Storicamente. Laboratorio di storia

Biblioteca

Marcella Campanelli, “Geografia conventuale in Italia nel XVII secolo. Soppressioni e reintegrazioni innocenziane”

PDF

Marcella Campanelli, “Geografia conventuale in Italia nel XVII secolo. Soppressioni e reintegrazioni innocenziane”, prefazione di Giuseppe Galasso, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016, XVI-360 pp.

È trascorso quasi mezzo secolo da quando il compianto carmelitano Emanuele Boaga, pubblicando la sua tesi su La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia (Roma 1971), offriva agli studiosi dell’età moderna una nuova e poliedrica pista di lavoro per scandagliare la vita religiosa, civile, culturale ed economica della penisola attraverso una eccezionale fonte seriale, le cui potenzialità non da tutti sono state opportunamente valutate. Non è stato così, invece, per Marcella Campanelli, che con intuito e perizia filologica ha seguito questo filone d’indagine acquisendo un’incontrovertibile competenza sulla materia e una piena padronanza delle fonti.

Come è noto, a metà Seicento Innocenzo X Pamphilij, con il breve Inter caetera (1649), promuoveva una capillare indagine conoscitiva sulle condizioni del clero regolare in Italia, ottenendo l’anno seguente i relativi formulari compilati, in grado di fotografare la situazione dei religiosi in tutta la penisola, facendo emergere interessanti dati economici, sociali, demografici e culturali di questa presenza territorialmente distribuita. Il provvedimento pontificio, che rispondeva a una logica di razionalizzazione gestionale della vita consacrata sul territorio, avviò una serie di provvedimenti che modificarono, ma solo in parte, il volto del paese, specie nelle periferie, dove più difficile era garantire una stabile osservanza della vita regolare nelle asfittiche comunità dei conventini soppressi o meritevoli di essere soppressi. Ma quale nuova geografia aveva prodotto la disposizione innocenziana? E con quali conseguenze sulla vita dei territori? Ecco le due domande a cui risponde la Campanelli con uno sguardo d’insieme, fissando su cinquanta preziose e originali carte geografiche, ripartite per ordini, dopo l’analisi documentaria, il quadro della nuova presenza regolare all’indomani della riforma innocenziana.

L’esenzione dalla giurisdizione diocesana degli ordini religiosi, diventata pesante all’indomani di Trento, aveva offerto agli stessi regolari mille opportunità di sfuggire a una puntuale osservanza delle regole, specie nelle periferie rurali, per oggettive difficoltà di natura economica o, in senso ampio, ‘ambientale’. Se inizialmente l’autonomia consentiva alle autorità romane di conoscere il territorio e di agire in esso scavalcando il governo episcopale, alla lunga, specie negli anni venti del XVII secolo, essa aveva rappresentato un vero e proprio corto circuito comunicativo sia con il centro romano che con il centro diocesano, suscitando allarme sociale, politico e finanziario nelle magistrature civili. Nei piccoli centri le case religiose rappresentarono una importante risorsa per l’indotto che erano in grado di generare. Ancor più nelle grandi città concorsero allo sviluppo attraverso le attività finanziarie e creditizie a sostegno di privati e di istituzioni.

Sebbene motivata dalla rivitalizzazione della vita consacrata, resa sostenibile da comunità congruamente numerose e finanziariamente autonome, la riforma innocenziana modificò la geografia religiosa d’Italia con conseguenze non secondarie sul piano della vita civile delle popolazioni locali. Da qui l’utilità della conoscenza, anche graficamente ben evidenziata, della successiva redistribuzione delle case religiose nella penisola, come ricostruita dall’autrice sulla base della documentazione conclusiva dell’indagine, espressa nel 1652 dalla bolla Instaurandae regularis disciplinae, con la quale veniva decretata la soppressione di quelle case religiose per le quali non erano state ravvisate le condizioni economiche minime per garantire il decoroso sostentamento di almeno sei religiosi.

A fine Seicento Innocenzo XII Pignatelli decretava lo scioglimento della Congregazione sullo stato dei regolari, che aveva eseguito l’inchiesta del predecessore e ne aveva poi curato l’applicazione delle conseguenze. Con quale nuovo assetto si presentavano gli ordini religiosi alla svolta del Settecento?

In circa mezzo secolo erano state chiuse quasi duemila e cinquecento case religiose e solo poco meno di quattrocento erano state reintegrate. Tutto ciò non avvenne, però, in maniera omogenea né rispetto alla tipologia degli ordini né rispetto alla distribuzione geografica. Forse i tagli maggiori si ebbero nel Mezzogiorno d’Italia, benché la Sicilia – forse un caso a sé per la politica economica del tempo – riuscisse a recuperare la presenza di varie case religiose inizialmente chiuse.

Gli ordini regolari, che si erano insediati laddove erano stati chiamati o avevano trovato condizioni favorevoli attraverso l’appoggio di signori locali, avevano giocato un ruolo decisivo per i vari territori, sostenendone l’economia, fornendo servizi e ricavandone vocazioni. La chiusura di una casa religiosa dunque non solo privava i luoghi di servizi pastorali, li impoveriva anche sul piano economico, sociale e culturale. Certo, le chiese continuavano a funzionare, affidate al clero diocesano, ma si ‘riconvertivano’ quanto a devozioni e pratiche proprie dei singoli ordini, e in ogni caso non riuscivano più a fornire quei vantaggi economico-finanziari prima garantiti dalla presenza monastica o conventuale. La nuova geografia post-soppressione innocenziana vide la razionalizzazione romana ricadere sulle periferie, ma vide anche la sostanzialmente corretta collaborazione degli episcopati locali, che si fecero carico di verificare la reale consistenza dei beni regolari e lo status delle singole case, ma non mancarono di affiancare ai religiosi uscenti un clero diocesano disponibile al ricambio. L’operazione, che servì a una nuova presa di coscienza dei religiosi circa la loro condizione di consacrati orientati da una regola, tornò preziosa anche al clero secolare, investito di una nuova responsabilità pastorale e obbligato a confrontarsi con tradizioni e spiritualità fino ad allora estranee alla sua formazione.

Il cammino di riforma, appena avviato dalla riforma innocenziana, avrebbe richiesto tempi lunghi e rinnovate sollecitazioni culturali, che sarebbero emerse solo nel secolo dei Lumi e forse anche più oltre, nell’Ottocento, con il modello romano rilanciato dalla Chiesa della Restaurazione.