Storicamente. Laboratorio di storia
Il lavoro della donna negli Anni sessanta
Nel periodo che va dal 1959 al 1972 l'occupazione femminile in Italia subisce un crollo stimato in 1. 225. 000 unità, passando da 6. 240. 000 a 5. 015. 000, con un calo in percentuale dal 25,0 al 17,8. Nel 1961 le donne “etichettate” come casalinghe sono 12 milioni, più del doppio delle donne che lavorano, ed è sempre nel 1961 che il numero delle donne economicamente attive raggiunge il suo punto più basso in tutta la storia dell’Italia unitaria: dal punto di vista del lavoro, la segregazione domestica delle donne è molto maggiore all’inizio degli anni sessanta di quanto fosse un secolo prima, quando fu effettuato il primo censimento unitario nel 1861 [F. Bettio, The sexual division of labour: the Italian case, Oxford, Clarendon Press, 1988]. Dal 1972 al 1975 l'andamento di costante espulsione sembra arrestarsi e l'occupazione femminile arriva all'inizio del 1975 a 5. 257. 000 unità. Inoltre, un’ indagine ISTAT del 1975 sulla disoccupazione femminile soprattutto tra i 25 e i 30 anni, rivela che il numero delle donne che lasciano il lavoro per «assenza di bisogno» è molto basso (3%), mentre influiscono pesantemente le cause per «responsabilità familiari»: dal 49% al 63%. E’ da tenere presente inoltre che, a parità di lavoro, il salario femminile era inferiore a quello degli uomini del 30% [E. Badaracco, La condizione della donna oggi in Italia: maternità cosciente, contraccezione e aborto, Nuova Informazione, 1976. Si veda inoltre: M. Cutrufelli, Disoccupata con onore, Milano, Mazzotta, 1975]. Ma al di là impiego nella fabbrica, che entra agilmente nelle statistiche, nelle grandi aree urbane in cui si concentra negli anni del boom la forza lavoro, le donne sono impegnate in buona parte nel basso terziario, cioè in tutti quei lavori a domicilio, in attività precarie e intermittenti, lavoro nascosto svolto al nero che resta fuori da ogni statistica. E’ l’altra faccia dell’economia fordista [A. Badino, Tutte a casa? Donne tra migrazione e lavoro nella Torino degli anni Sessanta, Roma, Viella, 2008]. Le prime ad uscire dalla produzione industriale sono quelle sposate, licenziate alla nascita del primo figlio- mentre contemporaneamente un terzo di tutto il lavoro agricolo nazionale continua ad essere svolto da donne, che si dividono tra i campi e l’altrettanto quotidiano, gravoso e scontato, lavoro di cura [S. Piccone Stella, La prima generazione. Ragazze e ragazzi nel miracolo italiano, Milano, Franco Angeli, 1993]. L’economia della società patriarcale esige che le donne siano un elemento da sfruttare. Tenute a casa dai figli, diventa facile estorcere loro gratuitamente la forza lavoro. Il bambino diventa quindi un elemento necessario per il mantenimento della divisione dei ruoli e degli spazi sociali e se le donne si ribellano – pur con l’appoggio e il supporto del marito o del compagno, tutto sarà comunque socialmente organizzato affinché debbano vergognarsene [M. Dalla Costa, Stato, lavoro, rapporti di sesso nel femminismo marxista, in Stato e rapporti sociali di sesso, a cura di A. Del Re, introduzione di R. Rossanda, Milano, Franco Angeli, 1989,   207-226].