Storicamente. Laboratorio di storia

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Massimo Baioni, Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell’Italia fascista

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Gli interessi che suscita la lettura dell’ultimo libro di Baioni possono essere molteplici, così come molteplici appaiono i temi trattati e gli aspetti culturali affrontati. In quattro capitoli l’autore, attraverso lo studio di alcune istituzioni culturali dedicate alla storia, in particolare alla storia del Risorgimento, ci presenta il complesso ed articolato meccanismo che ha messo in funzione la propaganda culturale fascista attorno alla storia del Risorgimento, in un arco cronologico che spazia dal primo dopoguerra alla caduta del regime, focalizzando l’attenzione sugli anni Trenta.
L’appropriazione della storia, tipica di ogni regime totalitario, non rispondeva per quanto riguarda il fascismo soltanto ad una logica propagandistica: «il confronto con il passato era vitale per dare un senso della dimensione storica del fascismo e per connotarne l’identità, precisando il posto che esso ambiva ad occupare nel flusso della storia italiana» (p. 10). L’acceso dibattito, avvenuto negli anni dell’Italia liberale intorno al Risorgimento si insinua fra le varie anime del fascismo, articolando il discorso in maniera differenziata.
L’autore precisa attentamente il baricentro tematico della sua ricerca: «la rete ideologica in cui fu inglobato il Risorgimento è messa in relazione ai meccanismi e alle dinamiche che si insinuarono dentro il funzionamento degli apparati organizzativi, permeando le trame dei rapporti personali e il lavoro scientifico degli studiosi» (p. 11). L’uso alternato di fonti archivistiche, soprattutto epistolari, e produzioni scientifiche dell’epoca conferma questo continuo spostarsi da un piano privato ad uno pubblico ribadendo l’inevitabile intreccio dei due.
Il primo capitolo ricostruisce il ruolo delle principali istituzioni dedite agli studi risorgimentalisti, la Società nazionale per la Storia del Risorgimento e il Comitato nazionale per la Storia del Risorgimento, nonché i musei, nel periodo di transizione dal primo dopoguerra all’avvento e al consolidamento della dittatura. Per cogliere il ruolo giocato negli anni ’20 dalle istituzioni storiche, in particolare dalla Società nazionale, i congressi di quest’ultima sono una fonte preziosa, poiché portano alla luce questioni storiografiche e organizzative altrimenti in ombra, permettendoci di rintracciare il tentativo di leggere in chiave di continuità il fascismo rispetto al Risorgimento.
Il secondo capitolo focalizza l’attenzione sulle novità che all’inizio degli anni ’30 mutarono il rapporto del regime con gli istituti e gli studi storici, in seguito al ricorrere di due eventi, entrambi svoltisi nell’anno del decennale della marcia su Roma: il cinquantesimo anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi e la Mostra della Rivoluzione fascista. «Le principali manifestazioni del 1932 sembravano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo come originale esperimento politico e sociale» (p. 94). Queste operazioni culturali furono seguite da incisivi interventi legislativi che tra 1933 e 1935 investirono l’intero settore degli studi storici. Figura centrale di questo cambiamento fu Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, il quale riuscì a fare, attraverso l’occupazione degli spazi più importanti delle istituzioni storiche, primo fra tutti l’Istituto per la Storia del Risorgimento, della tradizione risorgimentale una componente essenziale nella definizione della cultura storica nazionale e dell’identità del fascismo fino a codificare un paradigma sabaudo-fascista (argomento trattato nel terzo capitolo).
Nel quarto e ultimo capitolo l’autore passa al vaglio le realtà periferiche dell’Istituto per la Storia del Risorgimento sostenendo che «fu soprattutto l’evoluzione della politica estera dell’Italia fascista a generare nella rete dell’Istituto […] alcuni perturbamenti nel rapporto con il passato recente» (p. 239). Infine lo scoppio della guerra e i lunghi mesi della guerra civile avrebbero rimesso il Risorgimento al centro delle vicende nazionali a conferma «della sua puntuale ricorrenza nei tornanti decisivi della vita della nazione» (p. 276).