Storicamente. Laboratorio di storia

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Jean-Philippe Bouilloud, Devenir sociologue. Histoires de vie et choix théoriques, Tolosa, ERES, 2009, 422 pp.

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Il libro di Jean-Philippe Bouilloud costituisce un’interessante sperimentazione di ricostruzione storica delle scienze sociali. L’autore infatti ha potuto raccogliere e analizzare le testimonianze autobiografiche di venti sociologi francesi attivi a partire dalla fine degli anni cinquanta.

L’opera si inserisce nel solco di una ripresa degli studi sulla storia della disciplina in Francia che vede nell’opera di Lucie Tanguy (La sociologie du travail en France) e nella ricerca di Gwenaelle Rot e François Vatin (“L’enquête des Gaston ou les sociologues au travail”) un’apertura a strumenti di analisi quali la storiografia, la linguistica e la biografia.

Il risultato è un grande quadro dello sviluppo della sociologia del dopoguerra in Francia reso attraverso le traiettorie personali di coloro che ne furono gli attori principali. L’impiego dell’autobiografia si dimostra tanto più importante in quanto aiuta a capire come la disciplina, rinata nel corso degli anni cinquanta, si sia sviluppata in simbiosi con il percorso biografico di coloro che, riscoprendola e riplasmandola, l’avrebbero condotta al pieno sviluppo durante il ventennio 1946-1966.

Ne emerge una figura di sociologo autobiografo suo malgrado, il cui percorso di ricerca ha condizionato le scelte di vita. La messa a confronto delle diverse testimonianze tuttavia non ha l’intento di tracciare un profilo prototipico ma, al contrario, vuole evidenziare i tratti che ciascuna esperienza aggiunge al quadro d’insieme.

Come in un grande romanzo di formazione sono istituiti confronti e correlazioni tra le differenti origini famigliari, esaminati i trascorsi adolescenziali, indagato il ruolo dei genitori e quello dei maestri. Si ritrovano storie a dir poco drammatiche come quella di Robert Castel che, figlio di un manovratore di ponte del porto di Brest, perse entrambi i genitori durante la guerra e nonostante tutto sarebbe riuscito a conseguire il brevetto tecnologico per poi iscriversi all’università; o quella di Serge Moscovici, giunto in Francia in seguito alla diaspora ebraica dell’Europa dell’est come Michel Wievorka. Enriquez proviene da una famiglia agiata costretta a lasciare l’Algeria a seguito alla guerra, Touraine è un puro prodotto dell’élite repubblicana Liceo Louis-le-Grand-Ecole Normale Supérieure, mentre Bourdieu sbarca a Parigi proveniente dalla lontana Pau. I venti ricercatori hanno alle spalle storie diverse, ma ad accomunarli sembra essere il gusto per l’azione e per l’impegno come dimostra il conteggio delle parole chiave effettuato dal software Alceste secondo il quale i termini più ricorrenti sono fare, fatto, andare, sociale, lavoro quasi a testimonianza dell’ambizione di un uso della sociologia fortmente orientato verso la trasformazione dell’esistente.

I segni lasciati sulle vicende personali dai grandi eventi storici si sommano alle influenze di ideologie, il marxismo su tutte, e scienze come la psicanalisi, ma anche della religione. Quello che Bouillaud nota è come manchi una linearità e una coerenza nei percorsi di vita, il che lascia intendere come la costante ramificazione dei percorsi di vita assurga al ruolo di regola nel momento in cui si voglia analizzare la biografia di uno studioso. L’indagine, che parte con l’ambizione di fare la storia della disciplina, finisce così per essere una storia del divenire sociologi, in cui il racconto di sé è narrazione di una scienza personale.

Smontate e rimontate da Bouilloud, le autobiografie compongono un quadro fatto di esperienze di vita, scelte consapevoli e casuali, omissioni più o meno volontarie. L’autore mostra allora come la disciplina si sia sviluppata in maniera meno coerente di come la storiografia della sociologia l’abbia intesa rappresentare, e privilegia la lettura della costruzione del “momento disciplinare” come tappa di un processo di sviluppo delle scienze fatto di cristallizzazioni e decristallizzazioni in costante evoluzione. Quello che emerge è che il ruolo del soggetto in questo processo non è mai del tutto presente e allo stesso tempo mai del tutto assente, come se la sua capacità di incidere sulle scelte fosse intermittente. Solo dalla costatazione dell’impossibilità di prescindere dal ruolo della soggettività sarà così possibile, secondo Bouilloud, affrontare lo studio della sociologia quale scienza oggettiva.