Storicamente. Laboratorio di storia
Le critiche e le divergenze di vedute tra Bordiga e gli ordinovisti furono costanti. Il primo segretario del PCd’I accusava sostanzialmente il gruppo torinese di essere una nuova versione del sindacalismo rivoluzionario e di avere una prospettiva economicistica, di confondere i soviet ed i consigli di fabbrica e, dunque, di svalorizzare la priorità della politica e del partito. Secondo F. De Felice, a Bordiga sfuggiva lo sforzo degli ordinovisti di saldare economia e politica ed il doppio ruolo sindacale e politico assegnato ai consigli:

«di riorganizzazione dell’intera struttura sindacale italiana capace di organizzare permanentemente la totalità della classe operaia, di rispondere alla forte domanda di democrazia ed autogestione che veniva avanti dopo la guerra, ed al tempo stesso, per la struttura stessa del consiglio, di creare un organismo che renda possibile una politica rivoluzionaria del partito, ne sia lo strumento di massa e ne verifichi la disponibilità e capacità di direzione rivoluzionaria» [De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia, 1919-1920, cit., 187].

F. Livorsi sottolinea, invece, che mentre in Bordiga vi fu il rifiuto di unire la lotta per il partito con la lotta per i consigli, in Gramsci vi fu «un ritardo nel porsi il problema dei consigli insieme a quello dell’egemonia sul partito e del suo rinnovamento» [Livorsi, “Introduzione”, in Bordiga, Scritti scelti, cit., 21].