Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Una questione d’impero: la stampa dell’Estado Novo di fronte alla guerra d’Etiopia

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Abstract

The Ethiopian war had a huge global impact: it challenged the international order established by the Versailles Peace Conference. It also brought into question the relationship between Italy and Portugal. A war in Africa could endanger the stability of Portuguese colonies. This article wants to deepen the impact of the Ethiopian war on the Portuguese press. The final aim is to understand to what extend the Estado Novo considered more important the maintenence of the Portuguese Empire than the ideological linkage with Mussolini’s Italy.

*La realizzazione di questo articolo è stata possibile grazie alla Fundação para a Ciência e a Tecnologia e al Fondo Sociale Europeo: progetto n. SFRH/BPD/107789/2015

Premessa

Il 9 maggio 2016 si sono celebrati gli ottanta anni dalla proclamazione «della riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma» [1]. Con la conquista dell’Etiopia, l’Italia fascista riscattava la disfatta di Adua del 1896, dando a Vittorio Emanuele III la carica di imperatore e a Mussolini la prima vittoria (una delle poche) sul campo di battaglia. Come ha giustamente sottolineato Nicola Labanca, la guerra d’Etiopia fu un evento globale che produsse un intenso dibattito, poiché rimise in discussione lo status quo coloniale stabilito dopo Versailles, ma, soprattutto, minò definitivamente la credibilità della Società delle Nazioni (SdN), già fortemente destabilizzata dall’uscita della Germania nell’ottobre del 1933 [Labanca 2015, 8-14].

Come ha sottolineato lo stesso autore furono «soprattutto le diplomazie delle potenze coloniali antifasciste» a criticare l’impresa mussoliniana [16]. Un intenso dibattito sull’azione italiana si produsse, però, anche nell’Estado Novo portoghese, considerato dallo stesso Mussolini uno dei più importanti esempi di penetrazione all’estero dell’idea fascista. Fin dalla marcia su Roma infatti, il fascismo aveva raccolto consensi in alcuni gruppi della destra lusitana [Albanese 2015, 161], i quali dopo il golpe del 28 maggio 1926, lo avevano scelto come modello per la costruzione del nuovo regime [Costa Pinto 1994, 48-51]. Se il primo a guardare all’Italia fu Rolão Preto, che durante l’Estado Novo avrebbe fondato un movimento, quello Nacional Sindacalista, fortemente critico con il Governo dittatoriale, tanto da essere messo fuorilegge nel 1934, fu António Oliveira Salazar a imporre la costruzione di uno Stato per molti versi simile all’Italia fascista.

Le differenze tra Rolão Preto e Salazar sono uno dei motivi per i quali da anni si dibatte sulla natura fascista dell’Estado Novo. Alcuni storici, infatti, hanno trovato una somiglianza tra quest’ultimo e il fascismo italiano esclusivamente nella costruzione dello Stato organico [Adinolfi 2007a, 233], altri hanno sottolineato la mancanza in Portogallo di una moderna organizzazione di massa, poiché il rapporto con il popolo era garantito da forme di inquadramento tradizionali come la Chiesa [Costa Pinto 1992, 27]. Diversi studiosi, però, hanno riscontrato proprio in questa vicinanza con la Chiesa un elemento caratterizzante per l’Estado Novo. Quest’ultimo viene infatti definito come una forma originale di «fascismo battezzato» [Braga da Cruz 1980, 306], che, al tempo di Salazar, Mircea Eliade presentava come “una forma cristiana di totalitarismo” [Eliade 2013]. In realtà, possiamo affermare che se Preto fu vicino al “fascismo movimento”, l’Estado Novo salazarista fu speculare al “fascismo regime”, come dimostrato dal processo di costruzione dello Stato corporativo [Serapiglia 2011, 226-227; Rosas 2012, 281-318]. Ai fini di questo saggio però appare importante sottolineare la posizione di Salazar rispetto al fascismo italiano, che, in qualche modo, poteva condizionare l’atteggiamento della stampa portoghese. Da un lato, infatti, il dittatore affermava che l’Estado Novo si avvicinava al fascismo nel contesto «del rafforzamento dell’autorità, nella guerra dichiarata a certi principi della democrazia, per il suo carattere accentuatamente nazionalista, per le sue preoccupazioni di ordine sociale». Dall’altro, ribadiva che, tuttavia, se ne discostava sia nel campo religioso, poiché la dittatura fascista tendeva a «un cesarismo pagano», sia per quanto riguarda le prerogative del capo. Quest’ultimo, infatti, in Italia, era privo di «limitazioni di natura giuridica», era «un meraviglioso opportunista dell’azione» e non esitava ad assumere sia in politica estera che in politica interna atteggiamenti spesso in contraddizione tra loro [Serapiglia 2014, 91]. In sintesi «da una parte, l’esperienza italiana veniva riconosciuta come modello empirico di riferimento, dall’altra emergevano delle sostanziali divergenze» [Pasetti 2015, 234]. Il fascismo italiano, comunque, rimaneva per l’Estado Novo un modello e i vari istituti di cultura italiani in Portogallo, ai quali si accennerà nelle prossime righe, contribuirono a generare in diversi ambienti della classe dirigente lusitana una grande ammirazione verso Mussolini e il suo regime. Ciò contribuì, almeno negli anni Trenta, alla costruzione di quello che è stato definito un «fascismo alla portoghese» tendente a una forma di totalitarismo [Torgal 2008, 249-288].

L’anno che sancì un deciso avvicinamento tra le due dittature fu il 1929: i Patti lateranensi, firmati l’11 febbraio, resero l’Italia un modello per gli Stati cattolici che avevano avuto una deriva autoritaria.

I buoni rapporti tra le due nazioni furono suggellati, qualche mese dopo, dall’arrivo in Portogallo di un gruppo di giovani camicie nere: l’11 settembre, giunse a Lisbona, a bordo del cacciatorpediniere Cesare Battisti, una delegazione di 1300 ragazzi dell’Opera nazionale balilla, che, partita da Genova, era stata ricevuta nelle città di Napoli, Cagliari, Barcellona e Gibilterra. Tra i membri della delegazione c’erano anche Vittorio e Bruno Mussolini [Sousa 2007, 19-20]. Tale presenza venne celebrata dai quotidiani lusitani, tra cui «O Século», uno dei giornali più autorevoli e diffusi durante l’intero arco della dittatura. Proprio sulle colonne di quest’ultimo, il 12 settembre, venne riportato un lungo resoconto dell’evento. All’arrivo nella capitale lusitana, sotto la guida del generale Umberto Chiappe, le formazioni dei balilla erano state passate in rassegna dal ministro plenipotenziario a Lisbona, Giuseppe Bastianini. Dopo tale incontro «era stato organizzato un corteo che, in un sentito omaggio al Portogallo, aveva condotto alla deposizione di una corona di alloro […] ai piedi del monumento dedicato a Luís de Camões» [2]. In quella stessa occasione, il generale Esteves, giunto per portare i saluti del Governo lusitano, affermò: «che il popolo italiano, per le sue doti di intelligenza e capacità di lavoro, continuava a essere ciò che era stato nel passato, ovvero il promotore della resurrezione della razza latina, alla quale i portoghesi erano orgogliosi di appartenere e per il prestigio della quale molto avevano fatto» [3]. Appare importante osservare come venisse sottolineata l’appartenenza a un comune ceppo culturale latino, che, implicitamente, significava anche una comune appartenenza politica. Come ha ben sottolineato Jorge Pais de Sousa, è ragionevole pensare che l’offerta di un libro d’onore per l’Istituto italiano di Coimbra, firmata da Mussolini a Roma il 18 settembre 1929, fosse anche una conseguenza di quel viaggio [Sousa 2007, 23].

Possiamo affermare, dunque, che la pace con la Chiesa cattolica mise il visto portoghese sul passaporto del fascismo italiano, consentendogli di essere esportato nel piccolo Stato iberico. La firma dei Patti lateranensi infatti aveva avuto un effetto positivo sull’opinione pubblica cattolica a livello mondiale consentendo a Mussolini di tornare sui propri passi e rivendicare apertamente le ambizioni internazionali del fascismo, per lo meno, nel campo di una sorta di egemonia culturale [Ivani 2008, 52]. In Portogallo, tale spirito universale fu propagandato soprattutto attraverso gli istituiti di cultura, più che tramite la stampa. Dal 1932, l’esecutivo di Roma sostenne un congruo numero di missioni tese a esportare il fascismo nel mondo, lavoro che fu agevolato nello Stato iberico da istituzioni come la Dante Alighieri [Cavarocchi 2010], l’Istituto italiano di cultura di Lisbona e, proprio, l’Istituto di studi italiani della facoltà di Lettere di Coimbra. Quest’ultimo, già nel 1925, aveva aperto al pubblico la Sala italiana, realizzata su iniziava del prof. Guido Vitaletti e diventata, in breve tempo, la sede di una vera e propria biblioteca fascista in Portogallo. La stessa costruzione dello Stato corporativo lusitano era in parte debitrice dell’esperienza mussoliniana, che venne studiata sul campo da esponenti dell’Estado Novo come António Castro Fernandes [Serapiglia 2006, 99-110].

Se dal punto di vista degli istituti di cultura ci fu una certa dinamicità nel propagandare il fascismo in Portogallo, non si può dire lo stesso rispetto alla stampa. Il Governo italiano, infatti, non fece mai un’opera di pressione sui giornali lusitani a fini propagandistici, mossa che col tempo si rivelò inefficace. In questo senso, appaiono illuminanti le parole che Renato Bova Scoppa, ministro plenipotenziario italiano a Lisbona tra il 1940 e il 1941, disse a Galeazzo Ciano nel dicembre del 1940, a pochi mesi dell’entrata del suo paese in guerra a fianco della Germania. Considerando il clima ostile che la stampa lusitana stava costruendo rispetto all’azione italiana, Scoppa sottolineava come l’Italia fosse bistrattata dai quotidiani lusitani, perché non investiva denaro nell’informazione all’estero, così come facevano le forze alleate [Salvadorini 2000, 69-70]. In realtà, l’atteggiamento benevolo dei giornali lusitani soprattutto nei confronti della Gran Bretagna è spiegabile anche per la presenza di forti e antichi legami tra Lisbona e Londra. Esse, infatti, erano unite da un’alleanza che da anni garantiva al Portogallo il mantenimento delle proprie colonie. Gran parte delle industrie lusitane, tra cui quelle del vinho do porto, inoltre, erano in mano a imprenditori britannici, che, almeno a giudicare dalle pubblicità presenti sui giornali, dovevano investire una notevole quantità di denaro sulla stampa locale. I rapporti con l’Italia, invece, erano soprattutto di matrice ideologica e culturale: l’accordo commerciale del 1934 tra i due stati era ben poca cosa rispetto a quelli stipulati con la Gran Bretagna [29-30]. A tal riguardo è bene sottolineare che, nonostante l’esistenza Secretariado da Propaganda Nacional (SPN), diretto a partire dal 1933, da António Ferro [Ramos do Ó 1999; Leal 1994], e incaricato del controllo delle linee editoriali della stampa, anche i giornali più vicini al regime spesso non seguivano le direttive dall’ente. Tutto ciò è suffragato dal fatto che, anni dopo, Ferro si sarebbe lamentato di non aver potuto agire efficacemente contro l’intolleranza di alcuni quotidiani agli indirizzi dell’SPN, poiché quest’ultimo non era dotato di strumenti giuridici, soprattutto coercitivi [Adinolfi, 2007b]. Durante la guerra di Etiopia, oggetto di questo studio, comunque, l’atteggiamento dei grandi quotidiani lusitani, seppur con sfumature differenti, appare in linea con l’atteggiamento del Governo salazarista in politica estera. Laddove si notavano divergenze di opinione rispetto all’azione dell’esecutivo, la censura agì tagliando parti o interi articoli. Bisogna affermare che il periodo che va dal 1934 al 1938 fu quello in cui l’attenzione governativa rispetto ai mezzi di comunicazione di massa fu più forte [Matos 2010]. Inoltre, studiando i tagli stessi della censura, è evidente come i giornali portoghesi non prendevano in considerazione le fonti italiane. Sia negli articoli pubblicati, sia in quelli censurati non appare nessun riferimento né ai comunicati dell’agenzia Stefani, né agli articoli editi dai maggiori quotidiani nostrani, tra cui il Corriere della Sera [Isnenghi 1979]. Eppure, i giornalisti italiani, che partirono per l’Etiopia furono 164 [Murialdi 1986, 137]. In questo senso, ci auguriamo che studi futuri approfondiscano quale sia stata la politica del regime mussoliniano rispetto alla divulgazione sulla stampa estera delle notizie provenienti dall’Italia. Tale esigenza è amplificata ulteriormente dal fatto che studiosi come Murialdi e Allotti [2012], che si sono occupati approfonditamente dello studio della stampa fascista con una rigorosa analisi delle fonti dell’archivio del Minculpop, a rigurado non hanno dato indicazioni.

Se con la guerra di Etiopia si creò un cortocircuito nelle relazioni culturali [Almeida de Carvalho Gori, 2017], i rapporti diplomatici tra i due Stati ne risentirono solo parzialmente. Benché la diplomazia lusitana fosse stata chiamata dallo storico alleato inglese a partecipare attivamente ai lavori del comitato incaricato dalla Società delle Nazioni di far rispettare l’applicazione delle sanzioni economiche, con la nomina di Augusto de Vasconcelos alla sua guida [Futscher Pereira 2012, 56], prima durante e dopo lo scoppio del conflitto, a Lisbona si cercò di mantenere rapporti cordiali con il Governo di Roma. Tale atteggiamento si riflesse sui giornali: attraverso la censura, infatti, il Governo salazarista cercò di veicolare ai lettori portoghesi un messaggio più critico verso la guerra che nei confronti del fascismo italiano.

Questo studio ci darà modo di comprendere, dunque, quali fossero gli effettivi legami tra il Portogallo e l’Italia durante la guerra di Etiopia, ma anche come il possesso delle colonie fosse centrale anche nell’Estado Novo. In questo senso sarà possibile capire come, più che le affinità ideologiche, fu la paura portoghese di perdere i propri possedimenti d’oltremare a pesare durante quei mesi sulle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Paradossalmente, il dibattito tra le due nazioni mette in luce una medesima tensione imperialista, che se per l’Italia mussoliniana si palesava attraverso l’intenzione di conquista, per il Portogallo salazarista metteva in risalto la volontà di mantenere inalterati i propri confini coloniali. A Lisbona come a Roma, infatti, il possesso di un impero era fondamentale per mantenere legata al regime l’opinione pubblica, ma era importante anche per il proprio mercato del lavoro, dal momento che grazie alle colonie era impiegata un’ampia schiera di militari, funzionari civili e personale religioso.

L’idea di impero sarebbe stata fondamentale per la tenuta dell’Estado Novo anche dopo il secondo conflitto mondiale, quando il processo di decolonizzazione acquisì un’intensa velocità. Esso, infatti, rappresentava una condicio sine qua non per la sua esistenza.

Non è un caso che la dittatura cadde nel 1974, proprio a causa della lunga guerra coloniale voluta da Salazar e proseguita da Caetano, quando il malessere diffuso tra le file dell’esercito portò alla rivoluzione dei garofani, conseguenza dell’insanabile frattura che si era prodotta tra la dittatura e l’opinione pubblica. Quest’ultima vedeva nel tentativo di mantenere le colonie più la causa della morte prematura di molti portoghesi, che il mezzo per mantenere inalterato “lo spazio vitale” della propria comunità immaginata.

La stampa lusitana e la guerra d’Etiopia. L’attitudine coloniale di Salazar

Se i rapporti tra l’Italia fascista e l’Estado Novo si raffreddarono irrimediabilmente con la partecipazione italiana al secondo conflitto mondiale, il primo momento di tensione tra i due Stati coincise con la guerra d’Etiopia. Durante quest’ultima, infatti, Mussolini cominciò a dimostrare un atteggiamento ostile alla Società delle Nazioni (SdN) [Duranti 2013]. Il Governo salazarista, invece, si schierò assieme a quello inglese nella difesa le prerogative societarie, pur cercando di mantenere con l’Italia fascista un rapporto cordiale. In realtà, in una primissima fase, la vicinanza ideologica con il regime mussoliniano aveva portato il ministero degli Esteri portoghese a pensare di sostenere l’impresa italiana.

Come è noto, nel giugno del 1935, il capo del dicastero sopracitato, Armindo Monteiro, chiese all’ambasciatore a Londra Rui Ulrich di capire se il Foreign Office avrebbe apprezzato un sostegno portoghese a Roma. Come era prevedibile, però, Ulrich diede una risposta negativa, sottolineando come la stessa opinione pubblica inglese non avrebbe compreso un’azione violenta tra due Stati della SdN. Inoltre, entrando in possesso dell’Etiopia, l’Italia avrebbe preso il controllo delle sorgenti del Nilo, arrivando a gestire i sistemi di irrigazione di Sudan ed Egitto, a quel tempo colonie inglesi [Aires Oliveira 2000, 134; Gomes Raposo 2003, 37-38]. Nel luglio dello stesso anno, Augusto de Castro, plenipotenziario portoghese a Bruxelles, parlò con Galeazzo Ciano della questione. Durante questo incontro, quest’ultimo avrebbe sottolineato che se l’Italia non avesse preso l’Etiopia, il grande Stato africano sarebbe stato oggetto delle mire giapponesi, mettendo in pericolo lo stesso equilibrio europeo. Parlando, poi, di una possibile ostilità della SdN, Ciano avrebbe ribadito come un atteggiamento sbagliato di quest’ultima avrebbe potuto costituirne la tomba [Gomes Raposo 2003, 50-51]. Tali umori vennero amplificati dalla stampa lusitana, la quale si schierò immediatamente non tanto contro l’intervento italiano, quanto per una risoluzione pacifica della questione.

L’atteggiamento portoghese era facilmente comprensibile, visto che, avulsa dalla politica continentale, la politica estera lusitana era tutta volta al mantenimento delle colonie, tra cui le più importanti erano quelle africane di Angola e Mozambico. Riferendosi della crisi italo-etiopica, in un’intervista pubblicata il 17 agosto 1935 sul più autorevole quotidiano lusitano, il «Diário de Notícias», il neoministro degli Esteri Armindo Monteiro affermava:

Noi nel mondo siamo essenzialmente una grande potenza africana. Questo fatto, soprattutto, determina la nostra posizione internazionale. Nulla di quello che accade in Africa ci può essere indifferente. Ciò basterebbe per farci seguire gli eventi in maniera inflessibile. C’è da sottolineare, comunque, che, con la fondazione della Società delle Nazioni, è stato inaugurato nel mondo un sistema di mutua garanzia e di sicurezza collettiva, al quale siamo legati. Tutto ciò che compete a quest’ultimo, quindi, ci compete. Non possiamo permettere che siano intaccati certi principi, senza, almeno, protestare. Ce ne sono alcuni per cui dobbiamo lottare fino alla fine. Da questi, infatti, possono dipendere gli interessi fondamentali della nazione [4].

Questa intervista avrebbe creato immediatamente un diffuso malcontento in Italia, tanto che il ministro plenipotenziario a Lisbona, Alberto Tuozzi, se ne sarebbe lamentato con Mussolini lo stesso 17 agosto, attraverso una lettera nella quale affermava che avrebbe incontrato Monteiro per presentargli le sue rimostranze e per chiedere al Portogallo un sostegno, seppur indiretto, all’azione italiana in Etiopia. Quest’ultima, infatti, secondo il diplomatico, non doveva essere considerata lesiva degli interessi portoghesi. Tuozzi proseguiva la missiva mettendo in risalto come l’atteggiamento portoghese fosse, però, riconducibile alla volontà di non indispettire lo storico alleato inglese [5]. Appare opportuno precisare che la diplomazia italiana ebbe sempre la percezione che la Gran Bretagna influenzasse in maniera decisiva la politica estera lusitana. Le imprese britanniche, infatti, ricoprivano un ruolo centrale per l’economia del piccolo Stato iberico, e la flotta di sua maestà era fondamentale per il collegamento tra Lisbona e i suoi territori d’oltremare. Per questo il Portogallo, almeno fino alla fine della I Repubblica, era considerato uno Stato totalmente dipendente dalla Gran Bretagna [Loff 1996, 161].

Tale visione non pareva essere mutata dopo la conclusione della Guerra di Etiopia. Il 10 dicembre del 1936, il nuovo plenipotenziario del ministero degli Esteri a Lisbona, Francesco Giorgio Mameli scriveva così a Ciano: «Gli inglesi posseggono in Portogallo la maggiore e migliore parte delle imprese commerciali, industriali e di trasporto. Posseggono ferrovie, telegrafi, telefoni. Tanto che l’Intelligence Service funziona molto bene». Mameli si spingeva a definire il Portogallo una «colonia inglese» poiché l’Inghilterra assicurava con la sua flotta commerciale, il collegamento e il commercio tra il Portogallo e le proprie colonie, oltre a garantirne la difesa [6].

Tale giudizio della diplomazia mussoliniana sulla dipendenza portoghese dalla Gran Bretagna era più o meno lo stesso durante il conflitto italo-etiope. In Italia, dunque, nell’autunno del 1935 si aveva la percezione che fosse lo stretto legame con la Gran Bretagna ad alimentate l’ostilità portoghese, almeno quella che sembrava filtrare attraverso i giornali lusitani più vicini al regime di Salazar. In realtà la stampa non metteva tanto sotto accusa l’azione italiana quanto la debolezza della SdN nel far rispettare l’ordine internazionale instaurato dopo la conferenza di pace di Versailles. Un giorno prima dell’inizio delle ostilità, il primo ottobre 1935, sempre sulle colonne del «Diário de Notícias», era apparso un articolo dell’editorialista J. Martin che criticava apertamente le posizioni di Mussolini. Quest’ultimo, infatti, aveva rivendicato il diritto dell’Italia a rispondere “all’aggressione” delle forze etiopi a un contingente di forze somale presso Ual-Ual. Il fulcro del ragionamento dell’editorialista era la comune appartenenza di Italia ed Etiopia alla SdN. Martin scriveva: «semplicemente si dimentica che un patto è un patto, è impossibile ridurre a semplice lotta tra due nazioni un conflitto esploso tra due membri della SdN. Il patto è stato creato con questo scopo, è tale garanzia che dà qualche utilità all’istituto di Ginevra». Nello stesso articolo, l’autore faceva riferimento a un articolo pubblicato nei giorni precedenti sul «Journal de Genéve», nel quale si affermava che l’Italia sarebbe potuta incorrere sia in sanzioni economiche che in sanzioni militari da parte della SdN [7].

Nello stesso numero del giornale, inoltre, veniva pubblicato un articolo che sembrava confermare le paure italiane circa l’influenza britannica sul Portogallo. Nello scritto, dall’efficace titolo: Il conflitto Italo-Etiope e la pace mondiale, si metteva in risalto come la Gran Bretagna spingesse per far rispettare i principi della Società delle Nazioni [8].

Con lo scoppio delle ostilità, il «Diário de Notícias» e gli altri quotidiani portoghesi, inaugurarono delle rubriche giornaliere riguardanti le operazioni militari. Questi articoli si basavano sulle notizie provenienti dalle agenzie di stampa inglesi, francesi e americane (Reuters, Havas, United Press), e non, come accennato in precedenza, sulle notizie divulgate dall’agenzia italiana Stefani. Tale circostanza risulta molto interessante, poiché, se è vero che esisteva un tradizionale legame tra i quotidiani portoghesi e le agenzie inglesi e francesi, è anche vero che, vista l’attiva diplomazia culturale tra Estado Novo e Italia fascista, sarebbe stato lecito aspettarsi una maggiore attenzione alle fonti di matrice italiana.

In realtà, la scelta di affidarsi alle fonti anglo-francesi sembra essere parte di un tentativo del regime salazarista di creare nell’opinione pubblica un fronte contrario alla guerra, in funzione, come vedremo più avanti, del sostegno alla propria politica estera. È necessario sottolineare, però, come in Italia si avesse la percezione che non tutti i giornali lusitani fossero contrari alla politica coloniale mussoliniana. Il 25 novembre 1935, dopo la decisione della SdN di applicare le sanzioni economiche contro l’Italia, il ministro Tuozzi scriveva a Mussolini: «questa stampa nella sua grande maggioranza continua non solo a essere favorevole alle sanzioni e alla politica di Ginevra ma spesso commenta ogni falsa notizia proveniente attraverso le agenzie da Addis Abeba». Tuozzi, però, sottolineava come ci fossero due giornali che continuavano a mantenere «un atteggiamento amichevole» [9]: il «Comércio do Porto» e «A Voz». È interessante notare soprattutto il riferimento a «A Voz». Leggendo le pagine del quotidiano diretto da Fernando de Souza, dedicate alla questione ci si rende conto che, se non vi si trovano attacchi frontali contro l’Italia mussoliniana, non si possono nemmeno riscontrare articoli in sostegno di quest’ultima.

L’indulgenza di Tuozzi verso «A Voz», ha una spiegazione ben precisa. Il quotidiano in questione era nato nel 1927 dalle ceneri de «A Época», un giornale monarchico che si ispirava ad «Action française» e che aveva cessato le pubblicazioni proprio in seguito alla condanna di Maurras e del suo movimento da parte di Pio XI nell’autunno il 29 dicembre del 1926 [Fattorini 2007, 24-28]. Tale vicenda aveva creato un serio conflitto tra il patriarcato di Lisbona e «A Época», accusato di sostenere le posizioni di «Action française». L’ostilità del patriarcato nei confronti del quotidiano, sempre diretto da Fernando de Souza, era un monito nei confronti del Governo instauratosi dopo il golpe del 28 maggio 1926: il Vaticano e la Chiesa portoghese non avrebbero tollerato nello Stato lusitano la costituzione di un regime ostile alla Chiesa, come sembrava essere, ancora nel 1926, quello mussoliniano. Effettivamente, «A Época» si identificava, oltre che con «Action française», anche con il fascismo italiano: fin dal 1922 questo quotidiano aveva seguito con interesse la parabola del movimento guidato da Mussolini, ospitando, peraltro, gli articoli di Rolão Preto, futuro capo del movimento Nacional Sindacalista [Costa Pinto 1994, 49], con la chiusura di «A Época» nel 1927 e la nascita di «A Voz» tale benevola attenzione nei confronti del regime mussoliniano non era scemata. La giustificazione dell’indulgenza concessa da Tuozzi verso questo quotidiano potrebbe trovarsi proprio in questo.

Essersi soffermati sulla genesi de «A Voz» è utile anche per sottolineare la funzione di «Action française» in Portogallo [Serapiglia 2008, 343-354]: di fatto, dagli studi condotti sulla formazione culturale dell’Estado Novo e dello stesso Salazar, emerge come il movimento di Maurras rappresentasse un importante punto di riferimento per il regime portoghese. Maurras intrattenne per anni un carteggio con Salazar, e quest’ultimo non mancò di rinnovare la sua ammirazione per il politico francese anche durante una delle sue celebri interviste concesse ad António Ferro. Tale rapporto rappresentò uno degli elementi che portarono parte dei gruppi della destra francese che aderirono alla Repubblica di Vichy, e che – come lo stesso Petain [Nolte 1966, 151] – erano stati vicini a Maurras, a guardare proprio al Portogallo come fonte d’ispirazione per la costruzione del nuovo Stato [Léonard 1996, 203; Pinto Janeiro 1998, 45].

Non è un caso che il 5 ottobre 1935 sulla prima pagina dello stesso «Diário de Notícias» apparisse un articolo dedicato alla posizione della Francia, che fino a quel momento non aveva aderito alle sanzioni contro l’Italia. Tale testo si basava su un articolo di Léon Daudet, pubblicato proprio su «Action française», nel quale Daudet scriveva: «Non vogliamo fare la guerra agli ordini dei nostri amici inglesi, su mandato della massoneria, per ordine della esecrabile Società delle Nazioni, che ha trasformato in minaccia di guerra europea una semplice guerra coloniale» [10]:l’intento del Governo portoghese, che controllava la stampa tramite la censura, era quello di non essere considerato solo una pedina nelle mani della Gran Bretagna. Effettivamente, nei giorni successivi, più volte, il ministro portoghese a Roma José Lobo D’Avila Lima cercò di far comprendere al capo di gabinetto di Mussolini, barone Pompeo Aloisi, come l’esecutivo di Lisbona avesse fatto pressione sui propri media affinché non palesassero un atteggiamento troppo aggressivo contro l’azione italiana in Etiopia [Salvadorini 2000, 15-17].

Nello stesso articolo emergeva come il Governo di Lisbona condividesse lo stesso timore dalla diplomazia francese che un atteggiamento troppo anti-italiano da parte di Francia, Inghilterra e dei suoi alleati avrebbe determinato un maggiore avvicinamento di Mussolini a Hitler. Come Mussolini aveva confidato all’allora primo ministro francese, Pierre Laval, infatti, l’ostilità anglofrancese all’annessione dell’Etiopia avrebbe portato necessariamente l’Italia tra le braccia della Germania [Milza 2005, 717].

Sottolineare questo passaggio è essenziale, poiché, più che l’annessione dell’Etiopia da parte dell’Italia, era la possibile rimodulazione del quadro delle alleanze tra gli Stati europei a spaventare il Governo portoghese. Ciò avrebbe messo in pericolo non solo la stabilità del vecchio continente, ma anche lo status quo delle colonie africane, tra cui quelle lusitane. A preoccupare, dunque, non era tanto la politica estera mussoliniana, quanto quella nazista che, come ha scritto Santoro, «aveva chiuso gli spazi di manovra all’Italia nell’aera danubiano-balcanica», dove il Governo Mussolini stava cercando di penetrare sul piano economico, portandolo, di conseguenza, a guardare all’Africa in ottica di conquista [Santoro 1991, 169; Rodogno 2003, 39-40]. Tale visione non è unanime tra gli storici, poiché, a Roma sapevano benissimo che nell’immediato la conquista dell’Etiopia, più che un successo economico avrebbe costituito un successo di immagine [Collotti 2000, 247-248], che avrebbe permesso all’Italia di «affiancarsi alle potenze “soddisfatte” d’Europa» a livello coloniale [Di Nolfo 2006, 190] [11]. La diplomazia lusitana, comunque, pensava che dietro le mire espansionistiche italiane in Etiopia vi fosse proprio un problema di tipo economico. In questo senso è interessante leggere il rapporto inviato dalla delegazione diplomatica lusitana a Parigi al ministro Monteiro proprio il 27 agosto 1935:

Esistono alcune ragioni di politica interna che spingono il sig. Mussolini alla guerra. La situazione economica e finanziaria dell’Italia è difficile; alcuni la considerano addirittura angusta. Allo Stato italiano mancano delle risorse, è giusto dire indispensabili, che non può richiedere in tempo di pace a una popolazione che cresce simultaneamente, secondo l’espressione pessimista di alcuni osservatori, in numero e miseria. In caso di guerra lo Stato potrà esigere tutto: nuove imposte, il cambio forzato, eroici sacrifici in campo finanziario come militare [12].

A Lisbona, però, si sapeva benissimo che in Africa «il confronto tra le grandi potenze rischiava di diventare immediatamente conflittuale» [13], mettendo in pericolo le colonie lusitane di Angola e Mozambico che rappresentavano la spina dorsale dell’impero portoghese.

L’Estado Novo e la paura di perdere le colonie africane

Il 24 gennaio del 1935 sul giornale italiano «L’Azione Coloniale», venne pubblicato un articolo in cui si leggeva: «in tutti i casi, non è ancora detto che la colonia portoghese dell’Angola, non possa, in un futuro, più o meno prossimo, diventare oggetto di colonizzazione europea» [14]. Non era, però, la prima volta che si parlava di presunte mire italiane su quel territorio. Durante la conferenza di Versailles si era vociferato di un possibile subentro dell’Italia nel controllo del grande Stato Africano, come aveva messo in risalto il giornale «Le Temps», in un articolo dal titolo I negoziati coloniali con l’Italia, nel quale non si escludeva una collaborazione tra Italia e Portogallo per lo sfruttamento delle risorse agricole angolane, prefigurando un futuro passaggio dell’Angola sotto il controllo di Roma [15].

L’articolo aveva provocato le vive reazioni della diplomazia portoghese che, attraverso J. A. de Bianchi, inviò una lettera di protesta allo stesso giornale, in cui si ribadiva che il Portogallo non sarebbe stato disponibile a cedere le proprie colonie e che gli accordi presi con l’Italia si limitano solamente a un aiuto di tipo economico per lo sviluppo dell’agricoltura [16].

L’equilibrio garantito dal trattato di Versailles, comunque, avrebbe tutelato le colonie portoghesi, di cui si ricominciò a parlare solo con la crisi abissina. Se nel gennaio del 1935, «L’Azione coloniale» aveva riportato l’articolo di cui abbiamo parlato, il 16 agosto 1935, sul quotidiano cattolico «Novidades», venivano pubblicate alcune righe di un articolo dell’ «Écho de Paris» in cui ci si chiedeva: «La guerra d’Abissinia sarà evitata con il costo della cessione delle colonie portoghesi?» [17]. Sul quotidiano legato al patriarcato di Lisbona, però, veniva ribadito come Angola e Mozambico facessero parte del territorio nazionale e come la situazione finanziaria lusitana, che «rappresentava un “modello” e un “esempio” per l’Europa intera», non rendesse necessaria la cessione delle colonie per una contropartita economica [18]. Già alcuni giorni prima, il 9 agosto, sempre sullo stesso giornale veniva sottolineata la funzione storico-religiosa della colonizzazione portoghese che aveva portato alla «civilizzazione» delle popolazioni indigene e veniva ribadito come l’azione finanziaria del Governo salazarista aveva ridato slancio al Banco di Angola [19].

A far paura, come abbiamo già accennato, non era tanto l’Italia quanto la Germania nazista. Benché sembrasse che Hitler avesse mire espansionistiche solo in Europa, alcuni circoli tedeschi legati al ministro dell’Economia del Reich, Hjalmar Schacht, volevano che la Germania ritornasse in possesso delle sue vecchie colonie africane [Aires Oliveira 1998, 134]. Per questo in Portogallo esisteva un timore diffuso che l’Inghilterra potesse usare Angola e Mozambico come merce di scambio con Hitler per non aprire un fronte di guerra in Europa e per non dover rinunciare a quella parte di colonie tedesche che la corona britannica aveva inglobato dopo la conferenza di Versailles. Queste preoccupazioni erano amplificate dal fatto che la Germania avanzava pretese soprattutto sull’Angola fin dal XIX secolo [Telo 1998, 135].

A Lisbona si temeva che la guerra in Etiopia portasse al coinvolgimento diretto della Gran Bretagna, i cui possedimenti africani (Sudan, Eritrea Inglese, Kenya) confinavano con quelli italiani. Ciò avrebbe portato a una concentrazione di navi inglesi nel Mediterraneo e sulle coste delle stesse colonie britanniche, rendendo più vulnerabili quelle lusitane. Queste ultime, infatti, perdendo l’ausilio della flotta inglese in chiave commerciale e difensiva, sarebbero potute diventare una facile preda per la Germania nazista.

Per tali motivi era fondamentale non tanto che l’Italia non conquistasse l’Etiopia, quanto che le potenze europee non entrassero in conflitto tra loro: anche per questo Salazar era stato un sostenitore di un’iniziativa diplomatica di cui si era fatto promotore Mussolini: Il Patto a Quattro [Alexandre 2006, 92-95]. Tale trattato impegnava alla non belligeranza Francia, Italia, Gran Bretagna e Germania [Giordano 2000, 173-174], le uniche nazioni che potevano rimescolare le pedine sullo scacchiere africano. Nella quarta intervista concessa ad António Ferro nel 1932 Salazar dimostrava delle notevoli aspettative su questo accordo [Serapiglia 2014, 162].

Salazar infatti non nutriva grande fiducia nei confronti della Società delle Nazioni, la quale, però, nel 1935, fallito il Patto a Quattro, alla vigilia della guerra d’Etiopia, rappresentava l’unico spazio dove potessero essere risolti in maniera pacifica i contenziosi tra le potenze mondiali. Per questo, ancora nel settembre di quell’anno, il dittatore portoghese sperava che in seno alla SdN si raggiungesse una soluzione pacifica della questione abissina. Il 20 settembre, tutti i giornali pubblicavano una sua nota, che recitava:

Stiamo a Ginevra con le mani pulite e il cuore puro. Ci staremo finché la Società delle Nazioni saprà garantire la pace senza pregiudicare la difesa e, finché, i suoi metodi d’azione saranno capaci di caratterizzare il suo spirito senza ambiguità […] Ginevra è, fondamentalmente, il centro della politica europea, soprattutto della politica europea continentale, con alcune ripercussioni e noi speriamo siano poche sulla politica africana [20] [Salazar 1937, 79].

Il primo ministro lusitano aggiungeva: «A chi mi chiede se ho fiducia nell’Inghilterra e nell’alleanza inglese, rispondo francamente e sinceramente di sì: perché […] la comunione degli interessi portoghesi e britannici è talmente evidente che sia lì che qui si imporrà per molto tempo agli uomini di governo» [Salazar 1937, 81]. Rispetto a Italia e Germania, però, sottolineava:

Si è fatto un gran baccano a proposito del Patto a Quattro e più recentemente dei negoziati proposti da Ribbentrop a Londra: nella prima circostanza l’Italia, nella seconda la Germania si ponevano il problema delle colonie portoghesi. Il signor Mussolini ha dichiarato alla fine di non avere nessuna pretesa sulle colonie, gli interessi e i diritti portoghesi. Da Londra, il Governo inglese ha fatto sapere che non si è discusso per nulla delle colonie portoghesi [Salazar 1937, 82-83].

Il pensiero del primo ministro portoghese si rifletteva inevitabilmente sulla stampa locale. Qualche settimana prima della nota di Salazar, il 27 agosto 1935, era apparso su «O Século» un articolo nel quale era scritto che la guerra era inevitabile, ma che ci si augurava che finisse in tempi brevi e soprattutto fosse circoscritta in un area limitata, poiché altrimenti avrebbe potuto creare un effetto domino che avrebbe condotto a un’altra guerra mondiale [21].

Almeno fino all’inizio delle ostilità, dunque, non possiamo parlare di un atteggiamento anti-italiano da parte dei grandi quotidiani portoghesi, quanto di una contrarietà strategica alla guerra. Ciò ci viene dimostrato anche dal volume A Etiópia e os portugueses di Salvador Saboya e Tomé Vieira pubblicato proprio della casa editrice O Século nel 1935. Dopo una breve introduzione sulla storia del grande Stato africano, gli autori raccontavano come, fin dal Medioevo, il Portogallo fosse stato la prima nazione europea a intraprendere una missione civilizzatrice, religiosa ed economica in Etiopia [Saboya e Vieira 1935, 5-115]. Nell’appendice al testo, invece, venivano esaminate le origini e le cause del conflitto italo-etiope. In essa, l’atteggiamento dell’Italia fascista era giustificato: secondo Saboya e Vieira questo era il frutto delle continue violazioni da parte dell’Etiopia degli accordi con l’Italia, tra cui quello del 1928. In base a tale accordo, il Governo etiope concedeva ad alcune imprese italiane il diritto di costruire una ferrovia tra l’Eritrea e la Somalia e una strada tra Addis-Abeba e il porto franco di Assab in cambio dell’uso di quest’ultimo. Proprio il mancato rispetto di questo patto, secondo gli autori, era all’origine della preparazione della guerra di etiopia [Saboya e Vieira 1935, 126]. Inoltre veniva sottolineato come alcuni territori etiopi erano stati occupati dagli italiani da molto tempo senza che il Governo del negus protestasse [Saboya e Vieira 1935, 128-129].

Questo scritto appare interessante perché ci induce a suffragare l’ipotesi che in Portogallo si tollerasse un’eventuale rettifica dei confini etiopi a favore dell’Italia, pur di preservare la pace, ma appare anche interessante, poiché in esso si sottolinevaa l’importanza che aveva avuto il Portogallo per l’evangelizzazione dei territori africani compresa l’Etiopia. Durante l’Estado Novo, infatti, per giustificare il mantenimento dell’Impero veniva usata anche la questione religiosa: l’impero portoghese era fondamentale nel contesto della cattolicizzazione dell’Africa.

Per questo la Chiesa lusitana si era schierata immediatamente contro un eventuale conflitto e, dopo lo scoppio della guerra, per la conclusione immediata delle ostilità. Tali posizioni riflettevano quelle del Vaticano. Come altri politici europei, Pio XI temeva che un avvicinamento dell’Italia alla Germania avrebbe potuto avere delle ripercussioni negative sulle missioni cattoliche in Africa [Ceci 2010, 5], e che quelle presenti nei territori portoghesi potessero finite in mani tedesche. Su «Novidades», il 3 settembre del 1935, vennero pubblicati due articoli, uno dal titolo La pazzia della guerra, l’altro: Il Santo padre condanna tutta la guerra ingiusta e benedice coloro i quali cercano con tutti i mezzi di salvare la pace tra uomini. Nel primo articolo veniva citato lord Robert Cecil. Quest’ultimo affermava: «il conflitto tra Italia e Etiopia non è un semplice conflitto di fronte al quale gli altri popoli possono rimanere indifferenti. Il conflitto tra i due contendenti può portare a una guerra europea, e, forse, a una guerra mondiale di proporzioni tanto terribili e gigantesche che in esse si giocherà la sorte di tutta la civiltà». Cecil, inoltre, sottolineava come erano stati infranti tutti i principi di diritto e solidarietà internazionale [22]. Il secondo articolo riportava la cronaca di un incontro tra il santo padre e 2000 infermieri cattolici rappresentanti di 27 nazioni. Durante questa riunione, il papa, soppesando le ragioni dei due contendenti, nel dibattito tra aggressione e legittima idea di espansione per il bene del popolo, avrebbe affermato: «Non possiamo non desiderare che tutte queste difficoltà siano superate con altri mezzi rispetto alla guerra». L’articolo si concludeva così: «Queste parole tanto alte, tanto luminose e commoventi penetrano nello spirito e nel cuore di tutti» [23]. Il giorno seguente, riprendendo questo articolo «Novidades» pubblicava un pezzo dal titolo La follia della guerra, nel quale veniva sottolineato come alcune agenzie di stampa avevano omesso le parole del papa e, citando «l’Osservatore Romano» veniva rimarcato: «La parola del papa è chiara. La necessità d’espansione non è in se stessa un diritto; è un fatto di cui tenere in conto, ma che non è identificabile con il diritto. La difesa, al contrario, è un diritto, ma il suo esercizio non esclude colpe se non si osservano certi limiti e certe moderazioni» [24]. Con lo scoppio del conflitto la Chiesa cercò di aprire dei canali che portassero alla fine repentina della guerra, anche in senso favorevole per Mussolini. Pedro Aires de Oliveira ci racconta come Monsignor Ciriaci, nunzio apostolico a Lisbona, avesse chiesto a nome del papa a Monteiro di intercedere a favore dell’Italia a Ginevra, sottoscrivendo la richiesta di pace di quest’ultima [Aires Oliveira 2000, 142], ma anche come tale invito fosse stato declinato dallo stesso ministro degli esteri lusitano. Monteiro non poteva rispondere altrimenti, essendo stata chiamata la diplomazia portoghese a esercitare un importante ruolo di mediazione in seno alla Società delle Nazioni tra l’Italia e gli Stati che si erano schierati contro il conflitto.

Alla ricerca di un difficile equilibrio internazionale

Poche settimane prima dell’inizio delle ostilità proprio Monteiro era stato invitato a presiedere la commissione, formata da delegati di Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Danimarca, Polonia e Cile, che doveva valutare chi tra Italia ed Etiopia, fosse responsabile dello scoppio del conflitto [Milza 2005, 717].

Monteiro aveva accettato quell’incarico dopo essere stato sollecitato dal suo omologo britannico, Anthony Eden, il quale voleva che tale organismo fosse diretto da un presidente “amico” dell’Inghilterra, ma che non fosse considerato “nemico” dagli italiani.

Tale commissione, comunque, il giorno successivo all’inizio della guerra ascrisse all’Italia la responsabilità dello scoppio delle ostilità, decisione che fu ampiamente commentata dai quotidiani portoghesi che come il «Diário de Notícias» si soffermarono sul ruolo rivestito nella circostanza proprio da Monteiro [25].

Poche settimane dopo la nomina di quest’ultimo, toccò al delegato lusitano presso la SdN, Augusto de Vasconcelos, di presiedere la sottocommissione del comitato incaricata di far rispettare le sanzioni contro l’Italia [Rosas, de Barros, Aires Oliveira 1996, 17-18].

Sebbene a giudicare da queste nomine potesse sembrare che il Portogallo fosse una pedina nelle mani della Gran Bretagna, leggendo i giornali lusitani di quei giorni si ha un’altra percezione. A essere elogiata era infatti la posizione della Francia [Di Nolfo 2006, 194-197] che sembrava interpretare meglio le paure del Governo di Lisbona e sui quotidiani portoghesi veniva messo in risalto come Parigi fosse in bilico tra Roma e Londra.

Il 9 ottobre, Armando Boaventura scriveva sul «Diário de Notícias» che il Governo francese guidato da Laval era obbligato a mantenere una posizione di vicinanza all’Inghilterra, ma non contraria all’Italia proprio a causa del pericolo che quest’ultima finisse tra le braccia della Germania. Non mancavano comunque le critiche a Mussolini. Scriveva Boaventura: «Mussolini comprenda le sue tremende responsabilità, in questo funesto conflitto che ha scatenato, che ha compromesso più che il fascismo la pace europea e l’integrità nazionale di molti popoli» [26].

Il 10 ottobre, comunque, sullo stesso quotidiano veniva messo in risalto come il capo del fascismo non volesse mettere in pericolo gli interessi inglesi in Africa [27], che, implicitamente, riguardavano anche quelli lusitani. Molti degli articoli pubblicati sull’argomento nell’autunno del ’35 cercavano quasi di mettere d’accordo le posizioni inglesi con quelle italiane. In questo senso appare significativo il corsivo firmato da Vasco Borges, pubblicato sempre sul «Diário de Notícias» il 3 ottobre dal titolo Imparcialidade. Borges tentava di spiegare le motivazioni storiche dell’occupazione dell’Italia, che, comunque, secondo l’autore, nella sua opera coloniale aveva sempre avuto l’avallo della Gran Bretagna, la quale, precedentemente, aveva avuto in mano le sorti dell’Etiopia, preferendole però le Indie. In questo senso, la frase finale del pezzo risulta decisamente significativa: «Maggiore della forza morale creata in Italia dal genio di Mussolini è la forza morale dell’Inghilterra, perché questa risulta dalla stessa tradizione di un popolo che attraverso i secoli è stato sempre uguale a se stesso» [28]. Al centro dei ragionamenti degli articoli pubblicati sul grande quotidiano lusitano, però, rimaneva la preoccupazione che la Germania riuscisse a spostare l’Italia nel proprio campo, allontanandola dalla Francia e di conseguenza dalla Gran Bretagna. I francesi, infatti, avrebbero sicuramente supportato l’attitudine inglese alla difesa dei dettami della SdN [29].

Nei giorni successivi all’inizio dell’applicazione delle sanzioni economiche, sulla stampa lusitana cominciò a trapelare un certo sentimento anti-italiano. Se i giornalisti portoghesi difendevano i principi della SdN, esaltavano anche la difesa etiope. Il 15 ottobre, per esempio, si parlava della presa di Axum da parte italiana, asserendo che era stata ottenuta solo dopo “un’eroica resistenza” da parte etiope. Lo stesso giorno «Diário de Notícias» riportava un fondo nel quale veniva esaltato il ruolo di Armido Monteiro nella commissione che doveva decidere su chi fosse il responsabile della guerra. Monteiro affermava: «Io amo l’Italia ed è stato per me doloroso costatare e affermare che non avesse ragione. Ma devo servire la verità. Era questo il mio dovere e non mi potevo esimere» [30]. Proprio in un’intervista concessa allo stesso giornale il ministro degli Esteri lusitano sottolineava come grazie al Portogallo aveva imparato che “le guerre di conquista” sarebbero state condannate da quel momento e anche in futuro [31]. Comunque, si sperava sempre in una repentina risoluzione del conflitto. Molte aspettative erano riposte in Laval che stava cercando di porre fine quanto prima alla guerra [Duroselle 1998, 181-183], come messo in risalto sulla prima pagina del «Diário de Notícias» del 19 ottobre 1935 [32].

Lo stesso giorno venivano pubblicati un appello alla pace e un richiamo alla Francia anche dal «Diário da Manhã», l’organo dell’União Nacional, il partito unico dell’Estado Novo. In esso veniva citato un articolo scritto da Wladimir d’Ormesson, uscito qualche giorno prima su «Le Figaro» in cui si faceva un forte appello alla pace, secondo d’Ormesson, fortemente desiderata a Parigi come a Roma [33].

Tale posizione veniva così commentata:

In queste parole c’è un eccellente dottrina, verità e buon senso. Dappertutto si sta facendo pubblicità alla guerra seguendo le pulsioni, anche in Portogallo. Dappertutto, i feroci pacifisti si stanno trasformando in feroci bellicisti. Alcuni si schierano su mandato dei settori massonici, liberali o comunisti; altri per reazione a questi, altri ancora, per incoscienza, tutti intossicati dal veleno del parzialismo ideologico della propaganda tendenziosa e odiosa. Il pericolo della guerra sta soprattutto, come osserva giustamente d’Ormesson, proprio in questa propaganda al servizio delle pulsioni [34].

Effettivamente anche in Portogallo si aveva il timore che la guerra avrebbe potuto destabilizzare il rapporto che si stava costruendo tra le masse e il Governo estadonovista, tanto da mettere in pericolo la tenuta di quest’ultimo; perciò era opportuno esaltare la pace, sottolineando come contro quest’ultima fossero impegnati soprattutto quei gruppi che, in Portogallo, costituivano il fronte antisalazarista (liberali, massoni, comunisti…), ma senza che la stampa calcasse troppo la mano contro Mussolini e il suo regime. Il 21 ottobre, Urbano Rodrigues, in un articolo sulla posizione del duce, affermava: «È triste che i nervosismi e la precipitazione dell’Italia, ci portino in una posizione di ostilità rispetto a una nazione latina, con la quale manteniamo relazioni spesso intime e fruttuose. Sono certo che la stessa Inghilterra sostiene con tristezza la sua irremovibile posizione, anche per il fatto che il suo popolo sceglie sempre l’Italia per le vacanze» [35]. Rodrigues faceva dunque riferimento alla “latinità” italiana: peculiarità comune al Portogallo ed elemento che differenziava l’Estado Novo e il fascismo italiano dal nazismo, ma che di fatto avvicinava i due paesi del sud Europa anche alla Francia. Nello stesso articolo, Rodrigues tornava anche a parlare della tenuta dei territori lusitani d’oltremare, riportando una frase che Mussolini aveva proferito al ministro portoghese in Italia D’Avila Lima: «È necessario non conoscere i portoghesi per pensare che qualcuno possa prendere facilmente le loro colonie» [36].

Come si può evincere la paura della perdita delle colonie era strettamente connessa all’incapacità della Società delle Nazioni di evitare la guerra. Durante un discorso pronunciato il 20 febbraio 1936 di fronte ai deputati portoghesi, Salazar si diceva “preoccupato” per la guerra italo-etiope, asserendo che la SdN aveva svolto un ruolo «non totalmente efficiente» rispetto alla vicenda e denunciando, di fatto, la vulnerabilità di Ginevra nei confronti delle grandi questioni internazionali [Salazar 1937, 114-118].

Per tutto il periodo della guerra d’Etiopia, comunque, si ebbe la percezione che i maggiori quotidiani lusitani fossero schierati contro l’azione italiana in Etiopia. Furono pubblicati, infatti, alcuni articoli dedicati agli attacchi alla croce rossa da parte dell’aviazione italiana, sovente si alludeva al malcontento sociale che serpeggiava in Italia, ma, soprattutto, si metteva in risalto l’uso da parte italiana di armi proibite [Del Boca 2007; Belladonna 2015, 71-140]. L’8 aprile 1936, il «Diário de Notícias» riportava la notizia di come Eden avesse richiesto informazioni sull’uso da parte dell’esercito di Mussolini di gas asfissianti [37]. Il giorno successivo, invece, in prima pagina si accusava l’Italia di aver infranto le leggi di guerra, per aver inviato in Abissinia di circa 200 tonnellate di gas asfissiante, almeno secondo la Hevans e l’United Press [38].

Le proteste italiane e i tagli della censura

L’atteggiamento dei media lusitani fin dall’inizio era stato duramente criticato dal ministro italiano a Lisbona Alberto Tuozzi, che “aveva inondato” il ministero degli Esteri portoghese di proteste contro questo comportamento [Aires Oliveira 2000, 103]. Tuozzi se ne era lamentato anche con lo stesso Monteiro, subito dopo la nomina di de Vasconcelos alla presidenza della sottocommissione che doveva valutare la regolare applicazione delle sanzioni contro l’Italia. Così scriveva il ministro plenipotenziario al duce: «Egli mi ha dichiarato che il Governo, anche in seguito ai ripetuti interventi di questa R. Legazione, ha dato alla censura ordini tassativi (infatti da qualche tempo la stampa si mostra meno contraria), e che egli aveva esplicato a Ginevra ogni opera in nostro favore nei limiti consentiti dagli impegni societari e della alleanza» [39].

Aloisi, invece, si era lamentato con D’Avila Lima, per la condotta anti-italiana italiana tenuta da Radio Lisbona, che comunque, secondo il ministro portoghese, aveva portato alla rimozione del direttore dell’emittente (notizia poi rivelatasi falsa) [Salvadorini 2000, 15].

Il 13 dicembre del 1935, il «Diário de Notícias» aveva pubblicato una nota ufficiosa del ministero degli Esteri che rimarcava quale rapporto di amicizia legava il popolo italiano a quello portoghese, ma anche come il Governo lusitano doveva rispettare gli impegni assunti in seno alla Società delle nazioni [40]. Come aveva raccontato Monteiro a Tuozzi, però, il Governo lusitano cercò realmente di mitigare le critiche della stampa contro l’azione italiana in Etiopia attraverso la censura [Azevedo 1999].

In questo senso appare scorretta l’interpretazione di Isabel Forte, la quale, nel suo A censura de Salazar no Jornal de Notícias, afferma che la censura cominciò realmente a svilupparsi in concomitanza con l’inizio della Guerra di Spagna [Forte 2000, 46]. Analizzando i tagli operati dall’ufficio di censura negli anni Trenta, possiamo affermare che fu con la Guerra di Etiopia che il regime salazarista strinse le maglie della libertà di informazione. Possiamo renderci conto di ciò sfogliando soprattutto i documenti d’archivio dedicati ai tagli che vennero operati sugli articoli del giornale «O Século», all’epoca il quotidiano più letto in Portogallo.


Il quadro che appare analizzando questi documenti ci porta a comprendere che, nonostante i rapporti tra l’Estado Novo e l’Italia durante le ostilità si fossero effettivamente raffreddati, rimaneva comunque una certa cautela da parte del regime salazarista nell’attaccare frontalmente il regime mussoliniano. Venivano infatti tagliati sia i reportage relativi alle azioni più cruente dell’esercito italiano in Etiopia, sia gli articoli dedicati alle difficoltà Mussolini e del suo regime: sarebbe stato inopportuno attaccare uno Stato che fino a pochi mesi prima veniva considerato fonte d’ispirazione per il Portogallo e soprattutto, sarebbe stato controproducente per il regime salazarista sottolineare come la questione coloniale potesse mettere in crisi un leader e un Governo fino ad allora descritti come solidi, come peraltro volevano autorappresentarsi anche l’Estado Novo e la sua classe dirigente.

Su «O Século» del 20 ottobre 1935, per esempio, non apparirà mai un articolo dal titolo Especial por O Século secondo il quale Mussolini, a causa della Guerra in Etiopia, rischiava la presidenza del Governo. Nel dattiloscritto si leggeva: «La situazione di Mussolini è molto precaria. Se la guerra continuerà ci sarà un cambio di Governo. La salute economica e finanziaria italiana è in cattivissime condizioni». Nell’articolo veniva poi affermato: «La guerra d’Africa è contraria agli interessi e ai sentimenti dell’immensa maggioranza degli italiani» [41]. Nello stesso pezzo si faceva riferimento ai timori dell’ambasciatore inglese in Portogallo, secondo il quale la guerra di Abissinia avrebbe potuto provocare un intervento inglese, che, come più volte ribadito, avrebbe potuto mettere in pericolo le colonie africane lusitane.

Dallo stesso numero veniva anche cancellato l’articolo firmato da J. Benatti, La Miseria e il terrore che campeggiano in tutta Italia, nel quale venivano sottolineati i rischi a cui andava incontro il duce: «Il sr. Laval lavora per conciliare l’Inghilterra con Mussolini; ma se la guerra d’Africa continua la rivoluzione – non una esplosiva rivoluzione comunista, ma una mutazione prudente e dignitosa del Governo del sr. Mussolini, operata dai migliori figli d’Italia – sarà fatale» [42]. Il 28 ottobre veniva un articolo riguardante i massacri perpetrati da parte dell’esercito italiano ai danni della popolazione etiope. In particolare nel pezzo si riportavano le notizie inviate da Rusuf, corrispondente presso le forze italiane dei giornali «Milied» di Istambul e “Grand Paranny” di Lodz. Il giorno successivo veniva invece tagliata una parte di un articolo a firma Gantes dedicato alla presa di Adua da parte degli italiani. In queste righe si faceva riferimento al comportamento degli Ascari, i mercenari eritrei agli ordini del generale Graziani: con toni razzisti si insisteva sull’atteggiamento particolarmente crudele di questi: «Distaccamenti di Ascari chiudono i conti con gli abitanti di queste case. Massacrano, buttando fuori le donne e i bambini, cercando il cuore con le baionette. E gli Ascari ridono con un riso orribile stupido, un riso da negro. La città in rovina, si difende ancora» [43]. Lo stesso giorno veniva eliminato un articolo firmato da James Mexford nel quale si affermava che Giorgio V aveva consigliato a Vittorio Emanuele III di destituire Mussolini. Il 10 dicembre veniva impedita la pubblicazione di un articolo dedicato a un discorso di Mussolini, nel quale vi erano riferimenti a possibili azioni di forza contro la Francia. In una nota a margine di questo taglio operato dalla censura si consigliava una maggiore cautela su notizie di questo tipo [44]. Più di un mese dopo veniva anche cancellato un riferimento alle diserzioni tra le fila dell’esercito guidato da Rodolfo Graziani [45].

Ovviamente non fu solo «O Século» a subire i tagli della censura, visto che più o meno tutti i quotidiani furono soggetti allo stesso trattamento. Per esempio il 5 febbraio 1936, vennero tagliate dal «Jornal de Notícias» alcune notizie brevi, nelle quali si faceva riferimento a un intervento durante il quale Mussolini aveva minacciato che sarebbe potuta scoppiare una guerra globale a causa delle sanzioni economiche inflitte all’Italia [46]. L’articolo concludeva: «Bene se tutto ciò è volto a mettere paura al mondo, non mi sembra che il mondo vada in ginocchio per queste parole dissennate. Il Kaiser diceva le stesse cose prima del 1914 e perse la partita e il trono. Il signor Mussolini potrà non perdere il trono ma potrà portare qualcuno a perderlo» [47].

In Portogallo, dunque, si aveva paura che un accanimento contro l’Italia potesse portare a una guerra globale. Per questo come ci ricorda Aires de Oliveira, Monteiro si oppose all’allargamento da parte portoghese alle sanzioni ai combustibili, ma soprattutto fu favorevole, insieme a Eden, a non prolungarle dopo la fine della guerra. Tale comportamento da parte anglo-lusitana era dettato dal fatto che, dopo la rimilitarizzazione della Renania, un’Italia troppo vicina alla Germania e ostile a Inghilterra e Francia, avrebbe potuto pregiudicare gravemente la pace in Europa [Aires Oliveira 2000, 104-106]. In questo senso era stato premonitore Winston Churchill, il quale, il 24 ottobre 1935, riferendosi al riarmo della Germania, aveva dichiarato di fronte alla Camera dei comuni: «in comparazione con queste cose la guerra tra Italia e Abissinia è poca cosa» [48]. Effettivamente, con il passare del tempo il problema centrale sulla stampa divenne la rimilitarizzazione della Renania da parte della Germania.

Il 6 maggio sul «Diário de Notícias» si commentata la presa di Addis-Abeba, evidenziando nel sottotitolo degli articoli legati all’evento: L’Etiopia è degli Italiani [49], mentre il 10 veniva riportata la notizia della proclamazione dell’Impero e del suo immediato riconoscimento da parte tedesca, sottolineando come Hitler avesse approvato l’annessione dell’Etiopia anche per il silenzio di Mussolini sulla rimilitarizzazione della Renania il 7 marzo [50]. In tutti questi articoli rimaneva centrale il fallimento della SdN, tanto che il 9 maggio, sempre sul «Diário de Notícias» era scritto in tono sarcastico: «il duce dovrebbe essere grato alla SdN» [51].

Come era lecito aspettarsi, il Portogallo esultò per la rapida conclusione della guerra tanto che Monteiro si congratulò per la conquista italiana con l’incaricato d’affari a Lisbona Pietro De Paolis [Del Boca 2010, 47].

Conclusioni

La lettura dei più importanti giornali lusitani, pubblicati nel periodo del conflitto italo-etiope, ci dà diversi spunti di riflessione e ci permette di comprendere l’evoluzione della politica estera salazarista, almeno fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale. È chiaro, infatti, che la prospettiva della stampa lusitana rispetto alla guerra di Etiopia coincideva con quella del Governo portoghese. Bisogna sottolineare in questo senso che gli anni tra il 1933 e il 1939 furono quelli in cui il regime esercitò la massima pressione sui mezzi di informazione di massa attraverso enti quali il Secretariado da Propaganda Nacional (SPN), creato nel 1933, e la Commissão Central de Propaganda fondata proprio nel 1935 in seno all’União Nacional [Rodríguez 2007, 26].

Gli articoli pubblicati tra l’incidente di Ual-Ual e la presa di Addis Abeba da parte italiana ci permettono, poi, di riflettere anche sul tema della paura: dalla loro lettura comprendiamo come in Portogallo la guerra d’Etiopia avesse ingenerato il timore di perdere lo status quo coloniale, garantito, fino a quel momento, dall’alleanza con l’Inghilterra e dalla tenuta della Società delle Nazioni.

Grazie ai testi presi in esame si ha una chiara percezione di come in Portogallo si avvertisse l’imminente fallimento della Società delle Nazioni [Collotti 2000, 275-278], ma anche come sembrava esistere il pericolo che l’Inghilterra potesse essere coinvolta in un conflitto contro l’Italia, che avrebbe pregiudicato la stabilità dell’intero continente africano e quella delle colonie portoghesi. Una siffatta guerra avrebbe tenuto impegnata la flotta inglese nel Mediterraneo, lasciando prive di protezione le coste delle colonie lusitane, che Lisbona non poteva controllare autonomamente, a causa della mancanza di una flotta commerciale e di una flotta militare ben attrezzate. Un conflitto tra Italia e Inghilterra, poi, avrebbe portato definitivamente l’Italia tra le braccia di Hitler, facendo uscire quest’ultimo dall’isolamento internazionale e facendogli aumentare il potere contrattuale nel contesto delle pretese territoriali sia in Europa che in Africa.

Presagendo il mutamento degli equilibri internazionali che si erano venuti a creare con il trattato di Versailles, a Lisbona si cominciò a pensare a una politica estera più svincolata dalla Gran Bretagna. Benché negli articoli presi in esame, il Portogallo appaia saldamente ancorato all’alleanza con Londra, si può notare anche un certo desiderio di autonomia. Attraverso la censura, infatti, dopo un primo periodo di critica aperta all’azione italiana, il Governo salazarista iniziò a vigilare giornalmente sui quotidiani, facendo eliminare i testi o i passaggi degli articoli più critici verso l’azione dell’esercito italiano e, soprattutto, verso Mussolini. A pesare su questa scelta contribuiva indubbiamente il punto di vista ideologico, viste le affinità tra i due regimi, ma soprattutto la convinzione che per mantenere intatto il proprio patrimonio coloniale, il Portogallo dovesse avere buone relazioni diplomatiche con tutti gli attori presenti sullo scacchiere africano. Ciò parrebbe spiegare anche l’attenzione prestata dai media lusitani alla politica estera dei conservatori inglesi più propensi dei partiti di sinistra a riallacciare delle buone relazioni diplomatiche con l’Italia in funzione antitedesca [Crowson N. J. 1997].

I giornali ci indicano, infatti, come, anche in Portogallo, alla fine della Guerra d’Etiopia la paura più grande fosse quella legata al riarmo della Germania che, come abbiamo visto, avrebbe potuto mettere in pericolo la pace in Europa e conseguentemente anche l’assetto delle colonie africane. La Germania, ben prima dell’ascesa del nazismo, aveva dimostrato un particolare interesse per l’Angola, che avrebbe potuto conquistare anche senza l’uso delle armi in caso di impegno inglese su altri scenari di guerra. Lo stesso Governo di Londra avrebbe potuto dare il via libera a un’occupazione tedesca delle colonie portoghesi, per scongiurare la ridiscussione dei confini determinati dalla conferenza di Versailles in Europa [Cardoso Reis 2006, 102].

Tale quadro ci permette di comprendere la strategia della politica estera salazarista, volta a ristabilire delle buone relazioni con l’Italia, a rinsaldare i rapporti con la Gran Bretagna, ma anche a creare un legame più stretto con la Germania, al quale giovò in maniera determinante lo scoppio della Guerra civile spagnola [Rosas 1998].

Tale miglioramento di rapporti si esplicitò soprattutto in relazione ai legami commerciali. Se ancora con la Guerra d’Etiopia in corso, nel gennaio del 1936, si cercava di rinvigorire l’alleanza con la Gran Bretagna, attraverso nuovi accordi bilaterali in tale ambito [Rosas 1988, 21-22], alla fine di questo conflitto si ebbe un vistoso miglioramento degli scambi con la Germania. Fernando Rosas ci racconta come, tra il 1937 e il 1940, i traffici commerciali con il Terzo Reich videro un incremento a discapito di quelli con l’Inghilterra, soprattutto rispetto alle importazioni. Nel 1928 quelle provenienti dal Regno Unito rappresentavano il 30,6% del totale portoghese contro il 13% dalla Germania. Nel 1938, invece, le importazioni dalla Gran Bretagna erano scese al 17,06%, mentre quelle dal territorio tedesco erano salite al 16,80%. Quasi inalterato, però, risultava il dato delle esportazioni lusitane verso i due paesi. Nel 1928 l’Inghilterra accoglieva il 21,3% delle merci lusitane destinate all’estero e la Germania l’11,38%; nel 1938, le percentuali erano diventate 20,72% e 13,11% [Rosas 1996, 135]. Il dato del 1938, rispetto alle importazioni dalla Germania, riguardava soprattutto il materiale bellico. Quell’anno, il Portogallo importò, infatti, 5,4 milioni di marchi di materiale da guerra [Louça 2005, 185]. Tale incremento nell’acquisto di armi dallo Stato nazista, era stato determinato dal rifiuto della Gran Bretagna di vendere a Salazar materiale bellico, a causa dell’esplicito appoggio del Governo di Lisbona a Franco [Rosas 1996, 113]. Il leggero incremento delle esportazioni portoghesi verso la Germania, invece era dovuto al commercio di tungsteno, elemento essenziale per la costruzione dei proiettili [Avelãs Nunes 2010].

A partire dal 1936, poi, cominciarono delle collaborazioni tra la Hitler Jugend e la Mocidade Portuguesa e tra la Fundação Nacional para a Alegria no Trabalho e la Kraft durch Freude, soprattutto in relazione alle crociere che quest’ultima organizzava nell’isola di Madeira o nelle isole Azzorre [Valente 1999, 103].

Rispetto a quelli con la Germania e la Gran Bretagna, invece, i rapporti commerciali con l’Italia apparivano marginali. Il mantenimento di relazioni cordiali con Mussolini e il suo Governo era fondamentale a livello geopolitico. Se queste migliorarono già dopo la conclusione del conflitto italo-etiope, come ci raccontano i giornali, esse ripresero definitivamente quota durante la Guerra civile spagnola (i due governi collaborarono per l’affermazione di Franco) e infine con il profilarsi già nel 1938 di un conflitto in Europa. Mussolini infatti sembrava il punto di riferimento di quegli Stati che volevano mantenere la pace nel vecchio continente, condizione fondamentale per la salvaguardia degli equilibri coloniali. Dunque non stupisce che il Portogallo riconobbe l’annessione dell’Etiopia nel luglio del 1938, quando quest’ultima era ancora un membro di fatto della Società delle Nazioni [Loff 2008, 711-712], e che tale riconoscimento precedette di circa un mese la sottoscrizione del trattato di Monaco, che ebbe proprio Mussolini fra i promotori.

L’anno successivo, un mese prima dello scoppio del Secondo conflitto mondiale, nell’agosto del 1939, lo stesso Salazar formulò l’ipotesi di un accordo Ispano-luso-italiano per garantire la neutralità dei paesi dell’Europa del Sud in caso di un conflitto tra Germania e Unione Sovietica [52]. Tale accordo avrebbe creato una zona neutrale nell’Europa del sud, che avrebbe permesso di sopperire, a livello commerciale, anche a un eventuale coinvolgimento della Gran Bretagna nel conflitto. Questo patto avrebbe creato, anche a livello ideologico, un fronte unico dei “fascismi latini” che, con la benedizione del Vaticano, sarebbero stati uniti anche, dalla medesima fede religiosa. Tale prospettiva sarebbe stata congeniale a Salazar, il quale si sentiva molto più affine a Mussolini che a Hitler. Benché il presidente del consiglio lusitano lodasse l’azione anticomunista del Führer, affermava: ‹‹Mussolini creò, ugualmente, come Hitler una grande forza popolare, ma fu alle volte più prudente, più latino, come era naturale nella sua opera di rinnovamento›› [Rosas 2007, 140]. Tale disegno, tuttavia, non si concretizzò mai a causa dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco di Hitler il 10 giugno 1940.

Come abbiamo potuto constatare da questo breve esame della politica estera salazarista a partire dalla guerra d’Etiopia, e come ci lascia presagire la lettura dei maggiori quotidiani lusitani durante quel conflitto, il piano ideologico nelle relazioni internazionali era secondario rispetto a quello strategico, che aveva l’obiettivo di preservare le colonie d’oltremare. Esse, infatti, rappresentavano “lo spazio vitale” lusitano, che in un futuro non meglio determinato avrebbe reso il Portogallo autosufficiente dalla dipendenza dagli stati esteri, compresa la Gran Bretagna. Non è un caso che se la Spagna franchista cercò, dopo il 1957, di entrare nella Comunità economica europea, a Lisbona si badò piuttosto alla tenuta del proprio impero. Per questo motivo, i vertici estadonovisti, anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si ostinarono a mantenere i propri territori d’oltremare, fino ad arrivare alle estreme conseguenze: l’ultima grande guerra coloniale (1961-1974), che portò lo stesso Negus Hailé Selassié a chiedere a Salazar di concedere l’indipendenza ai territori lusitani in Africa, richiesta alla quale il dittatore rispose ricordando l’aiuto dato dal Portogallo all’Etiopia quando fu invasa [53]. Salazar non vedrà l’epilogo di questo sussulto imperialista; morirà, infatti, nel 1970, quattro anni prima che dei giovani ufficiali dell’esercito ponessero fine all’Estado Novo e con esso al plurisecolare impero lusitano.


Giornali

  • «A Voz» [1935]
  • «Diário da Manhã» [1935]
  • «Diário de Notícias», [1935, 1936]
  • «Jornal de Notícias» [1935]
  • «L’Azione Coloniale» [1935]
  • «Les Temps» [1919]
  • «Novidades» [1935]
  • «O Século» [1929, 1935]

Archivi

  • Arquivo histórico-diplomático do Instituto diplomatico do Ministerio dos Negócios Estrangeiros (da ora AMNE), lettera dalla legazione portoghese di Parigi al ministro degli Esteri del 27 agosto 1935, p. 3°, a. 13 m. 89.
  • AMNE, lettera di J. A. de Bianchi del 6 giugno 1919 al direttore del giornale «Les Temps», 3° p., m. 167, a.
  • Arquivo Nacional da Torre do Tombo (da ora ANTT), Arquivo de «O Século», Cortes de «o Século», Setembro - Outubro 1935, Cx 71, Mos 94.
  • ANTT, Archivo de «O Século», Cortes de «o Século», Novembro-Dezémbro 1935, Cx 72, Mos 95.
  • ANTT, Archivo de «O Século», Cortes de «o Século», Janeiro-Fevereiro 1935, Cx 73, Mos 96.
  • ANTT, Ministero do Interior Gabinete do Ministro, 5 fevereiro, Mç 484 pt. 2/5.

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* La realizzazione di questo articolo è stata possibile grazie alla Fundação para a Ciência e a Tecnologia e al Fondo Sociale Europeo: progetto n. SFRH/BPD/107789/2015


Note

1. Mussolini B., Proclamazione dell’Impero (1936), in Susmel, Susmel 1966, vol. 27, 269

2. Os estudantes italianos, ontem chegadas a Lisboa foram recebidos com simpatia por toda a gente e prestaram uma sensibilizadora homenagem a Camões, «O Século», Settembre 1929.

3. Ibidem.

4. Jorge R., Mantenhamos a decisão firme de não ceder um palmo só das terras que por direito nos pertencem, «Diário de Notícias», 17 Agosto 1935.

5. Documenti diplomatici italiani, VIII serie, 1935-1939, vol. I, De Felice R., Pastorelli P. (eds.) 1991, 15 aprile-31 agosto 1935, Roma: Istituto poligrafico e Zecca di Stato, 763-764.

6. Documenti diplomatici italiani, VIII serie 1935-1939, vol. V, André G. (ed.) 1991, I settembre- 31 dicembre 1936, Roma: Istituto poligrafico e Zecca di Stato, 641-645.

7. Martin J., Foi decretada a mobilitação geral na Abissinia, «Diário de Notícias», 1 ottobre 1935.

8. O conflito Ítalo-Etiope e a paz Mundial, «Diário de Notícias», 1 ottobre 1935.

9. Documenti diplomatici italiani, VIII serie, 1935-1939, vol. II, De Felice R., Pastorelli P. (eds.) 1991 I settembre – 31 dicembre 1935, Roma: Istituto poligrafico e Zecca di Stato, 694.

10. Guerner J., O Governo francês resolveu não colaborar em sanções militares contra o agressor, «Diário de Notícias», 5 ottobre 1935.

11. Per una bibliografia esaustiva rispetto alla politica estera fascista prima, dopo e durante la guerra di Etiopia si rimanda a Duranti 2014.

12. Arquivo histórico-diplomático do Instituto diplomatico do Ministerio dos Negócios Estrangeiros (da ora AMNE), lettera dalla legazione portoghese di Parigi al ministro degli Esteri del 27 agosto 1935, p. 3°, a. 13 m. 89.

13. Ibidem.

14. «L’Azione Coloniale», 24 gennaio 1935.

15. Les négociations coloniales avec l’Italie, «Les Temps», 6 maggio 1919.

16. AMNE, lettera di J. A. de Bianchi del 6 giugno 1919 al direttore del giornale «Les Temps», p. 3°, m. 167, a. 12.

17. O conflito Ítalo-Abissinio «Novidades», 16 agosto 1935.

18. Ibidem.

19. As grandeza, os recursos e as esperanças do Império, nesta hora, arrendem de vez do espírito de todos os portugueses a gravissima convenção do Portugal Pequeno, «Novidades», 9 agosto 1935.

20. Salazar A. Oliveira, O. Sr. presidente do Conselho dirige-se ao País, «Diário de Notícias», 20 settembre 1935.

21. Outra Guerra, «O Século», 27 agosto 1935.

22. A locura da guerra, 3 settembre 1935; 1935 O Santo Padre condena toda a guerra injusta e abença os que procuram por todos os meios conservar a paz entre homens, Novidades, «Novidades», 3 settembre 1935.

23. Ibidem.

24. A locura da guerra. A palavra do Papa, «Novidades», 4 settembre 1935.

25. Os Italianos ocuparam ontem Adua, «Diário de Notícias», 7 ottobre 1935.

26. Boaventura A., O formidavel esforço da França em prol da paz da Europa, «Diário de Notícias», 9 ottobre 1935.

27. A Italia e a Grã-Bretanha, «Diário de Notícias», 10 ottobre 1935.

28. Borges V., Imparcialidade, «Diário de Notícias», 3 ottobre 1935.

29. Boaventura A., A Alemanha precisa separar a Itália da França, «Diário de Notícias», 11 ottobre 1935.

30. O prestigio português na politica internacional, «Diário de Notícias», 25 ottobre 1935.

31. Por uma voz de Portugal o Mundo ficou sabendo que as guerras de conquista, mesmo em Africa, estão condenadas daqui para o futuro, 19 ottobre 1935.

32. As negociações de Laval, «Diário de Notícias», 17 ottobre 1935; Os esforço de Laval duma imediata solução pacifica, «Diário de Notícias», 18 ottobre 1935.

33. Pela Paz, «Diário da Manhã», 19 ottobre 1935.

34. Ibidem.

35. Rodrigues U., A posição de Mussolini, «Diário de Notícias», 21 ottobre 1935.

36. Ibidem.

37. Exigiria a S.D.N. A renuncia aos mandatos Coloniais, «Diário de Notícias», 8 aprile 1936.

38. A Itália mandou, ultimamente, para a Abissinia mais de 200 toneladas de gases asfixiante, «Diário de Notícias», 10 aprile 1936.

39. Documenti diplomatici italiani, 1935-1939, VIII serie, vol. II, (1 settembre-31 dicembre 1935), 518-519.

40. A Nossa Posição perante a Itália, «Diário de Notícias», 13 dicembre 1935.

41. Arquivo Nacional da Torre do Tombo (da ora ANTT), Arquivo de «O Século», Cortes de «o Século», Settembre-Ottobre 1935, Cx 71, Mos 94.

42. Ibidem.

43. Ibidem. Il taglio venne operato sull’articolo: Os Italianos Virão a ocupar Macalé sem ser necessário realizar uma ofensiva Geral?, «O Século», 29 ottobre 1935.

44. ANTT, Archivo de «O Século», Cortes de «o Século», Novembro-Dezémbro 1935, Cx 72, Mos 95.

45. ANTT, Archivo de «O Século», Cortes de «o Século», Janeiro-Fevereiro 1935, Cx 73, Mos 96.

46. Il «Jornal de Notícias» si riferiva all’Intervento di Mussolini alla Camera dei Deputati del 7 dicembre 1935. Mussolini B., Dichiarazioni alla Camera dei Deputati contro la politica sanzionista (7 dicembre 1935), in Susmel, Susmel 1951-1988, vol. 27, 196-199.

47. ANTT, Ministero do Interior Gabinete do Ministro, 5 fevereiro, Mç 484 pt. 2/5.

48. Num enérgico discurso, Wintson Churchill classificou a politica sancionista de «fiasco ridículo se não trágico», «Diário de Notícias», 6 maggio 1936.

49. As Tropas de Roma Entraram ontem em Addis-Abeba, «Diário de Notícias», 6 maggio 1936.

50. Vítor Manuel III foi proclamado imperador da Etiópia, «Diário de Notícias», 10 maggio 1936.

51. Nota do Dia, «Diário de Notícias», 9 maggio 1936.

52. Documenti diplomatici italiani, VIII serie 1935-1939, vol. XIII, Roma, Toscano M. (ed.) 1991, 12 agosto-3 settembre 1939, Roma: Istituto poligrafico e Zecca di Stato, 305-306.

53. Carta de sua exelência o presidente do Conselho ao imperador Hailé Selassié I., de 29 junho de 1963, in Relações diplomáticas entre Portugal e a Etiópia. Textos das Cartas trocadas entre o imperador Hailé Selassié e o presidente do conselho de Portugal, dr. Oliveira Salazar, Lisboa: Sni, Oficina Gráficas Manuel A. Pacheco Lda, 1963, 13.