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Egidio Ivetic, “Jugoslavia sognata. Lo jugoslavismo delle origini”

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Egidio Ivetic, “Jugoslavia sognata. Lo jugoslavismo delle origini”, Milano: FrancoAngeli, 2012, 230 pp.

Egidio Ivetic ha un obiettivo non semplice: introdurre il lettore nei processi di nation-building vissuti dai popoli slavi meridionali dal XIX secolo in poi nell'ambito dello jugoslavismo. In questa cornice multiforme, ebbe luogo una valorizzazione delle affinità etniche e linguistiche fra queste popolazioni, con obiettivi dapprima culturali e poi politici.

Lo jugoslavismo ha un punto in comune con altri processi di identificazione nazionale: ebbe inizio dalle élites, raggiungendo solo gradualmente fasce sociali più ampie. Allo stesso tempo, ha una sua grande peculiarità: gli esiti non felici. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia nel 1991, una serie di studi lo ha descritto come un'idea fallimentare. Nelle storiografie delle ex repubbliche jugoslave, secondo Ivetic, in questo periodo gli studi sono stati caratterizzati dalla ricerca di un senso storico nazionale scevro da qualsiasi jugoslavità, con l'affermazione di una sorta di «antimito jugoslavo».

Ivetic si propone di andare oltre questo «posticismo jugoslavo». L'itinerario è estremamente interessante. Si potrebbe presentarlo come il passaggio dal constatare che «quei popoli non potevano stare insieme» all'affermare «Ecco perché sono stati insieme». La piattaforma jugoslavista nelle sue peculiarità croate, serbe e slovene (l'ordine non è casuale) ha fatto parte dei processi di identificazione collettiva vissuti da questi popoli. Ad esempio, facilitò l'integrazione nazionale fra i differenti contesti regionali croati (Croazia-Slavonia, Dalmazia e infine Istria).

Serbi e sloveni approcciarono l'idea jugoslava in modi peculiari, nell'ambito di contesti e finalità non sovrapponibili. Ivetic li descrive in modo chiaro. Così come illumina su un dato di fatto innegabile: fino al 1914, lo jugoslavismo fu un'esperienza in larga parte circoscritta alle élites culturali e politiche croate (ecco il perché dell'ordine di elencazione da noi scelto sopra). Le scelte jugoslaviste, di fatto, consentirono a croati, serbi e sloveni di giungere ad una completa integrazione nazionale all'interno delle rispettive comunità. Non inganni lo status di indipendenza conseguito già nel 1878 dal Principato di Serbia: fu lo Stato jugoslavo, infatti, a consentire a Belgrado di compiere l'integrazione con i serbi della diaspora, fino ad allora sotto sovranità asburgica.

In Jugoslavia sognata, si dichiara l'insufficienza di un racconto dello jugoslavismo compiuto solo nell'ambito dell'esistenza dello Stato jugoslavo, dopo il 1918. Occorre andare alle origini di una storia «sorprendentemente lunga». Se ne comprenderà meglio la lunga gestazione prima del 1914, nella quale ebbe un ruolo chiave, ad esempio, il clero cattolico croato. Il movimento culturale e politico dell'illirismo (prima metà dell'Ottocento), ma non solo. La tesi di Jugoslavia sognata è che vadano studiate anche le fasi successive all'illirismo, così innervate di programmi politici e di orizzonti teorici da far parlare di tante “anime” dello jugoslavismo.

Fratellanza slava ed ispirazioni europee, teorie razziali e linguistiche, ipotesi federaliste nell'ambito asburgico (austroslavismo) e poi ipotesi unitariste totalmente fuori da esso, percorsi nazionali dei singoli popoli e nazionalismo jugoslavista multinazionale. Pragmatismo politico, poi la radicalità nella generazione di Gavrilo Princip. E inoltre gli influssi del liberalismo e del socialismo, le evoluzioni degli schieramenti politici territoriali, l'opera degli intellettuali e delle storiografie: la contraddizione e l'ambivalenza furono la cifra di questo «jugoslavismo delle origini».

Secondo Ivetic, si trattò di «un'unica base poliedrica dell'idea jugoslava». Nel 1918, con la nascita del primo stato jugoslavo (non ancora nel nome), l'utopia divenne realtà. Prima ancora, per Ivetic, fu il 1914 l'anno nel quale si passò dalla speranza all'azione. Si diceva all'inizio che questo volume contribuisce ad uno sforzo interpretativo non semplice. C'è un rischio che anche le narrazioni storiografiche non hanno sempre aggirato, quello di indulgere al determinismo delle visioni finalistiche, se non a facili luoghi comuni interpretativi. Lo mostrano in modo eloquente le storiografie jugoslave analizzate da Ivetic. Le “canonizzazioni” dello jugoslavismo ottocentesco prima, e poi in età socialista l'elaborazione di una dogmatica inevitabilità della Jugoslavia, fanno da contraltare alle interpretazioni fondate invece sull'ineluttabile fallimento dell'idea jugoslava. In entrambi i casi, l'analisi storiografica non ha saputo emanciparsi dai presupposti ideologici e dai contesti politici.

Rileggendo in profondità la pubblicistica dal 1835 in avanti e le differenti storiografie nell'ambito slavo meridionale, Ivetic vuole riaprire la discussione sulla genesi dell'idea jugoslava mantenendosi lontano da ogni teleologia positiva o negativa. Oggi, dichiara, lo jugoslavismo è «libero da ruoli ideologici». Ed è il momento più adeguato per storicizzarlo nuovamente.