Storicamente. Laboratorio di storia

Studi e ricerche

Le missioni di pace dell'Unione europea e il rispetto dei diritti dell’uomo

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1. Introduzione

L’anniversario del sessantesimo dalla firma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il legame che unisce questo documento al tema del mantenimento della pace offrono l’occasione per gettare lo sguardo sul ruolo che i diritti fondamentali hanno assunto nell’attuazione della politica di sicurezza, ambito d’azione della Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea (PESC) rivolto alla gestione delle crisi internazionali.
Non si intende in questa sede approfondire il tema dell’evoluzione del quadro giuridico della politica di sicurezza, ampiamente affrontato in dottrina, né la questione dei rapporti tra le missioni di pace dell’Unione e il sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite[1], le cui implicazioni giuridiche richiederebbe uno studio ad hoc. Si intende invece focalizzare l’attenzione sul crescente rilievo che i diritti umani hanno assunto sotto il duplice aspetto della loro inclusione nel mandato delle missioni di pace e della rilevanza ai fini del loro modus operandi nei teatri di crisi.
A tal fine, il tema dei diritti dell’uomo verrà affrontato gradualmente, partendo dal complesso delle azioni dell’Unione europea e giungendo alle iniziative della PESC e, successivamente, alle missioni di pace. Si tratta di un approccio che ricorda l’apertura di una matrioška e che presenta il vantaggio di porre in luce l’importanza del rispetto dei diritti dell’uomo rispetto ai diversi livelli di azione dell’Unione europea.
Prima di entrare nel merito, è necessaria una precisazione. Nel presente lavoro le espressioni “diritti umani” e “diritti fondamentali” verranno usate in modo equivalente, in quanto si riferiscono ai diritti che appartengono all’uomo in ragione della sua esistenza[2]. Tale scelta pare avallata dalla varietà di espressioni utilizzate dagli strumenti internazionali, anche non giuridici, riguardanti questi diritti. Basti citare alcuni esempi: mentre la Dichiarazione del 1948 si riferisce ai “diritti umani”, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 (CEDU) dispone sui “diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali” e, infine, la Carta dell’Unione europea redige una lista (più ampia delle precedenti) dei “diritti fondamentali”.

2. La legislazione sui diritti umani nell’Unione europea

È stato osservato che il rispetto dei diritti umani ha assunto una certa importanza nelle società occidentali, non solo in quanto conditio sine qua non della legalità, ma anche come importante parametro delle credenziali democratiche di una politica[3].
Tale considerazione vale anche per l’Unione europea, la quale può essere considerata alla stregua di una “società occidentale”. Ed infatti, la promozione, il consolidamento e la tutela dei diritti umani hanno assunto una sempre maggiore rilevanza nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Tale aspetto è stato ampiamente illustrato e variamente commentato in dottrina, secondo letture che, pur alternative, possono risultare ugualmente condivisibili. I diritti umani, quindi, sono stati considerati sia come un fattore esogeno ma incidente sull’azione esterna dell’Unione europea[4], sia come una parte dei valori che l’Unione diffonde per mezzo delle proprie relazioni con i Paesi terzi[5].
Sul piano giuridico, tale rilevanza è testimoniata da alcune previsioni del Trattato sull’Unione europea (TUE): si ricordano l’art. 6 sul rispetto dei diritti dell’uomo e l’art. 49 sull’adesione all’Unione europea, che sancisce la loro rilevanza quale requisito d’ingresso dei nuovi Stati membri. Volgendo poi lo sguardo al Trattato di Lisbona, la cui entrata in vigore è oggi incerta, la prevista vincolatività della Carta dei diritti fondamentali assume un certo peso nell’affermazione dei diritti dell’uomo. Infine, va rammentato che sin dagli anni settanta la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee ha offerto un contributo determinante nell’affermazione del rispetto di questi diritti.
Le diverse iniziative dell’Unione europea a favore dei diritti umani vengono condotte ratione materiae nell’ambito dei suoi tre pilastri, ma sono coordinate al fine di realizzare la coerenza globale dell’azione esterna dell’Unione. Si tratta di un insieme ampio di azioni, che comprende, ad esempio, l’intervento finanziario, le iniziative di natura politica e la creazione di agenzie dedicate, ma accomunate dall’obiettivo comune della promozione, consolidamento e tutela dei diritti umani.

3. Sulle azioni a favore dei diritti dell’uomo

Nel primo pilastro le azioni a favore dei diritti dell’uomo si sostanziano in interventi di natura prevalentemente finanziaria[6]. Ne sono esempi il Fondo europeo di sviluppo, i fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo e alcuni fondi dedicati. In tutti i casi si provvede all’assistenza finanziaria a programmi di sostegno allo sviluppo locale e alla promozione della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo.
Ma non mancano le iniziative di altra natura.
Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo la promozione dei diritti dell’uomo informa i rapporti con i Paesi terzi, sostanzialmente in due direzioni. Da un lato è parte dell’approccio multidimensionale della Comunità nella cooperazione con i Paesi terzi[7], secondo cui gli interventi di natura economica sono affiancati da iniziative di tipo sociale, culturale e ambientale e da un dialogo politico nell’ambito del quale viene affrontato il tema dei diritti umani. Ciò è accaduto a partire dalla terza convenzione di Lomé e oggi caratterizza il complesso delle relazioni esterne della Comunità europea. In secondo luogo, dal 1995 la Comunità inserisce una clausola in tutti gli accordi (non di settore) conclusi con i Paesi non industrializzati, in base alla quale i diritti dell’uomo costituiscono un elemento essenziale di dialogo e la loro violazione porta alla comminazione di sanzioni.
Da segnalare poi le numerose attività poste in essere dal Parlamento europeo e l’istituzione dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali, i cui compiti sono diretti all’assistenza, alla consulenza, allo studio e alla promozione dei diritti fondamentali.
Quanto, invece, alla Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, le iniziative a favore dei diritti dell’uomo sono meno numerose, in quanto il terzo pilastro si rivolge soprattutto alla cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione, nell’ottica di realizzare uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Ciò nonostante, si tratta di azioni non meno importanti. Innanzitutto, il terzo pilastro ha tra i propri obiettivi la lotta la razzismo e alla xenofobia e tra gli ambiti d’azione la lotta alla tratta degli esseri umani. A tale riguardo vanno ricordate la decisione quadro sulla lotta alla tratta degli esseri umani del 2002[8], secondo cui ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché atti riconducibili alla tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento di manodopera o di sfruttamento sessuale siano considerati reato, e la risoluzione del 20 ottobre 2003 sulle tratta delle donne.
Vanno poi rammentate alcune azioni a favore dei diritti dell’uomo avviate nel terzo pilastro a beneficio di azioni della PESC. È il caso, ad esempio, dell’istituzione della rete europea di punti di contatto in materia di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, la cui attività è svolta a beneficio della Corte penale internazionale, il cui sostegno costituisce una ben definita linea di politica estera dell’Unione europea.

4. La politica estera dell’Unione europea e i diritti umani

Con riguardo al secondo pilastro, lo sviluppo ed il consolidamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali costituiscono uno degli obiettivi assegnati alla PESC, per il cui conseguimento l’Unione europea intraprende numerose azioni di natura politica.
Tali sono gli “orientamenti generali”, adottati su questioni tematiche legate ai diritti umani; si rammentano quelli sull’abolizione della pena di morte (1998), sui bambini nei conflitti armati (2003), sul rispetto del diritto internazionale umanitario (2005) oppure i recenti sulla promozione e protezione dei diritti dell’infanzia (2007). Lo scopo di questi orientamenti è di promuovere l’abolizione di normative e condotte dei Paesi terzi considerate non rispettose dei diritti dell’uomo. Ad esempio, nel caso della pena di morte gli orientamenti prevedono che l’Unione promuova nelle agore internazionali e presso i Paesi terzi la sua abolizione e solleciti un ridotto utilizzo di tale pena, mentre con riguardo agli orientamenti per il rispetto del diritto internazionale umanitario, il fine è, naturalmente, di favorirne l’osservanza e di promuoverne il rispetto da parte degli Stati terzi e degli attori non governativi.
Un’ampia fetta delle azioni del secondo pilastro è costituita dalle misure restrittive contro Stati aventi condotte contrarie al diritto internazionale, tra le quali vanno annoverate le violazioni dei diritti dell’uomo. Si tratta di sanzioni quali l’embargo di armi o le restrizioni di natura commerciale, anche se negli ultimi anni queste misure sono state comminate anche contro individui, appartenenti all’apparato statale o ad esso collegati, a ragione del legame tra il loro operato e la condotta dello Stato.
La promozione dei diritti dell’uomo avviene anche attraverso l’attività dei Rappresentanti speciali dell’Unione europea (RSUE). Sebbene il Trattato sull’Unione europea preveda che siano nominati dal Consiglio dei ministri con un mandato per problemi politici specifici, la prassi riferisce di nomine avvenute seguendo un approccio geografico, quindi inviando i RSUE presso Paesi terzi o aree geografiche. Spesso il loro mandato prevede il compito di assistere singoli o gruppi di Stati nelle riforme politiche che coinvolgono il rispetto del diritti dell’uomo e di contribuire all’attuazione della politica dell’Unione europea a favore degli stessi diritti[9].
Per concludere, va dato conto che negli ultimi anni il tema dei diritti dell’uomo ha assunto una valenza ampia, passando da ambito di azione specifico a dimensione da integrare nell’insieme delle politiche dell’Unione europea. Questi diritti hanno quindi assunto una dimensione trasversale e permeano altri rami della PESC. Ciò è accaduto, ad esempio, con il sostegno alla Corte penale internazionale o con la definizione ed attuazione della politica di sicurezza.

5. Le missioni di pace dell’Unione europea

Una breve presentazione della politica di sicurezza e della relativa prassi consentirà di comprendere l’ampiezza di quest’ambito d’azione dell’Unione europea, nel quale il rispetto dei diritti umani sta assumendo un rilievo crescente.
Va innanzitutto ricordato che la competenza in materia di gestione delle crisi internazionali è giuridicamente fondata sul TUE, con riguardo all’obiettivo del mantenimento della pace e alla previsione che l’Unione europea possa lanciare delle missioni di pace.
Ciò nonostante, il suo sviluppo è avvenuto a partire dal 1999 nell’ambito dei lavori del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri, quindi al di fuori del quadro giuridico del Trattato. La disciplina oggi vigente è offerta dal TUE, dalla normativa adottata nella PESC, dagli accordi internazionali conclusi al fine di avviare le missioni, nonché da alcuni atti di soft law. Con riguardo a questi ultimi, ci si riferisce a documenti che hanno sancito delle forme di collaborazione tra l’Unione europea da una parte e la Nato e le Nazioni Unite dall’altra. Alcuni dei risultati ottenuti nel corso dell’evoluzione istituzionale della politica di sicurezza sono stati codificati dal Trattato di Lisbona e pertanto faranno parte del relativo quadro giuridico.
Con riguardo alla prassi, se si esclude una missione di osservazione lanciata nel 1991 su cui si avrà modo di tornare, la politica di sicurezza ha ricevuto avvio ufficiale nei primi mesi del 2003, con il lancio di una missione civile di polizia in Bosnia e di un’operazione militare in Macedonia. Ad oggi il bilancio appare del tutto soddisfacente: sono state lanciate 23 missioni, 11 delle quali sono terminate.
Pur riconoscendo i limiti delle classificazioni, si può ritenere che questi interventi facciano capo a due tipologie di azione: quella militare e quella civile. Si tenga però conto che le missioni hanno ricevuto anche mandati misti, comprendenti sia aspetti militari sia civili di gestione delle crisi. Inoltre, il genus delle missioni civili è composto di interventi di varia natura. Inoltre, si ricorda che nel 2005 l’Unione ha lanciato una missione atipica, finalizzata non ad intervenire in una crisi locale, bensì a trasmettere ad un’altra organizzazione regionale il know-how sulla gestione delle crisi. Infine, di recente l’Unione ha lanciato Atalanta, la sua prima missione navale, al fine di contrastare la pirateria che sta attanagliando le acque somale e l’alto mare adiacente, adottando quindi una nuova modalità di intervento. Il quadro brevemente descritto riferisce quindi di una certa varietà tematica delle missioni di pace dell’Unione europea.
Quanto ai teatri di crisi coinvolti, la prassi riferisce di un progressivo allungamento del raggio d’azione dell’Unione europea. A fronte di un iniziale impegno su scenari precisi (Balcani e Congo), le missioni sono state lanciate anche in altri Paesi africani (Chad, Repubblica centrafricana, Somalia), in Medio Oriente (territori palestinesi, Iraq e Afghanistan) e nel sud-est asiatico (Indonesia). Ciò testimonia la progressiva affermazione dell’Unione europea sulla scena internazionale non più solo come donor, quindi come finanziatore dello sviluppo, ma anche nella veste di peace-keeper. Se si considera che negli ultimi anni le missioni sono state impegnate in scenari ritenuti tradizionalmente caldi, si comprende come l’Unione europea possa oggi essere considerata un peace-keeper affidabile.

6. I diritti umani nel mandato delle missioni di pace

Che la promozione del rispetto dei diritti umani costituisca parte del mandato delle missioni di pace non desta sorpresa. Infatti, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce un prerequisito per la pace[10] ed è chiaro che le missioni sono inserite in contesti nei quali le violazioni dei diritti umani rappresentano al contempo una delle cause della crisi e un’emergenza quotidiana da fronteggiare. Nel caso della prassi delle Nazioni Unite ciò è evidente[11], ma va osservato che anche le missioni di pace dell’Unione europea hanno operato ed operano in teatri di crisi considerati tradizionalmente problematici.
Sin dagli esordi della politica di sicurezza i diritti dell’uomo hanno permeato il mandato delle missioni di pace, sebbene in modo indiretto e nell’ambito di obiettivi di ampio respiro, quale, ad esempio, l’affermazione dello Stato di diritto.
Così è accaduto per le missioni lanciate nei Balcani, in Congo ed in Georgia.
Con riguardo ai Balcani va precisato che le missioni di pace hanno interessato diversi paesi della regione sin dagli inizi del conflitto nella ex Jugoslavia.
Va ricordata la missione di osservazione EUMM, lanciata nel 1991 col fine di sorvegliare l’accordo di pace di Brioni, ma alla quale nel 2000 è stato assegnato il compito di contribuire a definire un’efficace politica dell’Unione verso i Balcani occidentali. Tale nuovo obiettivo comportava il monitoraggio delle questioni interetniche e dei rifugiati, aspetti che coinvolgono ampiamente il tema del rispetto dei diritti dell’uomo. Ciò è stato ancora più evidente con l’ulteriore estensione del mandato del 2005, secondo cui il monitoraggio doveva riguardare in modo particolare il Kosovo, la Serbia e il Montenegro, ovvero aree a forte rischio per il rispetto dei diritti dell’uomo.
Quanto alle missioni in Bosnia, il loro mandato poggia sull’accordo di pace di Dayton del 1995. Si tratta di due missioni lanciate come proseguimento (e con gli stessi compiti) della forza di polizia ONU[12] e della forza militare Nato[13]. Quanto alla missione civile di polizia, il mandato della Europea Union Police Mission contiene un ampio riferimento all’attuazione dello Stato di diritto in Bosnia, in armonia con quanto previsto dall’accordo di Dayton[14]. Con riguardo, invece, all’intervento militare, i compiti della missione Althea sono quelli che l’accordo assegnava alla missione Nato: la forza è chiamata a sorvegliare la cessazione delle ostilità, che le parti si sono impegnate ad effettuare unitamente al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella convinzione che ciò costituisca il presupposto per una pace duratura[15]. La missione Althea opera quindi a garanzia della condizione necessaria per il rispetto dei diritti umani.
Analoghe considerazioni valgono per le missioni in Macedonia. In questo Paese l’Unione europea ha dispiegato tre missioni di pace nel triennio 2003-2006, con una progressione che testimonia il raggiungimento della soluzione alla crisi locale. Inizialmente è stata lanciata la missione militare Concordia in sostituzione della forza Nato, con il compito di continuare a garantire l’attuazione dell’accordo di Ohrid, grazie al quale questo Stato multietnico è stato pacificato[16]. Alla presenza militare sono seguite due missioni civili di polizia. In nessun caso il mandato ha coinvolto direttamente la promozione dei diritti umani, ma è chiaro che i compiti assegnati alle missioni sono legati a tale obiettivo. Infatti, Concordia basava la sua presenza sull’accordo di pace, che prevedeva non solo la fine delle ostilità, ma anche riforme legislative tese a realizzare il rispetto dei diritti dell’uomo. Quanto alle missioni civili, va ricordato che l’accordo di Ohrid invita alcuni degli attori coinvolti nel processo di pace, tra cui l’Unione europea, a lanciare programmi in favore delle forze di polizia locali, anche al fine di formarle nella materia dei diritti dell’uomo[17]. Così è accaduto con le due missioni di polizia, il cui mandato non solo è in linea con gli obiettivi espressi dall’accordo di pace, ma si inserisce nell’ampia prospettiva della realizzazione dello stato di diritto.
Venendo alle missioni in Congo, si tratta di due interventi lanciati in supporto della missione delle Nazioni Unite già operante in loco, la MONUC . I mandati delle due missioni appaiono nettamente ancorati all’obiettivo della tutela dei diritti dell’uomo. Infatti, la missione militare Artemis è stata lanciata nel 2003 con il compito di contribuire al miglioramento della situazione umanitaria a Bunia e alla protezione della popolazione civile[18]. Quanto alla missione militare avviata nel 2006, EUFOR RD Congo, il mandato comprendeva il compito di proteggere i civili nel corso del difficile periodo elettorale[19].
Un cenno, infine, a Eujust Themis, missione civile lanciata nel 2005 in Georgia col fine di sostenere le riforme verso la transizione di questo Paese verso la democrazia. Questa piccola missione in materia di Stato di diritto ha ricevuto il compito di fornire una consulenza nella riforma della giustizia penale georgiana, con particolare riguardo al codice di procedura penale. Si tratta di un mandato che non contiene espressi riferimenti ai diritti dell’uomo, sebbene la riforma della giustizia penale, anche sotto il profilo processuale, non può che basarsi sul rispetto dei diritti dell’uomo, anche quando si tratti di detenuti.
A partire dal 2005 i diritti dell’uomo sono entrati esplicitamente a far parte delle attività assegnate alle missioni di pace, venendo inseriti tra le voci che ne compongono il mandato.
Così è stato per Eujust Lex, missione sullo stato di diritto lanciata nel 2005 in Iraq col fine di formare magistrati e funzionari di polizia iracheni nella materia dell’indagine penale. Tale formazione è tesa a migliorare le capacità investigative locali e all’acquisizione di metodi investigativi moderni, ma nel rispetto dello Stato di diritto e dei diritti dell’uomo, tanto da inserire la disciplina giuridica internazionale posta a protezione di questi diritti tra le attività formative previste.
Ben più operativa sul fronte dei diritti dell’uomo è stata l’AMM, missione civile di osservazione lanciata nel 2005 in Indonesia[20]. Il suo mandato era stato definito già nel Memorandum d’intesa di Helsinki del 15 agosto 2005, con il quale era stata posta fine al trentennale conflitto nella provincia dell’Aceh, e comprendeva il monitoraggio della reintegrazione dei membri del Movimento per l’indipendenza dell’Aceh (GAM) nella società civile e della situazione dei diritti umani, l’assistenza sul campo nello stesso settore e la competenza a decidere sulle dispute riguardanti i casi di amnistia[21].
Anche altre missioni hanno ricevuto un mandato comportante azioni finalizzate al rispetto dei diritti umani. La missione sulla sicurezza in Congo (EUSEC RD Congo), lanciata nel 2005, ha compiti di promozione delle politiche tese alla sicurezza ma allineate agli standard europei di rispetto dei diritti dell’uomo e diritto internazionale umanitario[22]. La missione di polizia in Afghanistan (Eupol Afghanistan), lanciata nel 2007, ha un mandato in linea con i compiti tradizionali delle missioni di polizia con la consegna specifica di sviluppare l’operatività della polizia locale conformemente agli standard internazionali nell’ambito dello stato di diritto e dei diritti umani. Inoltre, la missione militare lanciata nel 2007 in Chad e Repubblica centrafricana, EUFOR Tchad/RCA,del tutto simile a quelle effettuate in Congo, ha ricevuto un mandato che la vede impegnata nella protezione della popolazione civile e nella facilitazione della distribuzione degli aiuti umanitari[23].
A parte va considerata Eulex Kosovo, missione sullo Stato di diritto istituita a ridosso della dichiarazione di indipendenza dello Stato kosovaro. Eulex Kosovo costituisce, con il RSUE e il corposo sostegno finanziario della Commissione europea a favore delle riforme economico-sociali, una delle azioni attraverso cui l’Unione europea sostiene il Kosovo. Con riguardo alla missione[24], è previsto che Eulex Kosovo assuma alcune delle funzioni di UNMIK e realizzi un mandato chiaramente indirizzato alla promozione del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Infatti, è suo compito accompagnare lo sviluppo di istituzioni giudiziarie e di polizia verso standard di funzionamento allineati a quelli europei e alle norme riconosciute a livello internazionale, attraverso il monitoraggio e la consulenza nei settori inerenti allo Stato di diritto, il conseguimento dello Stato di diritto nelle attività giudiziarie e di polizia, l’investigazione dei crimini, con riguardo anche a quelli di guerra e ai crimini etnici, nonché la promozione dei diritti dell’uomo.
Infine, un doveroso cenno ad EUMM Georgia, recente missione avviata in Georgia al fine di contribuire alla stabilizzazione della crisi scoppiata lo scorso agosto. La missione ha ricevuto il mandato di contribuire alla stabilità della Georgia e della regione circostante e di vigilare sull’attuazione dell’accordo di pace dell’agosto 2008. Tra i compiti ricevuti, la missione dovràvigilare e riferire sulla violazione dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario da parte dei due Stati firmatari dell’accordo di pace.
Il quadro rappresentato riferisce del progressivo rilievo che i diritti umani hanno assunto nelle attività svolte dalle missioni di pace dell’Unione europea, fino a divenire espressamente parte del loro mandato. Ciò detto, è necessario segnalare altre due forme di integrazione dei diritti dell’uomo nelle missioni.
In primo luogo, si sta osservando il consolidamento della prassi di inserire all’interno di ogni missione degli esperti di diritti umani, quali elementi stabili dell’organizzazione[25]. Si tratta di una nuova sfaccettatura del rilievo assunto dai diritti dell’uomo, che trova ragione nella loro trasversalità rispetto alle politiche dell’Unione europea. Si deve ritenere che si tratti anche di una forma di accoglimento delle sollecitazioni contenute nel recente Report del Segretario generale delle Nazioni Unite sulle relazioni tra ONU e le organizzazioni regionali nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Il secondo aspetto chiama in causa i già richiamati orientamenti per il rispetto del diritto internazionale umanitario del 2005. Il documento, contrariamente a quanto accade con gli altri orientamenti, è destinato anche alle Istituzioni e agli organi dell’Unione. Con riguardo alle missioni di pace, gli orientamenti del 2005 fissano due linee d’azione. In primis, i capomissione possono includere nelle loro relazioni su uno Stato o un conflitto una valutazione della situazione del diritto internazionale umanitario qualora ciò sia opportuno[26]. Si tratta di un’informativa a partire dalla quale l’Unione europea può decidere di fronteggiare le violazioni del diritto internazionale umanitario con misure specifiche, ad esempio le sanzioni restrittive. Inoltre, è previsto che nel definire i mandati delle missioni dovrebbe essere presa in considerazione l’importanza di contrastare le violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di soggetti terzi, anche attraverso la raccolta di informazioni o la conduzione di indagini utili alla Corte penale internazionale. Anche in questo caso, quindi, la missione contribuisce a sanzionare le violazioni del diritto internazionale umanitario.

7. I diritti umani come modus operandi delle missioni di pace

Il secondo aspetto in esame attiene alla necessità che le missioni e il personale loro assegnato rispettino i diritti dell’uomo nello svolgimento delle attività sul territorio. La questione presenta alcuni aspetti di forte complessità, che rendono necessarie delle precisazioni.
In primo luogo la disciplina giuridica rilevante non comprende solo le norme poste a tutela dei diritti dell’uomo, bensì anche il diritto internazionale umanitario. Si tratta di due branche del diritto internazionale aventi diversi ambiti di applicazione[27]: mentre le convezioni sui diritti dell’uomo sono sempre applicabili, il diritto internazionale umanitario si applica solo a situazioni nelle quali si verifica un confronto armato.
La seconda considerazione discende dalla prima e riguarda la circostanza che il rispetto del diritto internazionale umanitario va verificato solo con riguardo alle missioni militari. Queste operano in contesti nei quali è possibile che si verifichi un confronto armato o per legittima difesa (peace-keeping) o ai fini dell’attuazione del mandato ricevuto (peace-building o peace-enforcement). Non è quindi necessario effettuare tale verifica per le missioni civili, il cui personale, equiparabile alla popolazione civile, è al limite da considerare destinatario del diritto internazionale umanitario.
In terzo luogo, la politica di sicurezza è parte di un ordinamento giuridico nel quale la cogenza del diritto internazionale ha un rilievo centrale, per cui il rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario costituisce un obbligo per le missioni di pace. Non solo, infatti, la politica di sicurezza è parte della PESC, tra i cui obiettivi c’è quello di operare a favore della pace nel rispetto dei principi della Carta ONU, ma la sua attuazione non può che avvenire in conformità con il sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite, il che comporta almeno la condivisione dei principi che fondano la Carta. Inoltre, va rammentato che l’Unione europea è vincolata dalle norme del diritto internazionale di natura consuetudinaria, come qualsiasi altro soggetto appartenente alla comunità internazionale. Quanto alle norme di diritto internazionale pattizio, ovvero generato dalla stipula dei trattati internazionali, sebbene l’Unione europea non sia parte delle convenzioni di diritto internazionale umanitario e sui diritti umani, due considerazioni sono necessarie. Innanzitutto l’Unione ha volontariamente allineato la propria prassi ai principi e allo spirito delle convenzioni di diritto umanitario, come testimoniano alcuni documenti ufficiali[28]. In secondo luogo, i suoi Stati membri sono parti delle convenzioni sul diritto umanitario, inclusi i protocolli[29], nonché delle convenzioni sui diritti dell’uomo e tale circostanza comporterebbe un’estensione degli obblighi posti in capo agli Stati membri sull’organizzazione internazionale di cui sono parte[30].
Ciò detto, al fine di verificare la rilevanza del rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario nelle missioni di pace è necessario prendere in esame gli atti che costituiscono il corredo minimo necessario al loro lancio. Ci si riferisce alle azioni comuni PESC con cui vengono istituite, agli accordi internazionali che vengono conclusi ai fini del loro avvio e, con riguardo al solo diritto internazionale umanitario, alle regole d’ingaggio che vengono assegnate alle missioni militari.
Quanto alle azioni comuni, questi atti non dispongono sul diritto internazionale che la missione è tenuta ad osservare. Si tratta, infatti, di atti nei quali vengono indicati il mandato della missione, la sua struttura, i rapporti con gli Stati terzi o le organizzazioni internazionali, i mezzi (anche finanziari) per realizzarla, oltre che, se necessario, la durata.
Fanno eccezione le azioni comuni relative alle missioni EULEX Kosovo ed Atalanta. Con riguardo alla missione in Kosovo, l’azione comune chiude la norma sui compiti che costituiscono il mandato con la precisazione che la missione assicura che «tutte le sue attività rispettino le norme internazionali in materia di diritti umani e di integrazione di genere». Con riguardo ad Atalanta, il mandato della missione navale comprende la possibilità di trarre in arresto o fermo gli indiziati di pirateria e di sequestrare i relativi natanti. I soggetti arrestati o fermati dovranno essere assicurati alla giustizia, ma la consegna delle persone agli Stati competenti dovrà avvenire «in conformità del diritto internazionale applicabile, compreso il diritto internazionale dei diritti umani, al fine di garantire in particolare che nessuno sia sottoposto alla pena di morte, alla tortura o a qualsiasi altro trattamento crudele, inumano o degradante»[31]. Sebbene si tratti di due casi eloquenti, va precisato che al momento sono isolati, mancando riferimenti analoghi nelle azioni comuni relative alle altre missioni.
Questi atti fanno invece un sistematico rinvio all’accordo tra Unione europea e Stato che ospita la missione, al fine di fissarne disciplina giuridica per la durata della sua permanenza. Il riferimento è quindi agli accordi internazionali necessari all’avvio di una missione di pace, che vengono conclusi da una parte con lo Stato ospitante (Sofa)[32], dall’altra con gli Stati terzi che partecipano fornendo delle risorse aggiuntive[33]. Anche gli accordi, però, tacciono sul rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario. Soltanto il Sofa disciplina un aspetto che può avere dei riflessi sui diritti degli individui, ovvero lo status conferito alla missione, che è quello concesso alle missioni diplomatiche, e di conseguenza la questione della responsabilità per i danni provocati dalle attività svolte nel corso della sua attività.
In proposito, è bene ricordare che spesso le missioni si inseriscono in contesti di crisi o disordine interno e che è quindi necessario dare una risposta giuridica, in termini di responsabilità, ai «concreti rischi del compimento di atti lesivi che tali operazioni naturalmente comportano»[34]. In altre parole, si tratta di offrire le opportune garanzie ai soggetti che subiscono danni a seguito delle attività delle missioni di pace, come può accadere, per esempio, con l’uso della forza armata contro un cittadino dello Stato ospitante o con la distruzione di una sua proprietà. Considerato che la missione e il suo personale beneficiano delle immunità diplomatiche, i Sofa affrontano la questione dei danni offrendo procedure alternative di indennizzo[35]. Ma tali procedure non si applicano a tutti danni provocati dalla missione. Per i danni provocati nello svolgimento di funzioni ufficiali non è previsto alcun rimborso, né sono previste forme di indennizzo ex gratia. Solo i danni provocati da attività non ufficiali possono essere indennizzati secondo le procedure previste e, in ogni caso, la responsabilità resta in capo allo Stato di appartenenza di colui che ha cagionato il danno, in quanto lo svolgimento di un’attività off-duty fa venir meno il legame organico tra il soggetto che agisce e la missione di pace.
Non si può sottolineare come la previsione del mancato indennizzo dei danni provocati dalle attività ufficiali sia irrispettosa dei diritti dei danneggiati. Da una parte le immunità concesse alla missione determinano una flessione del diritto riconosciuto ad ogni individuo ad adire un giudice contro atti che violino i diritti attribuiti dalla legge[36]. Inoltre, nell’ipotesi che la proprietà (magari l’abitazione) di un individuo sia distrutta nel corso di alcune operazioni della missione, l’impossibilità di ricevere indennizzo viola non solo il diritto alla proprietà, che è contemplato dalla celebranda Dichiarazione (art. 17), ma anche il diritto ad un livello di vita adeguato (che comprende la possibilità di fruire di un alloggio), che il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, in quanto strumento giuridico vincolante, espressamente riconosce. Ciò detto, va anche rammentato che il lancio di una missione di pace è accompagnato dall’accettazione condivisa del rischio connesso alla sua attività e che, ad ogni modo, in tale ambito possono intervenire considerazioni di opportunità politica, le quali, come noto, spesso portano a soluzioni non sempre lineari sul piano del diritto.
Venendo alle regole di ingaggio, nel caso delle missioni dell’Unione europea queste sono redatte dal comandante dell’operazione e approvate dal Comitato politico e di sicurezza. Naturalmente le regole d’ingaggio non possono essere contrarie al diritto internazionale, quindi non possono prevedere un comportamento militare che possa configurare una violazione dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario. Al momento non si ha notizia dell’approvazione di regole di ingaggio standing, cioè rivolte a qualsiasi tipo di missione, per cui si deve concludere che l’Unione stia diramando regole d’ingaggio ad hoc, il cui contenuto è, com’è prevedibile, segreto.
Ciò detto, si ritiene che queste possano colmare il gap determinato da una parte dall’impossibilità per l’Unione europea di essere parte delle convenzioni sui diritti dell’uomo e sul diritto internazionale umanitario, dall’altra dalla mancanza di una regolamentazione interna sulla cogenza di tali discipline per le missioni di pace. Le regole di ingaggio dovranno quindi essere redatte in modo da creare una piattaforma comune ai diversi contingenti posti sotto il controllo militare unificato dell’Unione europea. Tale consegna assume una certa importanza alla luce della sistematica partecipazione di Stati terzi alle missioni dell’Unione europea e alla conseguente possibilità che non tutti i Paesi coinvolti siano vincolati al medesimo standard di rispetto del diritto umanitario e dei diritti dell’uomo. Infatti, soprattutto con riguardo al diritto internazionale umanitario (in particolare ai protocolli) la geometria delle ratifiche è alquanto variabile, pertanto la capacità delle regole di ingaggio di creare un livello comune di rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario appare fondamentale[37] e lo stesso accade con riguardo alle convenzioni poste a tutela dei diritti dell’uomo, con particolare riguardo alla CEDU. Va aggiunto che analoghe considerazioni valgono per le missioni lanciate in partnership con la Nato.
In conclusione, le osservazioni svolte a riguardo dello standard di rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti dell’uomo da parte delle missioni di pace conducono ad un quadro incerto, nel quale il ruolo principe è giocato dalle regole di ingaggio, ovvero da atti coperti da riservatezza. Forse con riguardo ai diritti dell’uomo il quadro appare leggermente più confortante, quantomeno perché l’Unione europea si fonda su tali diritti. Ciò detto, se si esclude l’eccezione di EULEX Kosovo ed Atalanta, gli atti istitutivi delle missioni tacciono sul rispetto dei diritti dell’uomo.
Sembra quindi di trovarsi di fronte ad un gap di regolamentazione, nell’ambito del quale il rispetto di norme fondamentali del diritto internazionale non è dichiarato esplicitamente. Ciò nonostante si deve ritenere che dette norme siano rispettate, altrimenti diviene difficile comprendere come interventi il cui fine può comprendere la promozione, la tutela dei diritti umani o la funzione di garantire l’aiuto umanitario e la cui organizzazione comprende la figura dell’esperto sui diritti umani possano agire in violazione degli stessi diritti. Di fronte a tale problematica, assume una certa importanza l’adozione di una regolamentazione interna all’Unione europea che provveda a colmare la lacuna evidenziata. In tale direzione, documenti paragonabili al Bollettino delle Nazioni Unite o alle regole d’ingaggio permanenti possono costituire degli strumenti adeguati. Sarebbe altresì opportuna una revisione delle norme sui danni provocati dalla missione, quantomeno nella direzione di concedere indennizzi ex gratia ai danneggiati.

8. Conclusioni

Le droits de l’homme sont un chantier en cours, avec un certain nombre de succès collectifs et individuels, de réalisations encourageantes, mais aussi d’inévitables déceptions et de douloureux échecs: il reste tant à faire … Nous espérons que le présent rapport, qui rend compte de ce qu’a réalisé l’UE au cours des douze derniers mois, ne fera pas qu’informer de manière exhaustive le lecteur, mais encore qu’il nous aidera à mieux cibler notre action et à être plus efficaces à l’avenir.

Con queste parole il Commissario europeo per le relazioni esterne e la politica di vicinato, l’allora Presidente di turno dell’Unione europea e l’Alto Rappresentante PESC chiudevano la prefazione alla Relazione annuale dell’Unione europea sui diritti dell’uomo del 2007.
Sono affermazioni realistiche e condivisibili, che rendono conto dei risultati raggiunti nel complesso dell’azione dell’Unione europea nel rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche delle opere che è ancora necessario realizzare in questo metaforico cantiere.
Certamente valgono per gli aspetti presi in considerazione nel presente lavoro. Sul fronte dell’“edificato”, va salutato con favore che il rispetto dei diritti dell’uomo permei l’organizzazione e il lancio delle missioni di pace, con riguardo sia all’expertise interna, sia al mandato loro assegnato. Ciò testimonia, unitamente al complesso delle iniziative dell’Unione europea a favore dei diritti dell’uomo, una presenza che non solo è in linea con il diritto internazionale, ma onora lo spirito della Dichiarazione del 1948. Resta però da realizzare il quadro giuridico interno cui le missioni devono riferirsi al fine di evitare che le attività condotte sul territorio violino i diritti dell’uomo o il diritto internazionale umanitario. Si tratta di aspetti non secondari, che possono minare la credibilità dell’Unione europea, la cui presenza sulla scena internazionale corre il rischio di risentire della dissonanza tra l’attività di promozione dei diritti dell’uomo e il mancato rispetto degli stessi diritti da parte delle missioni di pace.
In tale direzione, quindi, il sessantesimo dalla firma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 rappresenta per l’Unione europea non solo una occasione per celebrare e promuovere lo spirito di questo documento (e ogni fausto beneficio che ciò può portare nella comunità internazionale), ma anche per avviare una riflessione su quanto ancora al suo interno deve essere fatto al fine di proseguire i lavori del difficile cantiere dei diritti dell’uomo.

Note

* Luca Paladini, Jean Monnet Fellow, IUE

[1] La letteratura è vasta. Su vedano, per tutti, B. Conforti, Le Nazioni Unite, VI ed., Padova, 2000, 237 ss. e S. Marchisio, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Bologna, 2000, 281 ss.

[2] Il tema dei diritti dell’uomo affonda le sue radici nel giusnaturalismo e nella teoria del contratto sociale. Non essendo possibile un approfondimento, si fa rinvio all’autorevole J. J. Chevalier, Le grandi opere del pensiero politico, Bologna, 1968.

[3] Cfr. T. Tridimas, The European Court of Justice and the Draft Constitution: A Supreme Court for the Union?, 2004, www.fedtrust.co.uk.

[4] Cfr. A. J. Menédez, Chartering Europe: legal status and policy implications of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, «Journal of Common Market Studies», 2002, 484 ss.

[5] Cfr. M. Cremona, The Union as a global actor: roles, models and identity, «Common Market Law Review», 2004, 553 ss.

[6] Cfr. C. Novi, Manuale di politica di sicurezza dell’Unione europea, Padova, 2005, 306-7.

[7] Cfr. S. Aprile, G. Rufini, La cooperazione allo sviluppo e l’attività umanitaria: quale concetto di politica estera?, in: R. Balfour, R. Menotti (eds.), Verso un concetto di politica estera europea. Le sfide esterne e di sicurezza per la UE, Roma, 2004, 60.

[8] Decisione quadro 2002/629/GAI del 19 luglio 2002.

[9] Ad esempio, nel mandato degli RSUE nel Caucaso del Sud, in Sudan e in Kosovo.

[10] Si veda il primo ‘considerando’ della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.

[12] Si tratta della International Police Task Force (IPTF).

[13] Si tratta della Stabilization Force (SFOR).

[14] Allegato 11, Art. VI, che assegnava alla forza di polizia ONU – ed ora a quella dell’Unione – un ruolo di denuncia della violazione dei diritti dell’uomo.

[15] Art. VII dell’Accordo di pace e Allegato 1 A, art. 2.

[16] Art. 2 dell’Accordo di Ohrid del 13 agosto 2001.

[17] Allegato C, Implementation and confidence-building measures, punto 5.3.

[18] Cfr. ris. 1484 (2003) del Consiglio di Sicurezza.

[19] Cfr. ris. 1671 (2006) del Consiglio di Sicurezza.

[20] Cfr. Consiglio dei ministri dell’Unione europea, Commissione (a cura di), Relazione annuale dell’Unione europea sui diritti dell’uomo 2007, 17.

[21] Cfr. art. 5.1 dell’accordo.

[22] Stato maggiore dell’Unione europea, «Impetus», n. 1, Brussels, 2006, 19.

[23] Cfr. ris. 1778 (2007) del Consiglio di Sicurezza.

[24] Sulla mancanza di un chiaro fondamento giuridico internazionale, cfr. N. Ronzitti, Kosovo, un riconoscimento prematuro, www.affarinternazionali.it.

[25] Cfr. J. Howorth, Security and Defence Policy in the European Union, Houndmills-Basingstoke-Hampshire, 2007, 254.

[26] Parte III, paragrafo A, punto 15, lettera b).

[27] Cfr. N. Ronzitti, L’applicabilità del diritto internazionale umanitario, in N. Ronzitti (a cura di), Le forze di pace dell’Unione europea, Roma, 2005, 168 ss.

[28] Cfr. N. Ronzitti, L’applicabilità del diritto internazionale umanitario, cit., 178 ss.

[29] Si veda il sito del Comitato internazionale della Croce Rossa (http://www.cicr.org).

[30] Cfr. F. Mégret, F. Hoffmann, The UN as a Human Rights Violator? Some Reflections on the United Nations Changing Human Rights Responsibilities, in Human Rights Quarterly, 25 (2003), 316 ss.

[31] Così l’art. 12 dell’azione comune istitutiva di Atalanta (2008/851/PESC).

[32] Trattasi degli Status-of-forces-agreement, il cui fine è di autorizzare preventivamente l’accesso e il soggiorno della missione sul territorio ospitante e di regolarne la condizione giuridica per la sua permanenza.

[33] Trattasi dei Participation agreements, il cui fine è disciplinare la partecipazione del personale dello Stato terzo alla missione dell’Unione europea.

[34] Cfr. S. Dorigo, Imputazione e responsabilità internazionale per l’attività delle forse di peacekeeping delle Nazioni Unite, «Rivista di Diritto internazionale», 2002, 904, a proposito degli interventi ONU.

[35] Cfr. A. Sari, Status of Forces and Status of Mission Agreements under the ESPD: The EU’S Evolving Practice, in «The European Journal of International Law», 2008, 67 ss.

[36] Cfr. l’art. 8 della Dichiarazione del 1948, l’art. 14 del Patto sui diritti civili e politici e l’art. 13 della CEDU.

[37] Cfr. N. Ronzitti, L’applicabilità, cit., 184-5.