Storicamente. Laboratorio di storia

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Emilio Jona, Sergio Liberovici, Franco Castelli, Alberto Lovatto, Le ciminiere non fanno più fumo. Canti e memorie degli operai torinesi

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Il volume affonda le radici nel clima intellettuale e artistico degli anni ’50 e ’60, periodo in cui si formarono molti gruppi di ricerca interdisciplinare sulla canzone popolare. L’esperienza del «Nuovo Canzoniere Italiano» diede inizio a un meticoloso lavoro di raccolta e classificazione del canto di protesta, «Cantacronache», inoltre, rappresentò una delle prime esperienze, nel panorama italiano del dopoguerra, di canzone d’autore. È proprio all’interno di quest’ultimo gruppo di intellettuali, prevalentemente torinesi, che Jona e Liberovici iniziarono ad interessarsi alla canzone popolare.

L’intento del volume è quello di analizzare il canto degli operai nell’area urbana di Torino. L’arco cronologico in cui si svolgono le vicende narrate si dipana dall’ultimo decennio dell’800 fino al periodo fascista. La ricerca mette in luce la funzione euristica del canto; esso consente, infatti, un accesso privilegiato alla parola, alla vita quotidiana e alla cultura popolare (artigiana e operaia).

La documentazione si fonda principalmente sulla storia orale e, in particolare, su una sessantina di informatori, le cui testimonianze furono registrate a Torino negli anni 1956-73, su oltre 300 canti e su un’ampia raccolta di fogli volanti, manoscritti, canzonieri, spartiti, partiture e pagine di opuscoli e giornali. È un libro fatto di rimandi continui; le memorie popolari interagiscono dinamicamente con i canti, vi è una costante interconnessione tra la canzone, la memoria e la storia.

Il volume, estremamente ricco di spunti di riflessione, può rivolgersi a un’ampia gamma di studiosi: dallo specialista della Torino operaia allo storico, all’antropologo, al musicologo, al dialettologo e naturalmente allo storico orale. Da ciò si deduce chiaramente l’importanza del canto come fonte di analisi, poiché permette allo storico di lavorare alla frontiera di differenti discipline. È da segnalare, a questo proposito, l’ampia introduzione teorica e metodologica svolta da Emilio Jona.

Nelle varie sezioni, gli aa. affrontano il documento musicale nella sua complessità: testo, melodia e circuiti di sociabilità legati alla canzone sono i punti cardini dell’analisi. Si registra l’esistenza di una ritualità canora, di un canto che prende vita dalle organizzazioni operaie, come i circoli, le associazioni, le leghe e si diffonde ad opera dei maestri e dei partecipanti ai numerosi cori che si costituiscono al loro interno. Da questa eterogeneità emerge una precisa tipologia, la “cantata operaia”, che si distanzia, sia per la musica che per i contenuti, simili a quelli dell’innologia anarchica e socialista, dal canto epico-lirico, raccolto da Nigra, di tradizione folklorica, connotato dalla fissità e dall’ineluttabilità della condizione umana. La cantata operaia, invece, «veicola messaggi ideologici forti, quali l’orgoglio, la solidarietà, la lotta di classe, con un linguaggio musicale decisamente mutuato o influenzato dal melodramma e dai libretti d’opera dell’Ottocento» (p. XVI). Gli aa. ribaltano le tesi di Roberto Leydi, mettendo in luce il peso non marginale avuto dal melodramma all’interno della canzone urbana operaia.

Questo volume rappresenta un manuale d’uso del canto popolare, in cui il testo musicale (la melodia e le parole) è decostruito in singole unità, per comprendere la sua reale struttura. L’operazione permette di mettere in luce la genealogia della canzone, da dove essa trae origine e come si sviluppa. Il canto non è un documento autonomo, ma contiene al suo interno musiche, contenuti, luoghi che appartengono a mondi letterari e musicali differenti; vi è un lavoro di manipolazione e trasfigurazione. Si tratta di una pratica popolare che richiama la “parodia”, termine utilizzato per definire l’azione di adattamento, travestimento e sostituzione del senso originale: «[…] nella sua definizione più semplice, consiste nell’elaborazione di un nuovo testo sulla melodia di una canzone preesistente. Del canto d’origine, il nuovo, oltre che il ritmo, la metrica e la forma generale, a volte riprende anche parti del testo» (p. 83). Si assiste quindi a una grande circolarità, vitalità e ricchezza della cultura operaia e dei suoi meccanismi di comunicazione. Accanto al melodramma, sono evidenti impresti dalla canzonetta, dalla romanza, dalla canzone d’autore, da quella dialettale e da quella dei cantastorie e dei fogli volanti.

Sono particolarmente interessanti, infine, ed è possibile apprezzarli meglio anche con il cd-rom in cui sono contenute una quarantina di tracce musicali, i metodi di armonizzazione e di esecuzione dei cori delle associazioni operaie. Si è in presenza di una voce polifonica, nella quale si rispecchia un’ampia collettività. L’idea risorgimentale-melodrammatica di fine ’800 del popolo-coro trova, in un mutato cotesto socio-culturale, nuove ragioni di senso e una nuova forma di unione, per lottare e per rapportarsi con le altri classi sociali. «Non un “canta di passa”, dunque, ma piuttosto un “ci ragiono e canto”» (p. 273), per citare lo spettacolo teatrale di Dario Fo.