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Studi e ricerche

Comunità linguistiche, professioni e sviluppo nell’Estonia post-comunista

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Col crollo dell’Unione Sovietica l’Estonia, il più settentrionale dei paesi baltici, ha riguadagnato l’indipendenza, già sperimentata negli anni tra le due guerre, e ha dovuto far fronte ad una vasta serie di riforme. La piccola repubblica baltica, poco più grande del Belgio per estensione, ma con una popolazione al 1989 di poco superiore al milione e mezzo di abitanti, si è caratterizzata, nel corso degli anni ’90, per una costante crescita economica, data da un ben realizzato passaggio all’economia di mercato. Questo e la  ridefinizione del mercato del lavoro hanno contribuito all’avvio del processo di avvicinamento all’Europa, culminato il 1° maggio 2004 con l’ingresso dell’Estonia nell’Unione Europea.  Tra i problemi che il paese ha dovuto affrontare vi è stata anche l’integrazione della comunità russofona che nel 1989 era di oltre mezzo milione di persone.

Questo articolo spiegherà la situazione socio-economica che ha caratterizzato l’Estonia post-comunista. Partendo dalla situazione delle comunità linguistiche, estone e russa, si passerà ad un’analisi dello sviluppo economico e. al suo interno, del mutamento di status delle professioni liberali.

Prima di affrontare l’argomento è necessario fare un inquadramento del retaggio sovietico. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, con l’instaurazione definitiva della Repubblica Socialista Sovietica d’Estonia (il primo atto si ebbe nel 1940, interrotto dal 1941 al 1944 dall’inglobamento dell’area nei territori del Reich), vi fu una modificazione della struttura demografica del paese. Una forte immigrazione di popolazione russofona ebbe da subito inizio, portando ad una rigida divisione su base etnica della società, conformemente alle politiche di sovietizzazione condotte. A ciò va aggiunta una radicale trasformazione delle strutture economiche, che portarono all’abolizione della proprietà privata e ad una nuova struttura del mercato del lavoro, oltre che all’avvio di un processo di industrializzazione per il quale si è resa necessaria la formazione di apposite figure professionali. È quindi stretta l’interrelazione tra gruppi nazionali, economia e professioni, e proprio questo intreccio può essere utilizzato come cartina di tornasole per leggere il nuovo quadro economico e sociale impostosi in Estonia nel corso degli anni ’90.

Estoni e non-estoni in Estonia

In base al censimento del 1989, in Estonia risiedevano in quell’anno 1'562’662 persone. Il 61,5% era di nazionalità estone, il 30,3% era di nazionalità russa, il 3,1% ucraina e l’1,7% bielorussa: queste proporzioni erano il risultato di politiche introdotte dal regime comunista nel corso dei decenni. Per fare un esempio prima della guerra i russofoni residenti (russi, ucraini, bielorussi) erano pari al 9% della popolazione.

Le ondate migratorie più significative di popolazione russofona, in conformità alle politiche di sovietizzazione si ebbero sin dalla fine della seconda guerra mondiale, con picchi nella seconda metà degli anni ‘60[2]. Gli immigrati, che provenivano prevalentemente da aree rurali poco sviluppate della Russia, avevano un livello di istruzione elementare ed erano inviati in Estonia a lavorare in fabbrica. È anche per accoglierli che nelle principali città estoni (Tallinn, Tartu, Pärnu) furono edificati nuovi quartieri, alcuni dei quali presero le sembianze di dormitori. Vennero inoltre edificate nuove città, altre ricostruite ex novo. Uno dei teatri maggiori di queste mutazioni sociali e urbane, assieme alla capitale Tallinn, fu la regione nord-orientale di Ida-Virumaa (dal 1961 al 1987 rajoon di Kohtla-Järve), che assurse al ruolo di distretto industriale del paese, grazie ai suoi giacimenti di scisto bituminoso e di fosforite, oltre che per i suoi preesistenti cotonifici e per le industrie minerarie ed elettriche, alle quali ne vennero affiancate di nucleari. Proprio qui, e in parte nella nuova città di Narva, fu insediato il maggior numero di russofoni, fino a far diventare la regione un’area a maggioranza russofona[3].

A Tallinn, dove, nel corso dei decenni post-bellici, si andò incontro ad una quartierizzazione su base linguistica della città, alla fine degli anni ’80 la popolazione era composta per il 51% da non-estoni. Mentre il primo grande quartiere edificato in età sovietica, Mustamäe, non fu progettato e costruito esplicitamente per ospitare i nuovi immigrati e vide, di fatto, una sostanziale compresenza estone e russofona, i successivi quartieri di Väike-Õismäe e Lasnamäe (assieme al progetto di un quarto quartiere, Suur-Õismäe, mai realizzato), edificati dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli anni ’80, vennero appositamente concepiti con la funzione di accogliere i nuovi lavoratori provenienti dalla Russia e da altre repubbliche sovietiche. Gli estoni continuarono, invece, a rappresentare la stragrande maggioranza della popolazione nelle aree urbane più piccole e nelle aree rurali[4]. L’Estonia divenne quindi uno Stato multinazionale, nel quale estoni e non-estoni vivevano fianco a fianco: in tal modo l’equilibrio sociale si mantenne nel corso dei decenni sotto il regime comunista.

Le politiche adottate nel corso della transizione e con la restaurazione della Repubblica d’Estonia, hanno introdotto leggi che hanno definito i “caratteri” del cittadino estone, con l’obiettivo di creare uno Stato rigidamente diviso su base etnica, in cui la titolarità era riservata agli estoni.

La creazione dello Stato nazionale estone ebbe inizio tra il 1989 e il 1990, con la «Legge sulla lingua della RSS d’Estonia», che sancì il primato della lingua estone su quella russa nella pubblica amministrazione, seguita  dalla «Legge sull’immigrazione», del 26 giugno 1990, che proibiva l’emigrazione russa verso l’Estonia.

La successiva «Legge sulla cittadinanza» non fece altro che rendere esplicito ciò che già tutto il corpus legislativo prodotto a partire dal 1989/90 aveva sancito: sul territorio della Repubblica d’Estonia vi erano estoni e non-estoni (quasi totalmente di lingua russa). Per i non-estoni si prospettava l’esclusione dalla vita politica ed economica del paese, a meno che non si sottoponessero ad un processo di estonizzazione, consistente in un esame di lingua e di storia, alla fine del quale sarebbe stata concessa loro la cittadinanza[5]. Questa legge stabiliva che poteva definirsi cittadino estone chi lo fosse stato fino al 16 giugno 1940 -giorno precedente all’entrata dell’Armata Rossa nel territorio estone- e così i suoi discendenti.

Tuttavia, l’applicazione di queste leggi si scontrava con una realtà ben più complessa di quella che considerava l’Estonia composta da due comunità, una estone e una di lingua russa, omogenee. Ciò che le comunità russe avevano in comune era la lingua, si distinguevano per composizione sociale e dislocazione sul territorio. Nelle realtà miste, nelle quali erano in maggioranza gli estoni e i contatti fra le due più stretti, i russi hanno optato per una rapida naturalizzazione. Invece, i russi che abitavano in altri centri (Tallinn, Narva, Kohtla-Järve, Jõhvi, Sillamäe), nei quali costituivano la maggioranza, hanno avuto più difficoltà e maggiori esitazioni a scegliere la strada della naturalizzazione. In queste aree si è formata una società tripartita: russi-estoni (ovvero russi che hanno ottenuto la cittadinanza estone), russi tout-court e russi che hanno scelto il cosiddetto “passaporto grigio”, offerto dalla legge del 1992, che dà lo stato di apolide. Nel 1995 venne promulgata dal Parlamento estone, una nuova «Legge sulla Cittadinanza» più restrittiva, che innalza il tempo di residenza nel paese richiesto per la naturalizzazione da due a cinque anni.

Il nuovo quadro economico

Negli anni dell’occupazione sovietica l’intero settore economico era stato statalizzato. Lo sviluppo economico, regolamentato dai piani quinquennali, aveva prodotto sul territorio nuovi bacini industriali, in particolare nel nord-est del paese e intorno a Tallinn. Dopo la crescita negli anni ’50 e ’60, nei due decenni successivi si era verificata una stagnazione. Nonostante ciò, l’Estonia rimase la più sviluppata e con i migliori standard di vita tra le quindici repubbliche socialiste sovietiche. Negli anni ‘80 in Estonia vi erano centoventisei auto private ogni mille abitanti, a fronte di una media di cinquantatre ogni mille dell’URSS, e i metri quadrati pro-capite per abitazione erano 16,1, contro una media di 12,8 dell’URSS[6]. Questa situazione favorevole si protrasse fino alla seconda metà degli anni’80.

Dopo il 1989 fu elaborato un piano di riforme economiche, basato sulle proposte avanzate due anni prima da quattro economisti del Partito Comunista Estone (tra costoro Edgar Savisaar, oggi sindaco di Tallinn e leader del Partito di Centro). Tali proposte miravano alla creazione di un’economia estone indipendente da quella di Mosca; uno degli atti più importanti fu la riapertura della Banca d’Estonia il 1° gennaio 1990. Due anni dopo, il governo della Repubblica d’Estonia diede inizio ad una vasta riforma economica che ebbe il suo culmine nella riforma della proprietà e nel parallelo avvio del processo di privatizzazione[7]. La riforma della proprietà, composta da un numero cospicuo di leggi, oltre a creare un libero mercato e a reintrodurre la proprietà privata, mirava ad escludere i non-estoni da tale processo[8].

Queste misure sono state successivamente attenuate a seguito di pressioni da parte della Comunità Europea, preoccupata anche dalla possibilità di esplosione di un conflitto su base etnica. Per adeguarsi alle normative europee in materia di proprietà, i governi hanno annullato ogni differenziazione su base etnica e posto sullo stesso piano estoni e non-estoni. Grazie a ciò, la quasi totalità degli appartamenti è divenuta di proprietà di chi li occupava, a prescindere che fosse estone o russo, anche in seguito ad una svendita degli immobili da parte dello Stato. Dietro a questa decisione vi erano anche motivazioni utilitaristiche: la creazione di un mercato nel settore immobiliare richiedeva la vendita del patrimonio pubblico a prezzi non troppo elevati, anche per evitare gli enormi costi legati al risanamento di case in cattivo stato. Il risultato è che oggi oltre l’80% di estoni e non-estoni possiedono una casa di proprietà.

La svolta verso un’economia liberal-capitalistica, ben intrapresa dal paese anche con il sostegno dato dall’afflusso di capitale straniero, e la riorganizzazione del mercato del lavoro hanno causato un incremento del tasso di disoccupazione, che ha colpito soprattutto la popolazione russofona del nord-est del paese, nella quale si è avuta anche la dismissione e riconversione degli impianti industriali dell’area. Si è passati dal tasso di disoccupazione dello 0,6% del 1989, al 3,7% del 1992, al 9,7% del triennio 1995-1997[9].

Il prodotto interno lordo pro capite, secondo i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale, sarebbe cresciuto normalmente nel corso degli anni ’90, per subire un balzo enorme dopo il 2000, arrivando a 20'000 dollari annui pro capite a parità di potere d’acquisto, e a 12'000 dollari in base al prodotto interno lordo pro capite nominale (da 6'700 dollari del 1995).

Le professioni

La restaurazione democratica ha portato ad una ridefinizione del mercato del lavoro. Ciò ha comportato anche una rivalutazione di alcune professioni e la svalutazione di altre, rovesciando la gerarchia impostasi in età sovietica, che vedeva le professioni ingegneristiche al livello più elevato, mentre per le professioni mediche lo status era nettamente inferiore e il settore giuridico era pressoché inesistente.

Durante il regime comunista la formazione dei professionisti avveniva inizialmente attraverso corsi accelerati promossi dal Partito Comunista: era infatti necessaria la creazione in tempi rapidi di una nuovo apparato professionale, in modo da non dover contare unicamente sulle competenze di coloro che già esercitavano le professioni nell’Estonia pre-bellica. Superata quest’ “emergenza” iniziale, vennero riorganizzati i corsi universitari, per accedere ai quali doveva essere superato un esame di ammissione.

Nell’Estonia sovietica l’ingegneria era una disciplina estremamente specializzata, con alcuni importanti settori di ricerca presso l’Università di Tartu. La specializzazione, tuttavia, si rivelò eccessiva per alcune aree -quali quella dell’analisi dei cibi (esistevano specialisti per ogni singolo alimento)-, facendo sì che gli impiegati in questi settori si trovassero rapidamente senza lavoro nel corso degli anni ’90. Specializzazioni che, invece, sono andate incontro ad una maggiore richiesta da parte del nuovo mercato del lavoro, sono quelle facenti riferimento alle nuove tecnologie e alle costruzioni. Il settore edilizio, come in altri paesi, era ed è rimasto caratterizzato dalla contrapposizione tra ingegneri e architetti, con una rivendicazione da parte dei primi di una più specifica formazione tecnico-scientifica.

Gli ingegneri impiegati nella realizzazione delle nuove aree urbane erano quasi tutti di nazionalità russa e avevano studiato nei politecnici russi, gli architetti, invece, erano più che altro estoni con una formazione avvenuta al Politecnico di Tallinn.

Il settore dell’ingegneria che nell’Estonia sovietica conobbe un ampio sviluppo e lustro fu quello minerario, funzionale al lavoro nelle miniere di scisto bituminoso presenti nella regione di Ida-Virumaa, attorno alla città di Kohtla-Järve, nella parte nord-orientale del paese. La diminuzione dello sfruttamento dei depositi di scisto bituminoso, oltre che ad una maggiore meccanizzazione dei processi lavorativi, ha portato, nel corso degli anni ’90, ad una diminuzione dei due terzi del numero di ingegneri impiegati, di modo che quelli i rimasti venissero pagati meglio.

Diverse, invece, sono le dinamiche che hanno segnato il percorso della professione medica. Il numero complessivo di medici nell’Estonia sovietica diminuì, laddove, in conformità con le politiche di sovietizzazione/russificazione, aumentò la percentuale di medici provenienti dalla Russia, non formatisi quindi presso l’Università di Tartu, dove si trovava l’unica scuola medica riconosciuta (al 1991 oltre il 20% dei medici era russofono). Dal punto di vista di un’analisi di genere, risulta che le donne costituivano la maggioranza dei medici: fatto, questo, dovuto sia alla cospicua migrazione di medici maschi dopo la seconda guerra mondiale verso Occidente, sia alla considerazione che la professione medica godeva. Essa era considerata come qualcosa di improduttivo e, conseguentemente, una professione di basso livello[10].

Nell’Estonia sovietica il salario di un medico era inferiore a quello di un operaio, calcolando che mediamente un medico guadagnava attorno ai 1'000 rubli al mese. Tuttavia, nel corso degli anni ’90, vi è stato un ribaltamento di questo quadro, sia per il riconquistato prestigio da parte di questa professione (con una crescente mascolinizzazione), che in termini di retribuzione; il salario mensile si è attestato a livelli superiori del doppio rispetto a quelli di un lavoratore del settore industriale. Sicuramente ha giocato a favore del miglioramento dello status della professione anche una seconda emigrazione di medici nell’Europa occidentale, in particolare in Gran Bretagna e Scandinavia, oltre che la possibilità di esercitare privatamente, pur essendo impiegati nella sanità pubblica.

Le professioni giuridiche sono quelle che hanno tratto il maggiore beneficio col passaggio ad una società democratica basata su un’economia di mercato. In Unione Sovietica il numero di avvocati era esiguo, sicché ancora in anni recenti in Estonia questa categoria professionale risulta essere quantitativamente esigua. Pertanto avvocati, notai e giudici (questi ultimi eletti a vita) rappresentano le professioni più remunerative in Estonia, potendo arrivare a guadagnare oltre 65'000 corone al mese (oltre 4'000 euro).

La formazione dei nuovi professionisti, oltre ad avvenire nell’Università di Tartu[11], dagli anni ’90 è possibile anche presso l’Università di Tallinn, mentre in età sovietica nella capitale avveniva quasi esclusivamente la formazione di ingegneri, presso l’allora Istituto Politecnico – oggi Università Tecnologica[12].

Nonostante la quasi inesistenza di studi al riguardo, pare che l’accesso alle professioni liberali in Estonia sia stato quasi interamente appannaggio degli estoni.

Occorre tenere in considerazione che la lingua di istruzione universitaria, anche nella RSS d’Estonia, era l’estone. Inoltre, in età sovietica, coesistevano due sistemi educativi: uno in lingua russa, della durata di nove anni, in cui lo studio della lingua estone non era minimamente contemplato, e uno in lingua estone, che durava un anno in più, nel quale il russo era una delle principali materie curriculari. 

Dunque, data questa dicotomia e la quasi assenza di scuole bilingui, era quasi scontato che i russofoni che risiedevano sul territorio, una volta ultimati gli studi superiori non si iscrivessero all’università, optando per un lavoro meno qualificato. La presenza di professionisti di lingua russa era dovuta all’immigrazione di figure specializzate formatesi nelle università russe e trasferitesi in Estonia, così come in altre repubbliche sovietiche, allo scopo di esercitare la propria professione[13].

Con la nascita dello stato indipendente, quindi, la scelta di virare totalmente verso un’economia liberista di mercato, facendo dell’Estonia una delle economie meno regolamentate del continente, il mercato del lavoro ha subito profonde alterazioni. Anche la scelta di puntare sulle nuove tecnologie, servizi informatici in primis, ha consentito al paese di avere una rapida crescita economica, superiore a quella delle vicine Lettonia e Lituania.

Pare sia diventato più arduo per i non-estoni salire nella scala sociale, avendo il nuovo Stato fatto perno sulla lingua come fattore esclusivo. È tuttavia altresì vero che molti russofoni hanno ottenuto la cittadinanza, potendo quindi avere facile accesso all’università. Altri fattori da considerare sono la presenza di figli di coppie miste, che di fatto scardinano questo schema duale russo-estone, oltre al fatto che sempre più russofoni hanno optato per l’ottenimento della cittadinanza, consci delle migliori condizioni per loro presenti all’interno dell’Unione Europea, nonostante i ripetuti richiami provenienti dalla Russia.

Conclusioni

Con l’avvio del processo di europeizzazione, iniziato formalmente nel 1997 e culminato il 1 maggio 2004 con l’ingresso nell’Unione Europea, l’Estonia è stata sottoposta a scrutinio crescente da parte degli organismi comunitari. Se, da una parte, la Commissione europea si dichiarava ben impressionata dall’andamento economico della repubblica baltica, dall’altro vi sono state pressioni da parte di organizzazioni quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, affinché le condizioni dei non-estoni, viste anche le non facili relazioni con la Russia , venissero migliorate, in particolare consentendo un più facile ottenimento della cittadinanza – e con essa l’accesso a tutte le risorse economiche.

Tuttavia, proprio l’ingresso nella U.E., con il quale il paese si sentì caricato del ruolo di confine ultimo dell’Europa, al di là della quale si trova la non-Europa, cioè la Russia , ha favorito un incremento delle politiche esclusive e una maggiore diffusione di sentimenti nazionalisti tra la popolazione tanto estone quanto russa. Questa situazione ha favorito l’insorgenza di una tensione tra le due parti linguistiche culminata, nella primavera del 2007, con gli scontri avvenuti a Tallinn tra russofoni e polizia, a seguito della rimozione di un monumento sovietico raffigurante un soldato dell’Armata Rossa liberatrice del paese e ai quali è seguito un ulteriore raffreddamento dei rapporti diplomatici tra Estonia e Federazione Russa.

La situazione economica del più settentrionale dei tre paesi baltici, dopo una costante crescita a cavallo tra anni ’90 e 2000, ha subito una battuta d’arresto dal 2007, risentendo della crisi globale. Tuttavia, l’Estonia è tra i paesi dell’ex blocco comunista che ha meglio resistito alla crisi, senza che si verificassero forti destabilizzazioni economiche e sociali, comportanti un’ulteriore etnicizzazione dei rapporti, come nel caso della Lettonia. Il cammino del paese, se i trend verranno confermati, potrebbe portare all’adozione della moneta unica europea nell’arco di un quinquennio e ad una stabilità non solo economica, ma anche sociale.

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Note

[1]  Univ. Bologna, Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche, P.zza San Giovanni in Monte 2, Bologna, I-40128, Italy, matteo.varani@unibo.it

[2]T. Tammaru, Venelased Eestis: Ränne ja kohanemine, Tallinn, Sisekaitseakadeemia, 1999; R. Misiunas – R. Taagepera, The Baltic States: Years of Dependance 1940-1990, Berkeley – Los Angeles, University of California Press, 1993.

[3]K. Brüggemann (hg.), Narva und die Ostseeregion, Narva, Tartu Ülikool – Narva Kolledž, 2004.

[4]T. Tammaru, H. Kulu, The Ethnic Minorities of Estonia: Changing Size, Location and Composition, «Eurasian Geography and Economics», 44/2 (2003), 105-120; T. Tammaru, Suburban Growth and Suburbanization under Central Planning: The Case of Soviet Estonia, «Urban Studies», 38/8 (2001), 1341-1357; T. Tammaru, Differential Urbanisation and Primate City Growth in Soviet and Post-Soviet Estonia,  «Tijdschrift voor Economische en Sociale Geografie», 91/1 (2000), 20-30

[5]A. Kirch, The Integration of  Non-Estonians into Estonian Society, Tallinn , Estonian Academy Publisher, 1997.

[6]R. A. French, Plans, Pragmatism and People. The Legacy of Soviet Planning for Today’s Cities, London , UCL Press, 1995.

[7]  E. A. Andersen, An Ethnic Perspective on Economic Reform: The Case of Estonia , Aldershot , Ashgate, 1999.

[8]  E. Terk, Privatisation in Estonia . Ideas, Process, Results, Tallinn , Eesti Tuleviku-uuringute Instituut, 2000.

[9]R. Eamets, K. Ukrainski, Hidden Unemployment in Estonia : Experience from the Early Years of  Transitions, «Post-Communist Studies», 12 (2000), 463-484.

[10]  D. Barr, The Professional Structure of Soviet Medical Care: The Relationship between Personal Characteristics, Medical Education, and Occupational Setting for Estonian Physicians, «American Journal of Public Health», 85/3 (1995), 373-378.

[11]  K. Siilivask, H. Palamets (eds.), Tartu Ülikooli ajalugu 1632-1982: 3. köide 1918-1982, Tallinn , Eesti Raamat, 1982.

[12]  V. Sirk, Educational Ideology and Professional Middle Class in Soviet Estonia in the 1950s-1980s, «Acta Historica Tallinnensia», 11 (2007), 96-114.

[13] V. Nagel, Hariduspoliitika ja üldhariduskorraldus Eestis aastatel 1940-1991, Tallinn , TLÜ Kirjastus, 2006.