Storicamente. Laboratorio di storia
Due processi per aborto: Marie–Claire Chevalier e Gigliola Pierobon
Due processi per aborto fanno scalpore in Italia e in Francia all’inizio degli anni settanta: quello celebrato a Bobigny, nella periferia di Parigi, nel 1972 contro Marie–Claire Chevalier, minorenne, colpevole di aborto clandestino e quello celebrato a Padova nel 1973 contro Gigliola Pierobon, anch’ella minorenne all’epoca dei fatti e accusata del medesimo reato. L’azione intentata contro la ragazza francese e contro la madre che l’aveva aiutata ad abortire si trasforma in un clamoroso processo all’aborto. L’accusa personale si muta in denuncia collettiva di una società che costringeva milioni di donne ad abortire in clandestinità a causa di un codice penale di epoca fascista che considerava l’aborto un reato punibile con la galera. I giudici del tribunale acconsentono ad aprire il dibattimento agli aspetti sociali, scientifici e psicologici dell’aborto, rendendo il singolo caso in esame un’occasione per ricostruire il contesto socio culturale intorno ad esso. Grazie a quest’apertura che coinvolge l’opinione pubblica, in Francia, in seguito al processo, si verifica quel cambiamento culturale che porterà di lì a poco al varo di una nuova legge, la legge Veil del 1 gennaio 1975.
In Italia invece l’aquis in cui si inserisce il processo contro Gigliola Pierobon si presenta in maniera completamente diversa: la dimensione “pubblica” del processo, come garanzia e affermazione dei diritti e delle libertà costituzionali propri di uno stato a regime rappresentativo, entra in tensione e conflitto con la vischiosità dell'antica logica inquisitoria, con le pratiche giudiziarie poliziesche e la segretezza del processo. L’opinione pubblica viene esclusa dall’acquisizione di sapere intorno al caso, rimane assente dalla discussione, impossibilitata non solo a partecipare fattivamente alla costruzione di un dibattito serio e informato, ma anche a manifestare la propria indignazione. Il processo si chiude in sé stesso e per ottenere una revisione della legge – regolata fino a quel momento dall’art. 546 del Codice penale del 1930- bisognerà attendere il 1978 e anni di dibattito serrato in Parlamento.
L’esito differente dei due casi dipende certamente dalla diversità del contesto politico-culturale in cui si inseriscono le vicende di Gigliola Pierobon e di Marie- Claire Chevalier, che produce una diversa costruzione del discorso pubblico sull’aborto nei due paesi ma, se è vero che le carte processuali sono lo specchio di come realmente è un Paese, non è da sottovalutare l’influenza di una diversa costruzione del processo e del discorso giuridico nell’esito opposto di casi così simili.
G. Pierobon, Il processo degli angeli. Storia di un aborto, Roma Tattilo Editrice, 1974; Storia di un aborto. Il processo Chevalier, Prefazione di Simone de Beauvoir, Torino Einaudi 1974; G. Halimi, Le procès de Bobigny: Choisir la cause des femmes, Editions Gallimard, 2006 (con un testo inedito di Marie Claire Chevalier).