Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Premessa a "L'Italia in posa. Il 150° e i problemi dell'Unità nazionale tra storiografia e rappresentazione sociale"

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A qualcuno sarà forse capitato di seguire una trasmissione televisiva andata in onda qualche mese fa su una canale della RAI. Il suo titolo era “Il più grande degli italiani” e aveva lo scopo di “eleggere” appunto il personaggio storico italiano più importante entro una rosa di candidati quanto mai varia, da Dante a Mina, da Garibaldi a Massimo Troisi. Figure di epoche e ambiti lontanissimi venivano accostati in questo giochino “furbo” ma non privo di un suo interesse perché – a dirla un po’ grossolanamente ma senza retorica – proponeva agli italiani in un momento molto delicato il tema dell’identità, dell’essere italiani. Il 150° dell’Unità d’Italia rappresenta infatti una festa della storia italiana che solleva, anzi ha già sollevato una molteplicità di problemi e questioni di grande rilievo.

Chiariamoci subito su un punto essenziale che anche tra gli storici e cultori di storia fatica a farsi strada. Parlare del 150° e delle iniziative culturali collegate ai festeggiamenti ufficiali che certamente si terranno a tutti i livelli istituzionali il prossimo anno, parlare di identità nazionale e di storia italiana non può e non deve essere inteso come una concessione ad alcun provincialismo culturale. Basterebbe pensare a quanto avviene in altri paesi europei e negli Stati Uniti d’America in occasione dei centenari di eventi e personaggi importanti o durante le feste nazionali. Provinciale anche questo? È possibile. Come lo è disdegnare ogni rapporto con la divulgazione e la storia di casa nostra in nome delle superiori ragioni della Storia e della intellighenzia che se ne cura. Agli intellettuali tocca spesso, o dovrebbe toccare, interrogarsi sulle narrazioni che la società civile va mettendo in scena del proprio passato, concorrervi e cercare forse anche di correggerle. Insomma il contributo degli storici e dei cultori di storia – sembra quasi ovvio ricordarlo - non può e non deve essere confuso con il chiacchiericcio nazional-popolare e neanche con le fanfare e i discorsi ufficiali delle autorità. I loro obiettivi devono essere semmai altri. Anzi per essere più precisi sembrano essere due i livelli di riflessione e di intervento critico più importanti e urgenti per la vasta “comunità della storia”.

E di questi StoricaMente vuole occuparsi, proseguendo così la sua tradizionale linea di intervento nel dibattito sul passato che va ormai da tempo combinando al lavoro della ricerca storiografica i bisogni della didattica e della divulgazione.

Il primo livello di intervento su cui la rivista intende muoversi è proprio connesso al tema, spesso melmoso e insidioso, della divulgazione e soprattutto della pedagogia della storia. Sì perché l’importante “compleanno” dello Stato unitario impone a chi si occupa di storia di interrogarsi sui racconti, sulle narrazioni, sulle immagini del passato – non importa ora in quale direzione – che sono andate costruendosi nella società civile. A dispetto infatti della spesso facile retorica sulla mancanza della memoria, il ricorso alla storia e agli storici si offre spesso come strumento di formazione civile, politica, spesso di intrattenimento mediatico (quante sono le trasmissioni televisive dedicate alla storia, quanti i siti web?). Ovviamente c’è, eccome, una differenza tra l’intervento dello storico sulle prime pagine dei quotidiani, il cui contributo è spesso sollecitato più per cogliere rassicuranti analogie tra passato e presente che per indicare le linee di sviluppo storico, e la festa del Po “inventata” per puntellare la comunità immaginata della Padania. Il problema non è questo, almeno per il momento, perché ne esiste uno prima, a monte di tutto. Il ruolo della storia, che ancora in un recente passato si identificava quasi con la pedagogia civile tout court, nella società post-moderna non esiste più. Non è questa la sede per ricostruire l’opera di demolizione della pedagogia che a partire dagli anni ’70, a giudizio di chi scrive, ha caratterizzato non solo la società italiana. Non è un giudizio di valore ma una considerazione del tutto neutra sul cambiamento culturale dell’ultimo trentennio del ‘900, riconducibile da un lato alla perdita di autorevolezza delle istituzioni che hanno prodotto storia e, dall’altro, alla dilatazione dell’offerta di storia. Da tempo autorevoli storici vanno dicendoci che nel mercato dell’informazione la storia è uno dei tanti prodotti e in questa logica argomenti, personaggi e date possono essere scelti, acquistati e “cucinati” a piacimento, come qualche altra merce.

Cercare di ristabilire uno statuto di certezza al passato è uno dei modi essenziali per recuperare il valore formativo della pedagogia della storia. Ma è anche qualcosa di più. Chiunque abbia esperienza di insegnamento sa che uno dei aspetti più difficili è educare i giovanissimi e i giovani alla complessità. E sa quanto sia difficile far passare in loro l’idea che lo sviluppo storico non è opera di azioni univoche, di complotti o cospirazioni, di una sorta di spectre ma semmai di un dio capriccioso che si diverte a intrecciare i fili del passato e ingarbugliarci le carte. Ecco allora che StoricaMente può forse contribuire a riprendere in mano l’annoso dibattito sull’insegnamento della storia nelle scuole e nell’Università. Questione discussa fino alla noia, ma che torna ciclicamente prepotentemente alla ribalta nel momento in cui le mille riforme scolastiche non sono riuscite ancora a risolvere il problema della scarsa preparazione degli studenti della scuola secondaria superiore soprattutto per quanto riguarda il Novecento e in particolare la seconda metà del secolo. Programmi troppo onerosi in una scuola - su cui piove ogni sorta di insegnamenti e di nozioni – e le poche ore di insegnamento a disposizione sono certamente una parte del problema a cui bisognerebbe aggiungere – cosa che non si dice mai - la tendenza delle famiglie a rimuovere un passato individuale e collettivo che agli occhi degli cittadini della opulenta Repubblica italiana rischia solo di far emergere le origini di un paese povero fino a pochi anni fa. Se queste poche impressioni hanno un loro senso, allora diventa forse più comprensibile la facilità con cui le più varie, e talvolta bizzarre, messe in forma del passato abbiano trovato un loro spazio, spesso effimero, nelle rappresentazioni prodotte dai tanti soggetti che si muovono sul terreno della divulgazione, dalle istituzioni nazionali ai partiti, dalle amministrazioni locali ai media. Ed è qui, su questo terreno che storici e cultori della storia nazionale possono, anzi debbono intervenire.

Nel corso del 2011, di manifestazioni e iniziative collegate al 150° se ne conteranno moltissime e, ovviamente, di valore assai vario ma tutte indicative di letture e interpretazioni del Risorgimento, dell’intera storia unitaria e, va da sé, anche del presente. Così è stato con il primo cinquantenario e con il centenario quando soprattutto le istituzioni centrali celebrarono i successi straordinari – e in parte lo erano veramente – dello giovane Stato italiano e della società tutta. Visioni per lo più auto-celebrative che sia nel 1911 che nel 1961 riuscirono in parte a puntellare l’immagine di un paese al passo con la modernità. Non sempre in realtà se è vero che, per esempio, il “vario nazionalismo” di inizio ‘900 colse l’occasione dei primi cinquanta anni di vita dello Stato unitario per puntare il dito contro l’Italietta liberale. Oppure, mezzo secolo dopo, quando contro l’agiografia del Risorgimento e soprattutto contro lo sfavillio del benessere del recente boom economico una intera letteratura, anche cinematografica (compreso quel film stupendo che è La dolce vita) contrapponeva l’immagine di un paese imbarbarito, ormai dimentico delle sue radici sanamente popolari.

In questo quadro StoricaMente si propone come osservatorio delle iniziative che si stanno realizzando e si realizzeranno. Sarebbe infatti interessante non solo monitorare ma anche e soprattutto analizzare i discorsi pubblici sulla storia e la memoria nazionale che essi produrranno. Impresa difficile, dirà qualcuno. Ma un gruppo di studiosi cercherà di seguire alcune delle manifestazioni culturali prodotte dal Comitato del 150°, presieduto dal Presidente Amato. Sempre che riesca a portarle tutte a compimento. Perché già zavorrato da una serie di gravi problemi (economici, politici e culturali), il Comitato rischia di non avere le risorse necessarie per arrivare a un risultato finale di qualche rilevanza. Sarebbe in tal caso uno spunto formidabile, oltre che di inesauribili polemiche politiche, di seria riflessione culturale. Sembrerebbero invece più attive e propositive le istituzioni di cultura che si dedicano statutariamente di storia risorgimentale. Risorse economiche permettendo, gli Istituti del Risorgimento hanno avviato una serie di iniziative a livello nazionale e locale che si candidano a rappresentare uno dei centri più significativi della rielaborazione storica della fase fondativa dello Stato italiano. Così altri centri e istituti di storia come la Domus Mazzianiana o fondazioni come il FAI che si muovono tradizionalmente in una dimensione nazionale. Più fluida e promettente sembra invece essere il panorama delle iniziative locali. A iniziare da Italia 150° a cui, facendo centro su Torino, le istituzioni piemontesi (enti locali, Università, istituti di credito, ecc.) hanno già dato vita per alcune iniziative, in parte già avviate, mentre altre, le più significative si realizzeranno il prossimo anno in un’ottica che supera la specificità dell’ex-capitale d’Italia e si propone intelligentemente come osservatorio nazionale delle trasformazioni nazionali dell’ultimo secolo e mezzo. Su scala più ridotta altre amministrazioni locali, soprattutto Comuni del centro Italia, da quanto si apprende dai giornali e riviste, si stanno organizzando per declinare i mille possibili temi dell’Unità. Così come ci attendiamo altre iniziative e manifestazioni di cui ora non abbiamo sufficienti informazioni ma che certamente spunteranno qua e là per celebrare il genetliaco dello stato e della nazione. Sarà difficile fare un resoconto critico di tutte queste manifestazioni, locali e nazionali, ma almeno per alcune di esse – nel caso per esempio di quelle torinesi – StoricaMente si propone di offrire ai suoi lettori qualche resoconto critico.

Più arduo appare di certo il monitoraggio delle trasmissioni televisive e radiofoniche, dei siti web, delle riviste e dei giornali che in modo più o meno episodico stanno cercando e cercheranno di presidiare il tema risorgimentale e della storia unitaria proponendo letture e riflessioni certamente più divulgative e – c’è da aspettarselo – sicuramente originali e non di rado anche discutibili. Tuttavia, la rilevanza delle narrazioni mediatiche su o contro la nazione spinge la redazione a prendere in esame almeno alcuni racconti o contro-racconti; uno, di fondamentale importanza, è quello offerto dalle fiction (nei prossimi mesi andrà in onda Noi credevamo già passato nelle sale cinematografiche) e dalle trasmissioni televisive (come La Storia siamo noi della RAI). Si tratta di messe in forma della storia nazionale di sicuro impatto che un gruppo di giovani studiosi cercherà di seguire e recensire criticamente.

Il secondo è invece la rappresentazione e la contro-rappresentazione prodotta da alcuni quotidiani a carattere politico o regionale, come ad esempio la «Padania». Un gruppo di studenti del Master in Comunicazione Storica selezionerà alcuni giornali seguendone le pubblicazioni e analizzandone in un saggio la linea editoriale dei primi 4 mesi dell'anno; alla redazione sembra infatti interessante dedicare uno spazio alla questione del federalismo o addirittura del secessionismo, nella ovvia consapevolezza che in occasione di questo terzo importante anniversario dello stato unitario, dopo il 1911 e il 1961, tali questioni rappresentino il principale elemento “di disturbo” e al tempo stesso uno dei più potenti stimoli di riflessione civile e culturale.

Un ulteriore livello di intervento che la rivista si propone di affrontare è quello più propriamente storiografico. Non servirebbe neanche dirlo, naturalmente. Il contributo più significativo che una piccola comunità di storici può offrire, prima ancora della ricerca sul campo e della diffusione dei risultati scientifici, è individuare i nodi, i problemi che un’occasione come quella del 150° inevitabilmente solleva. Sì, perché non solo è qui in discussione l’evento fondativo dello Stato ma anche il secolo e mezzo successivo. L’importante compleanno impone infatti da un lato una lettura cronologica più ampia della storia unitaria e dall’altro uno sforzo di analisi che, senza confondersi con la politologia o la sociologia, sappia enucleare questioni di fondo dell’identità nazionale. In questo momento, soprattutto, per le affabulazioni storiche che vanno diffondendosi sui media - a cui prima si accennava – e più in generale per il clima politico e culturale che va da tempo stabilendosi nel nostro paese. Non c’è bisogno in questa sede di ricordare che la valorizzazione del “genio locale”, del cosiddetto territorio e delle radici (espressioni divenute francamente molto odiose), che tanto piace ai partiti di destra e in parte anche di sinistra, finisce per appannare ogni sforzo di riflessione sia sulla nazione che sulla globalizzazione.

D’altra parte sembra essere scopo precipuo degli anniversari sollecitare bilanci storici, analisi anche impietose dell’essere italiani. Come si diceva all’inizio di queste poche riflessioni, così è stato anche in occasione del cinquantenario come del centenario, quando al trionfalismo per le conquiste politiche, sociali, economiche e culturali si contrapponevano dubbi e critiche alla cosiddetta modernità. La rotondità aritmetica di un compleanno porta con sé la conclusione di un ciclo e la necessità di un’autoanalisi. E nel caso del 150° motivi di riflessione ce ne sono, eccome.

Il rischio è ovviamente di trovarci di fronte a una infinità di temi e questioni che ci porterebbero alla dispersione di una visione d’insieme che è pure necessaria. Facendo quindi centro sull’intera esperienza unitaria, la rivista pubblicherà periodicamente, per i primi sei mesi dell'anno, interventi sui singoli aspetti e nodi di grandi temi come i confini nazionali o i processi migratori senza dimenticare il dibattito storiografico che ha animato e anima la riflessione sul Risorgimento e sulle Italie in cammino dell’ultimo secolo e mezzo di storia. Da questo punto di vista una riflessione a parte ci pare possa e, forse debba, essere la rappresentazione e la auto rappresentazione dell’identità nazionale nei due precedenti anniversari. Senza voler dimenticare le feste nazionali e le iniziative celebrative che hanno scandito la narrazione degli italiani sugli italiani nel corso della loro ormai lunga vita unitaria, ci pare che all’inizio di una lunga e complessa ricognizione dell’identità nazionale quale è quella che si propone la rivista, il 1911 e il 1961 meriterebbero una particolare attenzione. Importanti autori hanno già esplorato, almeno in parte, le manifestazioni organizzate in quelle occasioni e gli immaginari politico-culturali che le sostennero e a loro volta alimentarono nella società civile. Ma altri studi, attualmente in corso, possono forse aggiungere nuovi punti di vista e interpretazioni a questi due importanti precedenti della nation bulding italiana e iniziare a misurare – questo in fondo lo scopo ultimo della rivista - gli scarti quasi antropologici tra l’Italia di cinquanta e cento anni fa e quella di oggi, più che mai in rapida e tumultuosa trasformazione.