesche, europee e nordamericane fu assurta immediatamente a magistrale esposizione sull’arte della Germania weimeriana. Tuttavia, i “volti di Weimer” esposti a New York hanno suscitato, sia tra il pubblico che tra i critici, quesiti imbarazzanti a cui non era facile dare risposta. Agli occhi di un pubblico contemporaneo i ritratti di noti ebrei, tra cui importanti collezionisti e sponsor dell’espressionismo tedesco, apparivano eccessivamente grotteschi. Nasi adunchi e orecchie gigantesche erano indizi troppo ovvi dell’alterità che ci celava dietro ai ritratti esposti. Si può parlare di opera antisemite? Potevano i grandi artisti espressionisti, che avevano sottoposto ad una feroce la realtà della repubblica di Weimer, condividere il sentimento dei loro nemici nazisti? La domanda era sulla punta della lingua di molti recensori, i quali hanno cercato, nei limiti del possibile, di salvare e salvaguardare la grazia nonché la reputazione degli eroici artisti del modernismo tedesco divenuti vittime del regime nazista.
In particolare è proprio il ritratto di Alfred Flechtheim[1], dipinto da Otto Dix nel 1926, che ha suscitato più reazioni e perplessità. L’artista non amava di certo Flechtheim il quale, dal canto suo, preferiva Picasso e Gris all’espressionismo tedesco.
Uno dei recensori scrive:

Otto Dix (Germania, 1891-1969). Il gallerista Alfred Flechtheim, 1926. Materiali misti su legno. 47 1/4 x 31 1/2 in. (120 x 80 cm). Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie.
Photo: Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz/Art Resource, NY. Copyright provided on different websites is: © 2006 Artists Rights Society (ARS), New York/VG Bild-Kunst,
Bonn
Otto Dix (Germania, 1891-1969). Il gallerista Alfred Flechtheim, 1926. Materiali misti su legno. 47 1/4 x 31 1/2 in. (120 x 80 cm). Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie. Photo: Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz/Art Resource, NY. Copyright provided on different websites is: © 2006 Artists Rights Society (ARS), New York/VG Bild-Kunst, Bonn

Forse Hitler avrebbe potuto apprezzare alcun elementi del dipinto che Dix fece del gallerista ebreo Flechtheim, un ritratto non commissionato e che riduce questo sofisticato amante dell’arte contemporanea in un cupo e meschino venditore ambulante. Non correva certo buon sangue tra Dix e Flechtheim, e il ritratto sembra essere stato esclusivamente ispirato dal disprezzo. Dix di certo non era antisemita. Molti dei suoi amici ebrei furono ritratti con la stessa spietatezza. Dix distruggeva con avidità ogni tratto estetico piacente di coloro che ritraeva, risparmiando da questo atteggiamento solo se stesso e la moglie[2].

È assai improbabile che Hitler abbia conosciuto e visto il dipinto di Dix, anche se i tratti somatici del gallerista, manipolati in forma grottesca dall'artista, furono ampiamente utilizzati dalla propaganda del regime nazista[3].
Flechtheim non poteva minimamente sospettare che nel marzo del 1937, mentre stava morendo nel suo esilio londinese, sarebbe assurto ad icona e simbolo del cosiddetto “kulturbolschevismus” e della “degenerazione ebraica” nelle arti visive[4].

Il 1936-1937 è considerato il biennio della grande tour de force della propaganda nazista. Venne introdotta una nuova forma di esposizione propagandistica, la quale giocò un ruolo cruciale nella formazione di stereotipi destinati a dominare il paesaggio ideologico del Terzo Reich. Fu proprio in Baviera che vennero inaugurate le tre più significative mostre ispirate a questo nuovo meccanismo propagandistico.
La prima esposizione, Grosse antibolschewistische Shau (La grande esibizione antibolscevica), fu allestita presso la biblioteca del Deutches Museum di Monaco nel novembre del 1936. La nota mostra Entartete Kunst (Arte degenerata) fu inaugurata il 19 luglio del 1937 e infine quella antisemita Der ewige Jude (L’ebreo errante) fu messa in scena l’8 novembre sempre del 1937[5].
Le tre esposizioni sono intrinsecamente connesse tra loro poiché condividono alcuni elementi comuni sostanzialmente finalizzati a veicolare un coerente messaggio radicale. Esse riflettevano la concezione fondamentale della ideologia nazista volta a definire e visualizzare i nemici politici, razziali e culturali del Nazionalsocialismo. Due di queste mostre (in forme diverse e leggermente variate) – quella antibolscevica e Der ewige Jude – furono esposte in tutta la Germania e nell’Austria annessa, attirando centinaia di migliaia di spettatori. Costituirono altresì una straordinaria occasione di successo per il ministero della propaganda di Goebbels.

Nel 1937 la mostra antibolscevica fu mandata a Norimberga in forma leggermente modificata: i dipinti di Beckmann e Kirchner, esposti l’anno precedente a Monaco e ora utilizzati per l’esibizione Der Ewige Jude, furono sostituiti da un gigantesco fotomontaggio volto a mostrare gli orrori della “degenerazione ebraica” nell’arte.

Fotomontaggio 'Entartung der Kultur' (Degenerazione della cultura). Manifesto per la grande mostra antibolscevica del 1937, Norimberga, rappresentate alcune opere di 'arte
degenerata'.
Fotomontaggio 'Entartung der Kultur' (Degenerazione della cultura). Manifesto per la grande mostra antibolscevica del 1937, Norimberga, rappresentate alcune opere di 'arte degenerata'.

Questa sostituzione si rivelò straordinariamente azzeccata nel contesto della nuova mostra, la quale andava utilizzando per lo più il fotomontaggio come strumento di propaganda. Si trattava di una strategia mediatica di grande successo, indubbiamente ispirata alle tecniche sovietiche dei decenni precedenti, come ad esempio la mostra di disegni di El Lissitsky per il padiglione sovietico della Presse-Austellung di Cologna, tenutosi nel 1928. Non secondario fu l’esempio della Mostra della Rivoluzione fascista tenutasi a Roma nel 1932.
Il fotomontaggio, volto a rendere e ricostruire “l’arte degenerata”  del periodo weimariano giustappone diverse immagini: il crocifisso della capitale di Lubecca di Ludwig Gies; la scultura di Eugen Hofmann “Donna con i capelli blu” e varie altre immagini. Accanto a numerosi capolavori “degenerati” appare una fotografia gigantesca di Flechtheim. Per ironia della sorte, il dipinto di Otto Dix in cui vi è rappresentata una prostituta che si guarda allo specchio è affiancato all’immagine del gallerista, collocato alla sua sinistra. La propaganda nazista riuscì non solo ad unire i due nemici in un unico fotomontaggio, ma anche a parificarli, ponendoli allo stesso livello, trasformandoli infine in rappresentanti della “cultura giudaico-bolscevica”. Nel contesto di questo discorso nazista poco importa che il gallerista Flechtheim non abbia mai esposto né collezionato le opere che appaiono nel fotomontaggio, tanto meno rilevante è che né Otto Dix né Eugen Ries possono essere definiti “ebrei”.

In ogni caso, il ruolo del gallerista, che il regime nazista decise di trasformare in una “icona” dell’ “arte degenerata” non esaurì la sua funzione con la mostra antibolscevica di Norimberga. In novembre, l’immagine di Flechtheim riapparve nella mostra antisemita Der Ewige Jude e nella pubblicazione annessa all’esposizione, una sorta di foto-brochure dedicata all’argomento della mostra ma che non ne riproduceva la struttura.

Nella mostra di Monaco, la fotografia del gallerista che apparve nel fotomontaggio di Norimberga venne inserita in un fotomurale dal titolo “Volti giudaici” destinati a rappresentare personaggi di origine ebraica appartenenti al mondo della cultura, della politica e della scienza.

Fotomontaggo 'Judenvisagen' (Facce di giudei), per la mostra Der Ewige Jude (L'ebreo errante), Monaco di Baviera,
1937
Fotomontaggo 'Judenvisagen' (Facce di giudei), per la mostra Der Ewige Jude (L'ebreo errante), Monaco di Baviera, 1937

Anche la fotografia di Flechtheim fu inserita nella raccolta fotografica (photobook) dal titolo Der ewige Jude (L’eterno ebreo)[6] redatto da Hans Diebow, famigerato e zelante antisemita, che aveva pubblicato la sua prima opera antiebraica – Die rassenfrage (la questione razziale) – nel 1924[7]. Diebow, autore delle biografie di Hitler[8], Mussolini[9] e Gregor Strasser[10], aveva già a suo carico la pubblicazione di numerosi pamphlet antisemiti.
In entrambi i casi – biografie e pamphlet – Diebow fece gran uso non solo della parola scritta ma soprattutto dell’immagine. Proveniente dalla storia dell’arte, Diebow aveva scritto una dissertazione sulla nudità femminile nell’arte greca antica. Una volta abbandonata la professione di storico dell’arte rimase fortemente legato alla cultura dell’immagine. Nella sua agiografia su Hitler decise di accompagnare ogni parola del Mein Kampft con illustrazioni di sostegno.
I testi prodotti da Hans Diebow possono essere definiti come una sorta di “foto-album ideologici”, all’interno dei quali la spiegazione discorsiva è ridotta ai minimi termini – una tecnica questa sviluppata e ampiamente utilizzata in Unione Sovietica a partire dalla fine degli anni Venti. Tutta la produzione di Diebow può essere suddivisa in due sezioni: una rivolta alla propaganda negativa e una alla propaganda positiva.
Nel Der ewige Jude, appartenente ovviamente alla sezione di propaganda negativa, la fotografia del gallerista Flechtheim si trova a pagina 46.

Alfred Flechtheim e Paul Cassirer. In H. Diebow, Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin, Eher, 1937, p.
46.
Alfred Flechtheim e Paul Cassirer. In H. Diebow, Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin, Eher, 1937, p. 46.

Se osserviamo con attenzione l’immagine, sull’angolo sinistro della pagina si trova la fotografia di una altro leggendario gallerista tedesco, Paul Cassirer. La didascalia inserita da Diebow non menziona la cosiddetta “arte degenerata”, bensì pone la questione della presenza eccessiva degli ebrei nella critica e nel mercato dell’arte. Il ruolo di Cassirer nel contesto artistico tedesco fu di gran lunga più rilevante di quello ricoperto da Flechtheim, ma evidentemente l’immagine del “decadente” ammiratore di Picasso e di Gris domina la pagina mentre quella di Cassirer è collocata ai margini, ridotta quasi ad una sorta di foto segnaletica.

Cassirer appariva troppo normale, troppo “borghese”, privo di quelle necessarie caratteristiche demoniache, grottesche, caricaturali e “semitiche” del gallerista Flechtheim ritratto in modo spietato da Dix. Vale a dire che, a differenza di Cassirer, lo sfortunato Flechtheim corrispondeva alla perfezione alla definizione tedesca del “Charakterköpf” – traducibile in italiano con “volto distintivo” – una cultura molto diffusa nella Germania degli anni Venti. Flechtheim non rappresentava certo il volto eroico della nazione germanica, bensì quello pauroso e sgradevole “dell’altro”.
Claudia Schmolders, autrice di un libro innovativo nonché coraggioso sull’iconografia nazista[11], ha spiegato il culto del “Characterköpf” come

«una ricerca dei “volti della grandezza” resa ancor più necessaria, dopo la guerra, dalla nobiltà del volto nei film e nella fotografia, in altri termini dalla tecnica del close-up, disponibile in forma testuale già da molto tempo»[12].

Ancor prima del trionfo del cinema e della fotografia, il “Characterköpf” era disponibile non solo in “forma narrativa” ma anche per mezzo del lavoro di decine di artisti che dipinsero in varie forme questi “volti tipici”. Tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento in Germania furono pubblicati numerosi album di “Charactereköpfe”. Uno di questi, dal titolo Charakterköpfe des deutschen Reichstags[13], redatto da un tale Totila, fu pubblicato a Berlino nel 1924. Il cantore degli eroici “volti ariani” del parlamento tedesco altri non era che Hans Diebow, alias Totila, ossia il re ostrogoto che guidò la guerra contro la decadente Bisanzio. Il futuro padre del più famigerato compendio di iconografia antisemita era un uomo in sintonia con la sua epoca, un’epoca in cui – adottando la definizione del filosofo Peter Sloterdjik «la fisiognomica divenne Weltanschauung»[14]. Diebow percepi con acutezza la tendenza fondamentale “dell’epoca del volto”. Una tendenza volta alla mediatizzazione della politica e dell’ideologia, del dominio dell’immagine manipolata contro la parola. Dedicò tutto se stesso alla creazione di una nuova iconografia basata su immagini fotografiche, del tutto moderna e, come già detto, manichea. Scrive Schmolders:

«la disgustosa contemplazione della fisiognomia ebraica nelle cartoline e nella stampa, nei film e nei poster, tra il 1922 e il 1945 si modellò sulla contemplazione idealizzata del viso germanico. Proprio questa devozione fanatica generata in questo contesto rese efficace e potente quello sguardo carico d’odio rivolto al “contro-tipo semitico”. Il secondo non può essere compreso senza il primo»[15].

L’immagine di Hitler ritratta da Diebow poteva essere concepita solo in un’opposizione radicale rispetto a quegli “ebrei eterni”, a cui apparteneva lo sfortunato Flechtheim, peraltro fotografato – in tempi migliori – con smoking e sigaro avana tra le labbra.
Se Diebow aveva colto con acume la rilevanza del medium fotografia nella nuova fisiognomia manichea del terzo Reich, non fu altrettanto brillante e creativo nel selezionare le immagini. Il metodo dell’autore di Der ewige Jude ricorda più la disciplina del redattore editoriale professionale che non l’ispirazione di uno zelante cacciatore di immagini. La maggior parte dei volti ebraici che apparvero nel foto-pamphlet di Diebow erano già note al pubblico tedesco ed erano già state utilizzate per scopi propagandistici – ingrandimenti fotografici dei leader della breve repubblica rossa di Monaco, il volto del capo della polizia segreta sovietica – Genrikh Iagoda – e altre immagini di “nemici ebrei” del regime che erano stati esposte nella mostra Grosse antibolschewistische Shau l’anno precedente alla pubblicazione di Der ewige Jude.
Tutte queste immagini si trovavano nell’archivio fotografico della NSDAP, che divenne per Diebow una preziosa miniera di immagini utili ad esercitazioni di stile propagandistico. Come ogni redattore fotografico Diebow cercava immagini suggestive ed efficaci. Decontestualizzate esse erano destinate a divenire niente altro che immagini legate alle sue odiose didascalie. Hans Diebow fu capace di creare un canone dell’iconografia dell’odio, una sorta di Biblia pauperorum della propaganda nazista. Riciclando in continuazione immagini che erano già state utilizzate con scopi propagandistici altrove, egli comprese una delle regole auree del funzionamento efficace della macchina propagandistica visuale – la ripetizione compulsiva, costante. E se nel suo caso si rese necessario consultare l’archivio dell’immaginario antisemita del partito nazista, i suoi eredi non dovettero far altro che saccheggiare la sua “opera”.

Nel 1939 usciva la seconda edizione del libro di Alfred Rosenberg, Der Sumpf: Querschnitte durch das “Geistes” Leben der November-Demokratie[16]. Nella copertina del libro appariva un fotomontaggio creato dal grafico bavarese Friedrich Kremer. Il fotomontaggio conteneva quattro immagini-icone che dovevano simboleggiare la repubblica di Weimar – ebrei, sovversivi, “arte degenerata” e religione. Lo strumento “modernista” del fotomontaggio, ispirato allo stile di John Heartfield invero senza la sua acutezza, fu ampiamente utilizzato dalla macchina propagandistica del regime nel 1939 per decorare la copertina del più importante ideologo del terzo Reich.

Friedrich Kremer. Copertina per il libro di Alfred Rosenberg Der Sumpf. Querschnitte durch das
Friedrich Kremer. Copertina per il libro di Alfred Rosenberg Der Sumpf. Querschnitte durch das

Tutte le immagini riprodotte nella copertina del libro erano state prese dall’opera di Diebow. Ora destinate a vivere un secondo livello di decontestualizzazione. Tra le immagini riciclate da Kremer troviamo una fotografia di Fiorello La Guardia, sindaco di New York e ardente nemico del partito nazista, assurto ad icona espressiva della decadenza weimeriana; una seconda immagine ritrae un’anonima donna grassa, esempio, secondo i nazisti, del “tipo etnico ebraico”; la fotografia di una immensa statua di marmo dal titolo Genesis, dello scultore americano Jacob Epstein, il quale non ebbe alcuna relazione con la repubblica di Weimer e la cui produzione artistica è difficilmente annoverabile all’interno del canone dell’ “arte degenerata”. I simboli religiosi dell’ebraismo e del cristianesimo incorporati nel fotomontaggio furono tratti da un album fotografico riproducente una raccolta di offerte per ebrei poveri dell’Europa orientale organizzata dalla Riverside Church di New York e riprodotta dal solito Diebow.

Fiorello La Guardia. In Hans Diebow. Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin: Eher, 1937, p.
  71.
Fiorello La Guardia. In Hans Diebow. Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin: Eher, 1937, p. 71.
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Jacob Epstein con la sua scultura Genesis (Genesi). In Hans Diebow. Der ewige
  Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin: Eher, 1937, p. 51.
Jacob Epstein con la sua scultura Genesis (Genesi). In Hans Diebow. Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin: Eher, 1937, p. 51.
Raccolta di offerte per gli ebrei
  poveri dell'Europa orientale presso la Riverside Church di New York. In Hans Diebow. Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin: Eher, 1937, p.
  122.
Raccolta di offerte per gli ebrei poveri dell'Europa orientale presso la Riverside Church di New York. In Hans Diebow. Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin: Eher, 1937, p. 122.
Il tono “anglosassone” delle immagini selezionate per rappresentare la decadenza morale della repubblica di Weimar non creava alcun problema a Kremer, perché tutte quelle immagini erano famigliari e note alla maggior parte dei tedeschi. Il loro vero significato non interessava a nessuno.

Il “bestiarum” di Diebow lasciò la sua indelebile impronta non solo nella propaganda nazista ma fu riciclato anche nei paesi dell’Asse. In Italia non ci fu una campagna di propaganda contro l’arte moderna, eppure all’indomani della promulgazione delle leggi razziali, “La difesa della razza” pubblicò un fotomontaggio volto a stigmatizzare l’internazionalismo ebraico nel mondo dell’arte contemporanea. La Genesis di Jacob Epstein è contemplata come simbolo centrale della risposta italiana alla campagna antimoderna del nazismo.

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La propaganda politica dell’inizio del XX secolo era dominata dall’immagine e la propaganda nazista non costituì un'eccezione. Le sue radici semantiche affondano nella cultura visiva di fine Ottocento, nella passione per la fisiognomica accompagnata dalle idee scientiste di intellettuali come Cesare Lombroso e Max Simon Nordau. Nonostante l’esplicita dichiarazione antimodernista di Hans Diebow e dei suoi seguaci, la sua rimane un’opera completamente al servizio della modernità. Lui e i suoi seguaci fecero tutto il possibile per fare lievitare le immagini, spogliandole del loro vero significato e trasformandole in segni che, riproducendosi all’infinito, in modo ripetitivo e monotono agli occhi dell’osservatore, come luci intermittenti, dovevano provocare la “salivazione” del cane pavloviano.
È opportuno ricordare che “l'età del volto” – anche quello ridotto a mero segno – iniziò ben prima dell’avvento del Nazismo. Ha ragione il recensore americano: Otto Dix non era antisemita. Eppure, secondo una acuta osservazione di uno studioso, si può dire che «gli anni che si collocano tra il 1928 e il 1933, in particolare quel periodo che porta alla dittatura del NSDAP, sono decisivi per la formazione di una cultura della stereotipizzazione che trasformò un popolo in un “altro assoluto”, da sterminare durante il Nazismo. Sicuramente esisteva un ampio ventaglio di stereotipi raffiguranti “l'alterità” poiché la repubblica di Weimar fu generosa nel creare immagini stereotipate: la madre proletaria di Kathe Kolwitz, la prostituta (nel famoso ritratto di Otto Dix), la nuova donna, il “Negro”, l’omosessuale, l’ebreo; icone onnipresenti nell’ordito culturale della Germania degli anni Venti.
La differenza tra Otto Dix e Hans Diebow sta nel fatto che il primo ha utilizzato, nella sua arte, la tecnica della “stereotipizzazione” mentre il secondo (Hans Diebow) ha creato “l’arte della stereotipizzazione”.

(Traduzione di Cristiana Facchini)

Note

[1] H. A. Peters, Alfred Flechtheim – Sammler, Kunsthändler, Verleger. 1937, Europa vor dem 2. Weltkrieg, Ausstellungskatalog Kunstmuseum, Düsseldorf 1987.

[2] J. Bromer, Glitter and Doom at the Met,  http://www.portlandart.net/archives/2007/01/glitter_and_doo.html.

[3] Un altro recensore ha scritto: «Non è stato fatto nulla per svelare le complessità della famoso ritratto di Dix del 1926 in cui appare Flechtheim, uno dei più importanti galleristi di Berlino, collezionista di arte francese e noto per la sua passione nei confronti di artisti quali Derain e Gris. Dix ha anche inserito un frammento che reproduce un dipinto di Gris nella parete alle spalle di Flechtheim, aggiungendovi – di certo non senza malizia – il suo monogramma e la data […]
P. Vergo, Otto Dix. Berlin, Neue Nationalgalerie and London, Tate Gallery, Burlington Magazine, Vol. 134, No. 1068 (Mer. 1992) p. 207.

[4] La campagna di propaganda nazista contro la cosiddetta “Arte degenerata” si accompagnò alla lotta contro il “bolscevismo culturale”, noto nel gergo nazista colt ermine "Kubo".

[5] C. Zuschlag, Entartete Kunst. Austellungsstrategien im Nazi-Deutschland, Worms, Werner Verlag, 1995.

[6] H. Diebow, Der ewige Jude: 265 Bilddokumente, München-Berlin, Eher, 1937.

[7] H. Diebow, Die Rassenfrage: Rassenkunde, Vererbungslehre und Rassenhygiene, Berlin, Lichterfelde 1, Teltowerstr. 137: "Arbeitszentrale f. Völkische Sprechabende", 1924.

[8] H. Diebow, K. Goeltzer, Hitler: Eine Biographie in 134 Bildern, Berlin: Verl. Tradition, 1931.

[9] H. Diebow, K. Goeltzer. Mussolini: Eine Biographie in 110 Bildern, Berlin, Verl. Tradition, 1931.

[10] H. Diebow. Gregor Strasser und der Nationalsozialismus, Berlin, Tell-Verl. 1931-32.

[11] C. Schmolders, Hitler's Face: The Biography of an Image, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2006.

[12] Ibid., p. 24.

[13] Totila, Charakterköpfe des deutschen Reichstags. Zeichnungen, Berlin, Arbeitszentrale f. völkische Aufklärg, 1924.

[14] C. Schmolders, Hitler's Face, cit., p. 4.

[15]Ibid.

[16] Alfred Rosenberg, Der Sumpf. Querschnitte durch das "Geistes"-Leben der November-Demokratie. München, Franz Eher Nachfahren, 1939.