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Guido Melis, “La macchina imperfetta”

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Guido Melis, “La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello stato fascista”, Bologna, Il Mulino, 2018, 624 pp.

La macchina imperfetta di Guido Melis è un libro importante, non solo perché condensa e riorganizza studi che l’a. sviluppa da anni, ma anche perché, rispetto a essi e al più ampio panorama storiografico sullo Stato italiano e le istituzioni durante il fascismo, fa un passo in avanti. Melis costruisce questo percorso senza clamore, al punto da evitare completamente di enunciare i suoi propositi nell’introduzione – che non c’è – e comincia immediatamente in medias res, con il primo capitolo: questo non significa però che non vi sia, nel testo, una tesi centrale e anche degli obiettivi polemici che a essa si accompagnano.

Il volume si compone di quattro capitoli, dedicati rispettivamente al governo, al partito, alle istituzioni e agli apparati di rappresentanza degli interessi all’interno dello Stato. Sono capitoli che in parte si intersecano tra loro e che trovano un elemento di unità nell’attenzione che Melis ha per la costruzione di una prosopografia di chi attraversa queste istituzioni, mostrandoci l’articolazione sociale, culturale, generazionale e geografica di funzionari e attori politici. Ne emerge un quadro in cui l’Italia provinciale prende le sue rivincite sull’Italia delle grandi città e in cui l’articolazione e l’equilibrio tra sud e nord non è dato una volta per tutte, ma varia a seconda che si guardi all’Italia attraverso gli uomini di governo o quelli del partito, attraverso le istituzioni o gli enti statali e parastatali.

Il libro di Melis analizza quindi chi sono i protagonisti in questi diversi ambiti dello Stato fascista, e come il fascismo modifica, dal punto di vista normativo, alcune di queste centralissime istituzioni dello Stato, tralasciando però per lo più l’amministrazione degli affari esteri. Melis ci mostra così l’emergere di una progressiva centralità e rafforzamento degli organi dirigenziali (al governo, come al partito, nelle istituzioni giuridiche come negli enti), con un affermarsi sempre più netto della figura di Mussolini non solo come arbitro, ma come vero asse politico dell’Italia fascista. Quest’analisi del profilo degli uomini e di come cambiano le norme e le leggi che presiedono il funzionamento delle diverse istituzioni porta continuamente a porre al centro delle domande dell’autore la questione della qualità della fascistizzazione delle procedure, delle istituzioni e delle norme. Un tema cui Melis risponde, sia pure con le diverse articolazioni che ciascun caso analizzato richiede, sempre allo stesso modo: la continuità prevale sulla discontinuità, il conformismo sulla reale adesione.

Questa domanda diventa l’elemento centrale del ragionamento del volume quando si arriva al capitolo sulle istituzioni, che insieme al capitolo sullo Stato e gli interessi costituisce il vero cuore della riflessione. Il capitolo sulle istituzioni comincia infatti chiedendo apertamente quanto fu fascista la legislazione avviata nel fascismo e affermando che di fatto l’unico disegno di fascistizzazione reale della legislazione fu quello avvenuto per opera di Rocco sul diritto penale, ma che anche in quel caso, malgrado l’impronta, fosse evidente una continuità autoritaria con gli istituti liberali piuttosto che una discontinuità. In questo capitolo in particolare, poi, gioca un ruolo importante l’autorappresentazione dei protagonisti, antifascisti in lotta con se stessi nel loro foro interiore, o fascisti che nel dopoguerra riescono a mantenere spazi più o meno ampi di potere nelle nuove istituzioni. L’a. ci mette saggiamente in guardia contro queste autorappresentazioni, ma non contribuisce completamente a disinnescarle, lasciando al lettore più di qualche dubbio sull’uso che se ne debba fare.

In ogni caso, il dato interpretativo che emerge su tutti è che il totalitarismo tanto sbandierato dall’ultima stagione della storiografia sul fascismo, in particolare da Emilio Gentile, sostanzialmente non ci sia. Non c’è dubbio che Melis fornisca molti elementi per sostenere questa tesi, malgrado rimanga sempre vera la suggestione di chi ricorda che totalitarismo perfetto, in natura, non se ne dà. Non si può però negare che ci sia stata, nell’ultima stagione di studi, un’enfasi molto forte sulla rappresentazione delle ideologie e dei progetti che ha sottratto attenzione ai rapporti e alla saldatura esistente tra i discorsi e le pratiche. Tuttavia, tolto il totalitarismo, qui sembra difficile anche vedere il fascismo, come funziona, quale impatto ha, che ruolo svolge nell’evoluzione italiana tra l’avvento al potere del fascismo e la sua disfatta. Quando infatti l’autore ci porta a valutare le discontinuità introdotte dal fascismo, egli ci mostra soprattutto un’impronta “insieme ambigua ma indelebile”, che accentua per esempio nella burocrazia “l’indole naturale all’obbedienza, all’acriticità, al conformismo spinto fino al servilismo”. Un fascismo insomma che incide, più che sulla struttura, sugli uomini nella loro interazione tra pubblico e privato. In generale, rimane sullo sfondo quindi il modo in cui le istituzioni, e gli uomini, interagiscono con il quadro storico-politico, ed è proprio questa scelta che lascia il lettore nelle mani di un fascismo che non è totalitario, ma è anche disincarnato da una serie di conflitti interni ed esterni che lo caratterizzarono. Certo, l’obiettivo del volume non è scrivere una storia del fascismo a tutto tondo, ma Melis non si limita neppure a fare solo una storia delle istituzioni in senso classico.

Malgrado quindi l’evidenza di aspetti di continuità – una continuità che è spesso autoritaria - con l’Italia liberale, e questo forse si potrebbe esplicitare meglio (ma probabilmente molto si potrebbe dire anche sulle continuità con l’Italia repubblicana), emergono nel filo del racconto momenti di trasformazione e snodi rilevanti, anche dal punto di vista legislativo e istituzionale, che forse avrebbero potuto essere valorizzati maggiormente. Uno di questi momenti è il 1923 – in contraddizione con chi non vede nella marcia su Roma un momento di svolta -; l’altro è il 1938. Tuttavia, la forza del 1938 come momento di cesura, a causa della legislazione antisemita e razzista è qui come lasciata da parte, isolata, marginalizzata alla fine dell’ultimo capitolo e non proposta – come invece ci sembra meriterebbe - nei quattro capitoli di cui si compone il volume, che, essendo tematici, avrebbero permesso di verificare come la svolta razzista incida nei diversi quadri proposti.

L’altro elemento più pienamente politico che emerge nel volume, e che forse, anche in questo caso, avrebbe potuto essere maggiormente approfondito è quello del modo in cui le istituzioni di cui si parla, tra tutte il partito e gli enti pubblici, diventano - particolarità del fascismo – luoghi di costruzione di un processo di inclusione degli italiani e strumenti della costruzione di un orizzonte di cittadinanza, sia pure in un contesto dittatoriale e autoritario. Un tema che forse ci avrebbe permesso di capire meglio la sostanza di cui si costruì la relazione tra il fascismo e gli italiani, e di capirne anche maggiormente l’impatto nella storia d’Italia.

In conclusione, il volume di Melis permette di mettere a fuoco elementi che nell’ultimo ventennio non sono stati centrali nell’elaborazione storiografica sul fascismo, e apre la strada a nuovi interrogativi e a una nuova agenda di ricerca che si ponga l’obiettivo di tenere finalmente insieme la politica propagandata e quella effettivamente realizzata, i discorsi e le pratiche, al fine di capire che cosa, per milioni di uomini e donne italiane, nelle loro articolazioni sociali, culturali e politiche, e nei diversi modi con cui il regime affrontò queste articolazioni, il fascismo fu davvero e quale eredità lasciò sull’Italia degli anni successivi. Perché di una cosa siamo sicuri: il fascismo, lo si definisca o meno totalitario, fu un regime violento, capace di imprimere cambiamenti rilevanti al paese e alle vite dei suoi abitanti, e di segnare per un lungo ventennio almeno – e forse più a lungo - il destino del paese e dell’intero continente.